Cinema Racconti Dalla Tomba (1972)

Racconti Dalla Tomba (1972)

Un classico del cinema horror britannico, con tanto di dissacrante episodio natalizio: Freddie Francis alle prese con le leggendarie strisce fumettistiche “Tales From The Crypt” ci ha donato un cult ancora oggi impareggiabile per il perfetto connubio di brividi ed intrattenimento allo stato puro.

Infonde una certa nostalgia questa gran bella pellicola a episodi, diretta da Freddie Francis e prodotta dalla britannica Amicus; ce ne fossero ancora, di film godibili come questo, quei film che ti fanno esclamare “già finito?” davanti alla parola “The End”.

La casa produttrice inglese veniva talvolta confusa con la più celebre Hammer per la comunanza sia di soluzioni stilistiche che di attori  (Christopher Lee e Peter Cushing in primis) ma diversa dalla più facoltosa connazionale per la scelta di ambientare le proprie produzioni non in un passato dal sapore fortemente gotico bensì nell’ epoca presente, a causa di ovvi motivi di budget. La Amicus si specializzò in antologie di questo tipo, film di puro intrattenimento ma di ottima qualità e dai brividi garantiti. Un remake di questa pellicola era nelle menti di George Romero e Stephen King che rielaborarono il progetto dando vita a “Creepshow”, film che resta per molti versi simile al suo ispiratore.

“Racconti Dalla Tomba” (“Tales From The Crypt”) si presenta, a partire dal titolo, come trasposizione cinematografica dei leggendari fumetti della EC Comics; in realtà, soltanto due episodi provengono da quelle pagine ( “Reflection Of Death” e “Blind Alleys”). Il primo segmento (“…And All Through The House”) è invece creatura appartenente ad altre strisce orrorifiche di culto, ossia “Vault Of Horror”, mentre “Poetic Justice” e “Wish You Were Here” videro la luce sul bimestrale “The Haunt Of Fear”, sempre stampato dalla EC.

Un adattamento fumettistico realizzato ad arte da Freddie Francis, ottimo regista ed accalamato direttore della fotografia (ricordiamo, su tutti, il suo splendido lavoro per “The Elephant Man”), sul quale troneggia l’ immancabile Crypt Keeper, che qui presenta fattezze umane, a differenza dell’ amatissimo Zio Tibia, padrone di casa, anzi, di cripta, dell’ indimenticabile serie televisiva ( e Zio Tibia altri non è che l’ adattamento italico del nome Crypt Keeper).

Cinque episodi per altrettanti personaggi che durante una visita guidata nei meandri di una cripta, si perdono, finendo al cospetto del misterioso e tetro guardiano , che li invita a rimanere e comincia ad interpellarli, partendo da Joanne (una Joan Collins fortunatamente ancora lontana dai flagelli di “Dynasty” ), protagonista del primo segmento del film, l’ unico ad ambientazione natalizia, “…And All Through The House”: la donna uccide il marito, mentre la radio diffonde la notizia della fuga di un pericoloso psicopatico.

Un uomo travestito da Babbo Natale si aggira intorno alla casa, ed il finale è facilmente intuibile, ma un “twist” imprevisto lo rende più gustoso. Questo è forse il capitolo più debole dell ‘intera pellicola, ben realizzato, con le ottime intuizioni registiche tipiche di Francis, che amava anticipare prima di mostrare, suggerire in quanto antipasto dello svelamento dell’ orrore, ma dal plot molto semplice e un po’ scontato. La messa in scena è comunque godibile, nel contrasto tra orrore e ambientazione festosa, reso ancora più stridente dalle incessanti musiche natalizie, a sottolineare la fondamentale ironia del racconto.

Il Custode, con ogni episodio, sta mostrando ai personaggi ciò che avrebbero commesso se non si fossero persi in quei meandri, elevandosi a giudice delle loro non troppo edificanti azioni.

Come seconda portata, gustiamo “Reflection Of Death”, già più prelibata della precedente: il marito fedifrago Carl (Ian Hendry) è in fuga con l’ amante Susan. Un terribile incidente si rivelerà essere solo un semplice incubo, ma ovviamente non è mai detta l’ ultima parola…Un’ idea assai semplice ma ben congegnata, nel classico schema di fusione tra sogno e realtà. L’ ipocrisia ed il tradimento di Carl sono i “peccati” che il severo guardiano giudica, puntando il dito. La sequenza dell’ incidente è girata ad arte, nel suo essere alienante e quasi onirica, e buona parte dell’ episodio ci mostra una visione in soggettiva, che mette in scena le reazioni dei personaggi, prima di rendere manifesto il volto di chi guarda. Ancora una volta, il terrore corre sul filo dell’ anticipazione, quasi un macabro indovinello per lo spettatore che sente la tensione crescere, a braccetto con un’ irrefrenabile curiosità.

Col terzo personaggio, si arriva a quello che è probabilmente il miglior segmento del film, ossia “Poetic Justice”: il giovane e benestante James (Robin Phillips), malsopporta il suo dirimpettaio, l’anziano spazzino Arthur Edward Grimsdyke (un superlativo Peter Cushing) ; non tollera la sua casa povera, il suo lavoro troppo vicino alla sporcizia, i bambini che vanno a fargli visita, i suoi cani. Un odio motivato solo dalla crudeltà e dalla disparità di classe, verso una persona tranquilla e di indole buona. Il giovane comincia così il suo metodico lavoro di distruzione della vita dell’ uomo, peraltro già pesantemente segnato dalla perdita della moglie, con la quale comunica tramite una tavola Ouija: dal licenziamento all’ allontamento dei bambini in un crescendo di cattiveria che spingerà Grimsdyke al suicidio.

Arriverà la ben meritata vendetta, in un finale che colpisce, letteralmente, al cuore. Graziato dalla recitazione di Cushing e forte di un soggetto non banale, questo episodio coinvolge in maniera profonda, facendo crescere la rabbia verso il diabolico James, che si scioglierà in un’ appagante catarsi finale.

Vendetta che è vera e propria Giustizia dunque, ed è esattamente da quest’ ultima che sono animate le intenzioni del Custode, il quale procede al quarto “imputato”, con il bel “Wish You Were Here”: Ralph (Richard Greene) è un uomo d’affari sull’ orlo della bancarotta; nella loro lussuosa casa, la moglie Enid riscopre una statuetta comprata durante uno dei loro numerosi viaggi, notandone, per la prima volta, l’iscrizione sulla base: saranno esauditi tre desideri ma si dovrà prestare molta attenzione a ciò che si chiederà. Gli esiti saranno ovviamente funesti. Altro eccellente capitolo, dotato di una forte vena ironica, la quale peraltro pervade l’ intero film, autocitazionista negli aperti riferimenti al breve racconto horror “La Zampa Di Scimmia” (The Monkey’s Paw) di William Wymark Jacobs, che ispirò il plot del fumetto.

Si giunge così al quinto, ed ultimo, episodio del film, “Blind Alleys”, altro piccolo gioiello insieme a “Poetic Justice”, col quale condivide la tematica dell ‘ingiustizia verso il debole: il Maggiore Rogers (un efficace Nigel Patrick) viene incaricato di dirigere un istituto per ciechi. Uomo egoista ed incapace di empatia, ignora qualsiasi richiesta degli ospiti, i quali domandano solo il minimo indispensabile trovando voce nel battagliero George (il bravo caratterista Patrick Magee): anche in questo caso, Giustizia e Vendetta si fondono in una soluzione geniale sia dal punto di vista narrativo che da quello visivo. L’ ottimo plot del fumetto trova dunque, anch’ esso, giustizia in una messa in scena originale, dai toni disturbanti e con una forte carica emotiva. La sequenza del corridoio con le pareti costellate di lamette resta uno dei punti più alti dell’ intera pellicola, la quale segue un andamento crescente, partendo da un primo episodio non troppo brillante fino a momenti realmente memorabili.

Si tornerà nella cripta e vi sarà, come Giustizia vuole, la resa dei conti e lo svelamento dell’ intenzione del Custode, con un finale che non delude e resta all’ altezza dell ‘intera narrazione.

Un classico, da vedere e rivedere, trasposizione filmica di un fumetto dalla quale il cinema odierno, saturo di patinati supereroi dalle passate glorie cartacee e ora relegati in storie per lo più inesistenti ed obese di effetti speciali, avrebbe davvero molto da imparare.

Racconti Dalla Tomba

Titolo Originale: Tales From The Crypt
Anno: 1972
Paese: Uk / USA
Regia: Freddie Francis
Interpreti: Peter Cushing, Joan Collins, Ian Hendry, Robin Phillips, Patrick Magee
Sceneggiatura: Milton Subotsky
Fotografia: Norman Warwick
Musiche: Douglas Gamley
Montaggio: Teddy Darvas

 

About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.

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