Cinema Blood Story: intervista con Matt Reeves

Blood Story: intervista con Matt Reeves

Nell’attesa che Blood Story arrivi nelle sale cinematografiche, horror.it ha scambiato quattro chiacchiere con il regista che ha trasposto in chiave USA il piccolo capolavoro svedese di Lindqvist.

Semplice, umile e brillante, Matt Reeves si presenta come un uomo qualunque, un vicino di casa. Eppure è lui, il regista di Cloverfield, uno dei fenomeni cinematografici più interessanti degli ultimi anni, nonché autore (perché regista e sceneggiatore) di Blood Story, la versione americana di Lasciami entrare, lo straordinario film svedese di Tomas Alfredson che ha rivoluzionato il modo di immaginare i vampiri al cinema.

Matt Reeves

I film horror americani sembrano basarsi quasi soltanto su effetti speciali spaventosi e situazioni estreme. Blood Story sembra quasi un film anomalo, in questo senso. È molto elegante, emozionante e raffinato e forse sono queste alcune delle ragioni per cui il film non ha avuto molto successo negli States. Secondo te, quali sono le qualità del tuo film? Pensi che con un po’ più di sangue gli incassi sarebbero stati differenti?

È difficile stabilire una cosa del genere a posteriori. Nel momento in cui abbiamo stabilito la data di uscita di Blood Story negli Stati Uniti la casa di distribuzione è caduta in fallimento e tutti i dipendenti sono stati licenziati in tempi record. La cosa, ovviamente, ha creato non pochi problemi. La sola cosa che posso dire è che il film è stato concepito come elegante e raffinato, quindi lontano dalle solite atmosfere gore dei film horror degli ultimi tempi. Pertanto non posso dire se le cose sarebbero state differenti.

Uno dei punti di forza del film è certamente l’interpretazione di Richard Jenkins. Com’è nata la vostra collaborazione?

Richard Jenkins è un uomo e un attore straordinario. L’ho visto per la prima volta in The Visitors. Ero con mia moglie, l’ho visto in scena e ho pensato: “Questo attore è impressionante, ha uno sguardo incredibile! Dovevo averlo nel mio film”. Così l’ho contattato, gli ho proposto la sceneggiatura, lui l’ha letta ed è stato come in un film, perché mi ha detto: “La sceneggiatura mi è piaciuta molto: parliamone”.

Cosa pensi dei mockumentary che stanno spopolando nell’ultimo periodo e che hanno seguito il tuo Cloverfield? E inoltre… Sai dirci qualcosa in più su Cloverfield 2?

Posso parlarti della mia esperienza con Cloverfield. Quando abbiamo cominciato a cercare i fondi per il film, la gente credeva sarebbe stato un blockbuster ad alto costo: invece è costato molto meno di qualsiasi aspettativa! L’idea di realizzare un film attraverso un solo punto di vista è stata indubbiamente vincente: l’unico punto di vista, infatti, è quello del personaggio che è nella scena in quel momento. Tutto quello che vediamo lo vediamo attraverso i suoi occhi: è questa la cosa che mi colpisce di più di quel film. Per quanto riguarda, invece, il progetto sul sequel del film, beh… Stiamo semplicemente aspettando di ritrovarci tutti, lontano dai nostri impegni, per discuterne nuovamente.

Una scena del film Blood Story

Da dove hai preso l’ispirazione per girare il tuo film? Ci sono molte differenze con la versione svedese e anche con il libro: da dove hai tratto ispirazione per le ambientazioni del film?

Diciamo che uno degli elementi fondamentali che mi hanno avvicinato a questo progetto è la somiglianza delle ambientazioni e delle situazioni del libro con i luoghi e le sensazioni della mia infanzia.

Stephen King dice che il tuo film è uno dei migliori film horror mai realizzati negli ultimi 20 anni. A mio modesto avviso, Blood Story è uno dei migliori remake mai realizzati, nonché uno dei più rispettosi. Quanto è difficile per un regista rapportarsi a un remake? Che difficoltà incontra nel realizzare un film ispirato a qualcosa di preesistente?

Una scena del film Blood Story

La versione svedese di questo film è bellissima, senza alcun dubbio. E approcciarsi a un film del genere è sempre complicato. Ma io volevo fare il mio film. Quando ho proposto l’idea del remake la gente ha pensato che i fan più accaniti non avrebbero apprezzato. E così in effetti è stato, inizialmente. Quando, poi, hanno visto il prodotto finale hanno cambiato idea. Il motivo è semplice: di solito i remake vengono realizzati per meri scopi economici, senz’anima, quindi. Io volevo realizzare la mia personale visione e versione del libro di Lindqvist, mettendoci tutta la passione possibile (al punto che ho impedito al cast tecnico di guardare il film prima delle riprese per evitare influenze). Quando realizzi un film, qualunque esso sia, devi metterci amore, passione, devi crederci, altrimenti sarà sempre un fallimento. E lo dico pensando anche a film remake come La cosa di Carpenter, che a mio avviso è un vero capolavoro, tanto quanto l’originale.

Hai dato vita a uno dei più originali film di fantascienza degli ultimi anni, intimamente collegato al mondo del web 2.0. Con Blood Story hai realizzato un film basandoti su una storia già esistente e non su soggetti originali come hai sempre fatto finora. Che differenze di approccio hai riscontrato rispetto al film precedente?

Cloverfield e Blood Story sono due film molto diversi, è vero, ma alla base del mio cinema c’è sempre e solo un assunto fondamentale: mai perdere d’occhio il punto di vista. Mai. Perché è davvero la parte più importante dell’intero lavoro.

About Luna Saracino
Appassionata, maniacale, artisticamente onnivora, anche se l’horror in ogni sua forma e sostanza è entrato a far parte della sua vita fin dalla più tenera età e oggi cinema e letteratura (horror e non solo) più che una passione, forse, sono diventati una vera e propria ragione di vita.

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