Davanti all’opportunità di indossare una maschera vera, Jason Voorhees trova finalmente la sua vera pelle, l’anello mancante, il trait d’union della sua personalità scissa.
Dopo l’accusa di essere soltanto “una brutta copia del Michael Myers carpenteriano”, Jason Voorhees trova, definitivamente, la sua vera identità. Il protagonista della saga di Venerdì 13, infatti, era un omaccione deforme e ripugnante, uno scimmione rabbioso, caratterizzato “soltanto” da una camminata goffa tipica dei morti viventi. Almeno fino a questo momento. Steve Miner, nuovamente in cabina di regia, dirigendo Venerdì 13: Weekend di terrore, infatti, trova il giusto escamotage per regalare al villain il suo agognato emblema, il suo tratto distintivo, lo stendardo dell’intera saga.
Tempo dopo essere scampata miracolosamente alle grinfie di un uomo sfigurato e deforme, Chris organizza una gita di gruppo a Crystal Lake. Il posto, anni prima, è stato teatro di brutali omicidi in cui hanno perso misteriosamente la vita decine di giovani. Incuranti del pericolo e indifferenti agli avvertimenti di un vecchio pazzo (?) incontrato per strada, gli otto ragazzi si accomodano nella vecchia villa del luogo e iniziano ad amoreggiare. Dopo essersi scontrati con un trio di motociclisti incazzati, i protagonisti entrano lentamente in contatto con un losco individuo che si aggira nel bosco e che, approfittando del buio e dell’isolamento del posto, li uccide sadicamente uno a uno.
In ogni comitiva che si rispetti, si sa, c’è sempre il cretino, il giullare, il buffone. Ecco quindi che gli sceneggiatori Martin Kitrosser e Carol Watson ne tratteggiano uno capace di divertire e, contemporaneamente, infastidire i personaggi e gli spettatori. Sempre pronto a fare scherzi di dubbio gusto, a nascondersi negli armadi, a fingersi morto, Shelley è continuamente armato di coltelli di plastica, sangue finto, teste mozzate. Proprio per colpa – o grazie? – alla sua irritante ilarità, dunque, ogni volta che Jason mette a segno un colpo, i personaggi non se ne curano. A differenza dei protagonisti, però, gli spettatori sono perfettamente consapevoli del pericolo che si nasconde dietro l’angolo. Ed è proprio qui, allora, che il pubblico prende le distanze dai personaggi e si avvicina, in modo più o meno consapevole, alla figura del mostro. Possibile, infatti, rimanere indifferenti al fascino (?) di una creatura mostruosa che uccide solo per il puro gusto di farlo? Jason Vorhees, lo sappiamo, è un uomo dal viso deturpato, deformato e sfigurato che utilizza qualsiasi oggetto utile (buste comprese) per celarlo al pubblico. Davanti all’opportunità di indossare una maschera vera, Jason Voorhees trova finalmente la sua vera pelle, l’anello mancante, il trait d’union della sua personalità scissa. Sorta di costume da super villain, Jason indossa la maschera da giocatore di hockey, impugna l’affilato machete e inizia a fare strage di adolescenti dagli ormoni impazziti.
Steve Miner, nuovamente regista di un capitolo della saga, pigia il piede sull’acceleratore e, dopo una parte introduttiva tirata forse un po’ troppo per le lunghe, inizia a spruzzare la tinta rosso sangue su ogni fotogramma. Venerdì 13: Weekend di terrore, infatti, è probabilmente il capitolo più splatter e gore dell’intera saga: teste frantumate, gole tagliate, persone impiccate, corpi umani tagliati a metà, decapitazioni, impiccagioni, e chi più ne ha più ne metta. Realizzato in 3D, il film doveva avvolgere gli spettatori con visioni terrificanti di grida di dolore, sangue, ossa spezzate, occhi fuori dalle orbite. Probabilmente ritenuta troppo crudele per il gusto raffinato del pubblico occidentale, la versione tridimensionale venne distribuita soltanto in Giappone, lasciando all’Occidente la possibilità di vederne solo la variante censurata e bidimensionale. Nelle intenzioni originali degli sceneggiatori, infatti, il finale del terzo capitolo di Venerdì 13, sarebbe dovuto essere molto più apocalittico e sadico per evitare di concludere ogni episodio della saga con la presunta morte del villain. Ma, si sa, il buon costume occidentale non avrebbe mai permesso che la final girl, l’eroina di ogni splatter movie che si rispetti, venisse brutalmente uccisa lasciando l’amaro in bocca. E allora, l’unica possibilità era aspettare ansiosamente un nuovo capitolo in cui Jason potesse prendersi la rivincita e iniziare una nuova partita!
About Martina Calcabrini
Ha ereditato l'amore per il cinema horror quando era ancora in fasce. La passione per le creature mostruose, per l'ignoto e per l'oscuro le scorre nelle vene e le permette di affrontare qualsiasi Mostro della notte...
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