Category: Recensione film

Denti ha un enorme, irrisolvibile ed, ehm, castrante problema: non ha deciso da che parte stare.

Menzione d’onore all’italica promozione della pellicola: tra la pletora di suggestivi poster promozionali del film, è stato scelto quello di gran lunga peggiore e furbetto (qui di fianco). Che fosse un sottilissimo messaggio subliminale?

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Fear itself si presenta come una serie dalle ottime potenzialità, , ma nasce su una tv sbagliata  che frena storie interessanti edulcorandole.

Dopo la morte di “Masters of horror” la tv sembrava diventata orfana di una serie antologica tra le più interessanti mai concepite. Abbiamo avuto una prima stagione che si è elevata grazie al lavoro di Landis, Dante, Argento e Miike in un’ottica comune di superare i rigidi confini imposti dal prodotto televisivo per sublimare la violenza e i nudi più estremi con la furia e l’estro di un’opera cinematografica.

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Il senso di noia diventa davvero pesante perchè non esiste una sola scena all’interno del film che non sia stata filtrata da altro.

James e Kristen tornano alla casa delle vacanze dei genitori di lui dopo una lunga serata passata fuori. La situazione è molto tesa: James ha appena chiesto a Kristen di sposarlo e lei ha rifiutato.  Mentre i due tentano di parlarne qualcuno bussa alla porta. È solo l’inizio dell’incubo per la coppia, che subirà l’assedio e l’aggressione da parte di tre strani individui mascherati: Dollface, Pin-Up Girl e The Man in the Mask.

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Sarà l’ambientazione sarà che la regia è frizzante saranno le memorabili tette della protagonista, ma -2 livello di terrore alla fine risulta un film efficace nel raccontare il prevedibile. 

Angela Bridges è una giovane donna in carriera. Ambiziosa e diligente, è l’ultima a lasciare l’ufficio anche la sera della vigilia di Natale. Raggiunto il parcheggio sotterraneo dell’azienda e accortasi dell’auto in avaria, chiede inutilmente aiuto a un addetto alla sicurezza: la macchina non parte. Rifiutando l’invito del ragazzo a partecipare alla sua modesta cena natalizia, Angela si congeda e chiama un taxi. Accortasi molto presto di non poter uscire dall’edificio, cerca invano e disperatamente aiuto. 

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La pellicola di Andrew Currie non sarà nè innovativa nè originale, tantomeno entrerà nella storia del cinema horror, ma è dannatamente ben fatta.

Toglietevi dalla testa tutto quello che Romero ed intere generazioni di registi horror troppo apprensivi ci hanno propinato sugli zombie: in verità, i morti viventi che scorrazzano sbavando per le nostre strade sono al nostro totale servizio. Rendiamo grazie alla ZomCom.

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Central Park, New York. E’ una bella giornata primaverile, c’è appena una bava di vento, molta gente nel parco.

D’un tratto, qualcosa di anomalo, urla, panico: la gente ha iniziato a suicidarsi senza alcun motivo apparente. E’ il via al terrore che coglie gli Stati Uniti, sempre fragili di fronte allo spettro dell’11 settembre. Subito viene diramato l’allarme per un attacco terroristico e la gente scappa da New York, ma presto si scopre che è tutto il nord est a essere “sotto attacco”.

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Se nel film di Jordan la violenza è il necessario tramite narrativo per affrontare tutt’altre questioni, in Death Sentence è la semplicistica impalcatura su cui reggere una fin troppo convenzionale discesa all’inferno di un’ora e mezza.

C’è un equivoco mediatico di fondo alla base di un certo tipo di critica fatta a Death Sentence: uscito più o meno contemporaneamente a Il Buio nell’Anima di Neil Jordan, la pellicola di James Wan è stata investita dall’onda non anomala di una certa critica…

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Siamo davanti a un cult che cresce ogni anno di più e che contamina, come un morbo, i più disparati film recenti.

Un gruppo di militari in licenza si troverà a fronteggiare una nuova minaccia in un Paese del Terzo mondo: un virus ha trasformato le persone in morti viventi con l’impulso di uccidere. Dovranno combattere contro questi mostri, ma anche contro un esercito che tende a sotterrare con il sangue i propri errori.

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In un mondo ideale, autori/registi come Jeremy Saulnier avrebbero fondi, potenzialità promozionali e distributive proporzionali al proprio talento.

Brooklyn, NY. Christopher (Chris Sharp) è il prototipo dello sfigato metropolitano: solitario suo malgrado, bersagliato dagli scherzi del vicinato, tiranneggiato in casa propria dal gatto obeso Sir Lancelot.

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Un disastro che poteva essere un buon film. Detestabile.

Premetto due cose: amo da impazzire i remake se fatti bene e adoro i film sugli zombi. L’alba dei morti viventi di Zack Snyder è un cult assoluto che si confronta con il capolavoro di Romero senza la pretesa di superarlo, ma anzi lo attualizza, lo cannibalizza come i suoi stessi zombi, facendolo diventare materiale diverso dal prototipo e comunque un film sempre bellissimo.

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