Alien Alien 3

Alien 3

Una produzione caotica nata sotto una cattiva stella, dove è solo la regia di David Fincher a salvarsi da un film deludente e incompleto.

Nonostante il successo della saga inaugurata da Ridley Scott nel 1979 e continuata da James Cameron col suo Aliens – Scontro Finale (1986), la storia di questo terzo capitolo affidato all’allora esordiente David Fincher nel 1992, sembrò nascere subito sotto una cattiva stella, forse perché, come ebbe a dire lo stesso presidente della 20th Century Fox di allora Joe Roth: “Sai già di andare a metterti nei guai, quando decidi di voler realizzare il seguito di un ottimo film”.

Il primo progetto di Alien 3 fu presentato all’inizio del 1990 dai due produttori David Giler e Walter Hill, ma fu bocciato da Roth perché non prevedeva il personaggio di Ellen Ripley, mentre la prima sceneggiatura fu affidata a William Gibson, fondatore del cosiddetto movimento cyberpunk e autore del libro Neuromante in cui per la prima volta si immagina un futuro oscuro, cupo e perennemente piovoso (al cinema ci aveva pensato lo stesso Ridley Scott con l’indiscusso capolavoro Blade Runner del 1982). Il suo script fu però bocciato dalla produzione probabilmente perché non si aveva a disposizione un  budget sufficiente e così la sceneggiatura fu affidata a Eric Red, autore dello script di The Hitcher – La lunga strada della paura (1986) e di Il buio si avvicina (1987). Red fu affiancato dall’allora esordiente Renny Harlin (che da lì a poco sarebbe venuto alla ribalta per le sceneggiature di Die Hard 2 e Cliffhanger), ma anche loro alla fine furono costretti ad abbandonare a causa di contrasti con la produzione. Al loro posto arrivò quindi David Twohy (nel 2000 avrebbe scritto e diretto Pitch Black) che però ebbe la “colpa” ancora una volta di scrivere una sceneggiatura che non prevedeva la presenza di Ellen Ripley, a dispetto della Fox che invece spingeva per una storia in cui il personaggio interpretato da Sigourney Weaver fosse ancora la protagonista. La casa di produzione si affidò quindi segretamente a Vincent Ward e John Fasano che  scrissero  un’ulteriore  versione del  film con protagonista proprio Ellen Ripley, ma quando Twohy  lo scoprì, decise di abbandonare  la produzione, nello stesso momento in cui Fasano lasciava il progetto per dedicarsi alla sceneggiatura di Ancora 48 Ore. Al posto di quest’ultimo fu chiamato Greg Pruss che però durò poche settimane e  abbandonò quando lo stesso Ward, in contrasto con la Fox per problemi di budget, decise di lasciare la produzione.

In una tale situazione di caos ed emergenza e con la Pinewood Studios di Londra già al lavoro per cominciare le riprese, la regia fu affidata al debuttante David Fincher e per la sceneggiatura fu chiamato Larry Ferguson (già apprezzato per Beverly Hills Cop 2). Lo script, però, non soddisfò né Fincher né Sigourney Weaver che ormai non solo aveva riconquistato il ruolo della protagonista, ma era diventata anche co-produttrice, ma in realtà, dietro al rifiuto, si nascondeva probabilmente la stessa 20th Century Fox che si era mostrata dichiaratamente riluttante ad affidare un lavoro con un budget di circa 50.000.000 di dollari a un regista debuttante.

Al posto di Ferguson furono così chiamati Walter Hill (regista dell’acclamatissimo I Guerrieri della Notte) e David Giler che cercarono di porre rimedio al lavoro e al tempo sprecato, arrivando a scrivere una sceneggiatura in cui erano presenti sia alcuni elementi della sceneggiatura di Twohy sia di quella di Ward e Fasano. Il film che ne venne fuori fu un’opera confusa in cui a tratti si ri-prendono i contenuti dell’originale versione di Ridley Scott, tra cui gli umani indifesi e impreparati, incapaci di fuggire poiché isolati nello spazio, ma in grado di superare le avversità fino ad arrivare a distruggere la creatura che gli dà la caccia, ma in cui si evidenzia anche il tormento di una donna costretta a portare in grembo il mostro che lei stessa combatte fino all’estremo sacrificio del suicidio.

Alien 3 è nel complesso un film deludente, forse il capitolo più debole dei quattro girati fino a oggi (in attesa forse di un quinto…).  Probabilmente a causa del vario passaggio di mano, la sceneggiatura non ha una struttura bel delineata, procede a scatti, presenta dialoghi a volte banali (onestamente alcuni di questi potrebbero anche essere dovuti al doppiaggio italiano, su  questo non  possiamo  giurarci), un  finale  assolutamente insoddisfacente e pecca soprattutto nei personaggi: da una parte abbiamo una Ellen Ripley sempre più androgina, ormai quasi totalmente priva di connotati femminili (arriva perfino a farsi radere a zero la testa) e dall’altra un manipolo di personaggi disillusi e rassegnati al proprio fatale destino sopra i quali domina un mondo post apocalittico alla Carpenter fatto di riferimenti all’iconografia e alla letteratura apocrifa cristiana con picchi di autentico misticismo religioso.

Più volte vengono abbozzati approfondimenti nei rapporti tra i personaggi (vedi la storia del dottor Clemens o il motivo per cui la Ripley fa subito sesso con lui  dopo essere appena arrivata  sul  pianeta o ancora la lotta interiore dei detenuti costretti a convivere con una donna dopo non averne viste per anni) per poi però abbandonarli per strada senza svilupparli nella maniera adeguata.

Quasi paradossalmente è solo la regia di Fincher a salvarsi: il regista innanzitutto sembra prendere immediatamente una strada diversa da quella dei suoi predecessori, sia dallo Scott dedito a mixare azione e suspense sia e soprattutto dal Cameron di Aliens – Scontro Finale dedito invece al genere gore, per concentrarsi maggiormente sull’aspetto action della trama, per poi usare un linguaggio visivo accuratamente pianificato per accentuare la sensazione di paranoia, claustrofobia e isolamento che pervade  tutto  il  film.

Subito, fin dall’inizio, Ellen Ripley viene innalzata a un livello superiore alla mortalità, si trasforma in una creatura metafisica fredda e spietata, un’autentica macchina da guerra per cui l’unico scopo è distruggere il proprio nemico, salvo poi diventarne genitrice. La sua battaglia dovrà affrontarla da sola: è l’unica superstite dell’equipaggio della navetta di salvataggio, precipita in un pianeta che si rivela una colonia penale abitata da soli uomini e ridà vita all’androide andato distrutto durante il naufragio, trattandolo come un vecchio amico. È una protagonista sola contro tutto e contro tutti che si muove in un ambiente freddo ed estraneo, fatto di cunicoli, sotterranei, angoli bui, già visti in La Cosa di John Carpenter: il sole non esiste, spesso l’unica luce  è quella flebile delle candele o delle fiaccole, la temperatura è sempre rigidamente sotto lo zero, gli interni del carcere sono talmente grandi e spogli da far risuonare l’eco delle voci. I corridoi e le stanze della colonia, perennemente resi oscuri da una nebbiolina che ricorda quella della brughiera inglese dei vecchi gialli di Sherlock Holmes, sembrano rifugi perfetti per la creatura che continuerà per tutto il film ad apparire dal nulla facendo strage di uomini.

La capacità di Fincher di far muovere la macchina da presa, di darle spesso il punto di vista del mostro (a volte anche a testa all’in giù creando ancora più ansia e angoscia), l’abilità di inquadrare costantemente le linee omogenee degli interni gotici e gli angoli bui della colonia, rendono il film ancora più claustrofobico, poiché la telecamera non si dirige mai abbastanza lontano da farci sentire a nostro agio nell’ambiente, sembra costantemente pronta a opprimere e soffocare lo spettatore. I costanti movimenti della macchina che si avvicina e si allontana, gira su se stessa, si capovolge, causano una costante sensazione di disagio che permane per tutta la durata della pellicola, rendendo molto difficile mantenere una qualsiasi forma di colore nelle immagini che alla fine, grazie alla maestria del direttore della fotografia Alex Thompson, risultano una sorta di chiaroscuro seppia, un fondo color sabbia che non abbandona mai la scena e che riporta a sce-nografie quasi medievali.

Nella filmografia di Fincher, Alien 3 rappresenta fino a oggi l’unica incursione nel genere horror-fantascientifico del regista americano che, forse ancora indeciso riguardo quale strada intraprendere, riesce comunque a dare una lettura diversa a una figura classica come quella del mostro. Tornando infatti alle origini del cinema di genere, Fincher incornicia la sua pellicola in un contesto primitivo e isolato, in cui nonostante l’ambientazione futuristica, l’uomo si trova nelle condizioni dei suoi antenati: indifeso, spaventato e senza armi contro un nemico che non conosce. L’unica società esistente, quella dei galeotti, si fonda su una religione descritta come un “cristianesimo integralista” con accenni di profetismo apocalittico, quasi fosse una vera e propria setta, i cui appartenenti chiamano Drago il mostro che li minaccia, scelta altamente rappresentativa della volontà di Fincher di trasformare Alien in una paura primordiale affibbiandogli il nome di una delle più conosciute creature maligne dell’antichità.

Per la prima volta, quindi, Alien non è più visto soltanto come il nemico, mostro sanguinario capace di uscire dal petto del proprio ospite, facendo strage di chiunque gli capiti sulla strada, ma come qualcosa di più profondo, quasi metafisico con un’origine però ben precisa: l’uomo stesso. Fin dall’inizio capiamo come Fincher abbia voluto da una parte far evolvere l’ormai famoso “alieno” a creatura intelligente, molto più umana rispetto al passato (la stessa Ripley spiega ai detenuti come questo sia mutato nel comportamento, si sia sviluppato rispetto ai suoi predecessori) e dall’altro gli attribuisca un aspetto strettamente legato alle più profonde paure umane: durante i titoli di testa, quando l’incendio sta  distruggendo  la  navetta,  vediamo  un’inquadratura in cui dal basso della telecamera spunta improvvisamente la mano del mostro che avvolge una delle capsule dove sono ibernati i membri dell’equipaggio, un po’ come l’artiglio di Freddy Krueger che esce da sotto un letto. E sarà proprio Ellen Ripley, in un passaggio del film, a sancire questa importante trasformazione:

85: You’re gonna go and look for it? (Davvero vai a cercarlo?)
Ripley: Yeah. I have a pretty good idea where it is. It’s just down there. In the Basement. (Sì. Credo di sapere dove si nasconde. È nei sotterranei. Proprio giù in fondo.)
85: This whole place is a Basement. (L’intero posto è un sotterraneo.)
Ripley: It’s a metaphor. (È una metafora).  David Fincher. Il buio si avvicina. Storia e Filmografia di uno dei massimi talenti registici degli ultimi venti anni, Adamo Dagradi (a cura di)

Dove il reale significato della parola “basement” non è sotterraneo come tradotto nella versione italiana del film, ma cantina, sottoscala, esattamente il luogo in cui ognuno di noi si aspetterebbe di trovare il proprio mostro. L’Alien del film di Fincher sembra vivere avvolto nel buio, proprio come l’Uomo Nero che ha contraddistinto gli incubi di tanti bambini; da lì partono i suoi attacchi agli umani, fin dalla prima vittima della colonia penale che finisce affettato in una ventola dopo essere stato spaventato a morte dal mostro che compare da un sotterraneo.

 

Alien 3 - VOTO: 3/5

Anno: 1992 - Nazione: USA - Durata: 114 min.
Regia di: David Fincher
Scritto da: David Giler, Walter Hill, Larry Ferguson
Cast: Sigourney Weaver - Charles S. Dutton - Charles Dance - Paul McGann - Brian Glover
Uscita in Italia: 1992 - Disponibile in DVD: Disponibile

 

About Marcello Gagliani Caputo
Giornalista pubblicista, scrive racconti (Finestra Segreta Vita Segreta), saggi sul cinema di genere, articoli per blog e siti di critica e informazione letterario cinematografica, e trova pure il tempo per scrivere romanzi (Il Sentiero di Rose).

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