Category: Recensione film

Incubo sulla città contaminata è brutto, ma di un brutto che rasenta il bello.

Dean Miller, giornalista televisivo, è incaricato di intervistare un famoso scienziato che sta per atterrare all’aeroporto cittadino. Ma insieme allo scienziato scendono anche dei mostri che travolgono le forze di polizia e invadono la città. La causa della mutazione dei passeggeri è una fuga radioattiva da una centrale atomica. Essa determina la trasformazione degli esseri viventi in terribili appestati mossi da furia omicida.

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Hypnosis è pieno di difetti e privo di genio, eppure riesce in qualche modo a fare paura.

Ogni volta che un horror tricolore si affaccia sul mercato, ultimamente, si tende a (o spera di) gridare al mezzo miracolo e costruire attorno al film in questione un immeritato e sconveniente status di “cult”. 

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Pochi film hanno inciso così profondamente nella cinematografia mondiale come La notte dei morti viventi di George A. Romero.

Pochi film hanno inciso così profondamente nella cinematografia mondiale come La notte dei morti viventi di George A. Romero, una pellicola che ha segnato il debutto del regista americano e che porta in sé molte di  quelle caratteristiche che avrebbero fatto del cinema non solo un mezzo di evasione di massa, ma anche di denuncia sociale.

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Chissà perchè, ma al mondo c’è chi ha tre milioni e mezzo di dollari da buttare in questo modo.

Già, perchè è questa la cifra spesa per produrre questa pellicola, diretta e sceneggiata da Serge Rodnunsky. Certo, è un importo quasi ridicolo per un film, però quello che colpisce è che non si capisce come siano stati spesi questi soldi.

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Lo slasher è sempre stato un genere amato dal pubblico, soprattutto quello giovane, relativamente semplice da realizzare e dai grandi incassi rispetto al budget miserrimo molte volte stanziato inizialmente.

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Il primo capitolo di una saga infinita e discontinua: un film cardine nel genere slasher, la nascita di uno dei più popolari nuovi mostri: Jason Voorhees.

Film a suo modo atipico, nel filone degli slasher movies, questo primo capitolo della lunga saga di Venerdì 13, firmato da Sean S. Cunningham, già produttore del cult “L’Ultima Casa a Sinistra” (1972), di Wes Craven. Atipico, poiché segna la nascita di un “nuovo mostro”, senza mai mostrarlo. L’icona Jason Voorhees, infatti, si manifesterà, così come noi la conosciamo, monolitica nella sua maschera da hockey, solo dal terzo film, il sequel  “Venerdì 13: Weekend di Terrore”  (1982), per la regia di Steve Miner (qui nelle vesti di produttore associato) .

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La parte due è significativa: introduce il Jason adulto e spinge verso l’infinito il meccanismo del film precedente.

L’atto secondo di Venerdì 13 sancisce il passaggio di consegne da mamma Pamela al figliol prodigo Jason. Le psicosi della famiglia Voorhees continuano a funestare Camp Crystal Lake e dintorni, ora per mano dell’imponente e ritardato Jason annegato anni addietro nel lago causa negligenza dei sorveglianti.

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Davanti all’opportunità di indossare una maschera vera, Jason Voorhees trova finalmente la sua vera pelle, l’anello mancante, il trait d’union della sua personalità scissa.

Dopo l’accusa di essere soltanto “una brutta copia del Michael Myers carpenteriano”, Jason Voorhees trova, definitivamente, la sua vera identità. Il protagonista della saga di Venerdì 13, infatti, era un omaccione deforme e ripugnante, uno scimmione rabbioso, caratterizzato “soltanto” da una camminata goffa tipica dei morti viventi. Almeno fino a questo momento. Steve Miner, nuovamente in cabina di regia, dirigendo Venerdì 13: Weekend di terrore, infatti, trova il giusto escamotage per regalare al villain il suo agognato emblema, il suo tratto distintivo, lo stendardo dell’intera saga.

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E’ in grado di distinguersi rispetto agli altri sequel e la trovata finale per la sconfitta di Jason Voohrees è molto accattivante…

Venerdì 13, capitolo finale uscì nel 1984, due anni dopo Venerdì 13, week end di terrore, e naturalmente non fu davvero il capitolo finale. L’intento di offrire una vera conclusione si avverte, e all’inizio della pellicola si trova anche un grazioso riassuntino delle puntate precedenti che sembra mettere le basi per la quadratura definitiva del cerchio;ma le contingenze (e in primis, più che altro, il mostruoso successo al botteghino che portò nelle tasche della produzione più di 30 milioni di dollari) spinsero la fortunata nave in direzione del  proseguimento della saga, e così il “capitolo finale”, a conti fatti, è collocato nemmeno a metà della produzione complessiva dedicata al persecutore di Crystal Lake. 

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Jason vive, ma nessuno di quelli che lo incontra avrà la medesima fortuna.

Il sesto film della serie che segue le traccie insanguinate lasciate da Jason Voorhees, risulta nel mio immaginario indissolubilmente legato all’album “Constrictor” di Alice Cooper, che rappresenta il ritorno sulle scene del teatrale artista di Detroit, dopo il suo ritiro nel 1983, dopo il mediocre album “Dada”.

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