In attesa dell’uscita della sua nuova pubblicazione, mentre nei cinema impazza Blood Story, il remake americano del film tratto dal suo capolavoro, vogliamo proporre ai fans dell’horror europeo una sorta di retrospettiva su John Ajvide Lindqvist, noto a molti come autore di “Lasciami entrare”.
E’ mia personalissima opinione che un autore nordico che vuole scrivere horror sia naturalmente avvantaggiato: inverno (e oscurità) nove mesi l’anno, natura ancora allo stato selvatico, una lunga tradizione di leggende già ricche di violenze, mostri e personaggi equivoci.
Sicuramente c’è molto di questo smarrimento dell’anima nell’opera di John Ajvide Lindqvist, interessantissimo autore svedese salito alla ribalta delle cronache letterarie nel 2004 (nel 2006 esce la versione italiana) con Lasciami entrare, interessante opera legata al tema del vampirismo che oltre a regalare il successo al suo autore ha letteralmente aperto un portone agli autori horror e thriller di provenienza scandinava. La qualità della scrittura di Lindqvist è sorprendente soprattutto perché non sfrutta i classici temi dell’horror con scopi meramente sensazionalistici e commerciali, ma li rielabora con una forte sensibilità moderna tesa a trasmettere un messaggio sociale ed ideale.
E così Lasciami entrare, di poco precedente alle varie saghe twilightiane e ai romanzetti pseudo-adolescienziali che hanno sdoganato una versione palestrata e tamarra del Conte Dracula, ci offre una storia paradossalmente molto umana, la vicenda del giovane Oskar, residente nei noiosi sobborghi di Stoccolma, figlio di separati, vittima della sua timidezza, della sua inadeguatezza e quindi di violento bullismo da parte dei suoi compagni più smaliziati. In questo contesto di difficoltà e sofferenza Oskar incontra Eli, un antico vampiro nel corpo di una bambina, e assieme, nella loro amicizia e nel loro amore, proteggono la loro “diversità”, mentre nel mondo fuori un feroce assassino pedofilo sta sopprimendo tante giovanissime vite.
La storia è pervasa di varie forme di violenza, tra le quali quella rappresentata dal vampiro è tutto sommato la più trascurabile: si parla di pedofilia, di bullismo, di disagio sociale, di droga, di omicido, sui quali l’impianto sovrannaturale più che aggiungere disperazione sembra semmai segnalare una via di fuga, l’anelito a poter sopravvivere, a poter riaffermare la propria voglia di esistere e resistere. Quello di Lindqvist diventa un vampirismo di “protesta”: in questo suo capolavoro l’idea di un’infanzia violata (quella di Oskar, di Eli, delle vittime del mostro pedofilo) resta predominante sulla storia del vampiro, e il sangue versato non ha mai uno scopo meramente sensazionalistico.
La stessa forza metaforica la ritroviamo ne L’estate dei morti viventi, dove l’icona dello zombi (spesso considerato, almeno nella tradizione, il mostro di categoria B in quanto privo di cervello e di aspetto assai poco gradevole) diventa l’equazione diretta del nostro più oscuro desiderio di non dover mai morire né, soprattutto, veder morire i propri cari. In una Stoccolma dei giorni nostri un enorme campo magnetico, frutto di un clima anomalo, richiama in vita i morti dell’obitorio. Non si tratta di una soluzione à la Romero, anzi. Tutti rivogliono a casa i loro estinti. Finchè non ci si accorge che la vita non può semplicemente riprendere da dove sembrava interrotta. E donare una seconda morte può essere non solo un atto doveroso, bensì necessario. Senza clamori cinematografici, Lindqvist intesse una storia se vogliamo ancora più toccante e profonda di Lasciami entrare, in cui la metafora socio-idealistica è ancora più smaccata, e in cui l’uomo mortale si riconferma centomila volte più complicato e crudele del mostro.
Se si parla di vita e di morte, non si può prescindere dai fantasmi, e infatti Lindqvist per il suo Il porto degli spiriti sceglie di parlare proprio gli spettri, nonché di antiche maledizioni che avvolgono una remota isola della Svezia, il tutto trattato con piglio assai kinghiano. Lo spettro protagonsita è quello di Maja, figlia del protagonista Anders, misteriosamente scomparsa – si dice morta – durante una gita al faro dell’isola. La famiglia non sa darsi pace, si sconquassa a causa della perdita e del dolore, troppo diversamente gestito dal padre e dalla madre, e mentre la donna cerca di rifarsi una vita, Anders vuole delle risposte ed è convinto che la figlia lanci dei messaggi dall’aldilà, mentre sull’isola poteri occulti tornano a scatenarsi.
Lindqvist in questo romanzo mette molta roba al fuoco, e purtroppo il suo tono comincia ad arrancare. Perde in primis la sua primaria qualità narrativa, ovvero quella di saper conciliare così bene il piano sovrannaturale con quello quotidiano. Ne Il porto degli spiriti tutto si aggroviglia attorno al decadimento metale e fisico del protagonista, con un linguaggio spesso faticoso, inutilmente ripetitivo, e una mancanza di convizione nel gestire la materia a tratti palese.
L’idea della comunità chiusa ossessionata da antichi segreti non è originale, ma di solito funziona: è una matrice infatti abbastanza sicura per intessere una trama sufficientemente accattivante. Lindqvist è vittima di un calo qualitativo – e forse a questo libro manca quel sustrato di “crisi sociale” che faceva la differenza nei precedenti romanzi. Il porto degli spiriti resta pur tuttavia un romanzo godibile nei suoi aspetti più narrativi o se non si pretende dall’autore una coerenza qualititativa.
La trilogia (voluta o meno in questo senso) è completa e ci ha offerto un sapiente, completo spaccato di quella che chiamerei un’atmosfera di “solitudine e mitologia”. Soprattutto Lindqvist ha dimostrato che il genere horror non è necessariamente relegato al puro intrattenimento, ma può essere un medium efficace a trasmettere – sotto chiave metaforica ora evidente, ora velata – il disagio di un individuo, di un’epoca, di un sistema. E’ per questo che sotto varie forme, con accenti più o meno marcati, il seme dell’horror è sempre stato presente nella tradizione narrativa dell’uomo. Certo, ci sono stagioni in cui questo seme si trova a germinare con più vigore. Indubbiamente in questo senso i nostri tempi sono assai fertili.
John Ajvide Lindqvist nasce a Blackeberg, sobborgo di Stoccolma, il 2 dicembre 1968. Prima di dedicarsi professionalmente alla scrittura, ha lavorato per dodici anni come prestigiatore e cabarettista, e ha scritto testi per il teatro e la televisione, elaborando soprattutto battute per famosi comici svedesi. I suoi romanzi sono tradotti e letti in tutto il mondo, da “Lasciami entrare” è stato tratto un bellissimo film a regia sempre svedese, e sono preannunciate pellicole anche dagli altri due romanzi. In Italia Lindqvist è pubblicato da Marsilio, per la quale è di prossima uscita una raccolta di racconti che includono anche una sorta di proseguimento di “Lasciami entrare”, con gli stessi protagonisti del romanzo.
About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.
Twitter •