Fantasmi After.Life

After.Life

A metà proiezione addosso a questo atipico thriller che vuole giocare con la morte, i suoi simboli e la sua fenomenologia, quantomeno le stimmate del puro esercizio di stile sembrano prendere pericolosamente forma.

Dopo un terribile incidente automobilistico, Anna (Christina Ricci) si risveglia all’interno del laboratorio del dottor Eloit Deacon (Liam Neeson), il direttore delle locali onoranze funebri impegnato a preparare il suo corpo alla sepoltura. Confusa e terrorizzata, Anna non riesce ad accettare quella nuova condizione così tranquillamente espostagli da Deacon: lei è irrimediabilmente morta, e riesce a interagire con lui solo in virtù di un presunto dono dell’uomo che gli permetterebbe di parlare coi morti.

Ma troppe apparenti contraddizioni non permettono a Anna di accettare quella condizioni: e mentre il suo stesso ragazzo Paul (Justin Long) sospetta che qualcosa non sia esattamente come appare, il giorno della tumulazione di Anna di fa sempre più vicino…

Il vero problema è che all’ennesima occasione in cui le telecamere si muovono morbide ed eleganti come lupi famelici intorno al corpo nudo di Christina Ricci vengono a galla un paio d’interrogativi su quella che è la reale sostanza dell’esordio cinematografico della sceneggiatrice e regista Agnieszka Wojtowicz-Vosloo. Perché a metà proiezione addosso a questo atipico thriller che vuole giocare con la morte, i suoi simboli e la sua fenomenologia, quantomeno le stimmate del puro esercizio di stile sembrano prendere pericolosamente forma: lanciata da una premessa narrativa tanto stuzzicante quanto delicata da gestire, la sceneggiatura di After.Life da la fastidiosa impressione di impantanarsi, arrabattarsi, diluirsi nel’ autocompiacimento arty e in un’ora e mezza davvero troppo lunga per quelli che dovrebbero essere i suoi intenti più puramente narrativi. Due protagonisti e mezzo – il Paul di Justin Long è nei fatti un comprimario cui vengono concesse le luci delle ribalta e l’incarico risolutivo solo nelle battute conclusive – e una sola location effettiva, il laboratorio del dottor Deacon: è su questo palcoscenico ridotto che la regista monta una lenta pièce ad alto tasso drammatico che mai esplode ma brucia lenta e soddisfatta, che ama fin troppo guardarsi allo specchio alla luce della sua fotografia elegante, del mutevole corpo bello e nudo di Christina Ricci, del mestiere di Liam Neeson, ma inevitabilmente sempre uguale a se stessa si perde nei propri riflessi e continua a girare attorno all’interrogativo di fondo che sottende a tutto il lavoro – “Cosa sono la vita e la morte? E chi può davvero dirsi vivo?” – e agli indizi che lascia per strada – il sesso con il proprio uomo che sembra un rituale di pre-morte, una tinta per capelli color sangue – che non sempre torna a raccogliere, e che trasforma quella che vorrebbe essere una riflessione esistenziale non priva di eccessivi cerebralismi in un esercizio di stile dove non sembra esserci alcuna anima a reggere il peso dell’abito delle grandi occasioni. Un errore imperdonabile per chi su di un qualcosa anche solo vagamente accostabile al concetto di anima ha costruito un intero film.

After.Life

(USA, 2009)
Regia: Agnieszka Wojtowicz-Vosloo
Sceneggiatura: Agnieszka Wojtowicz-Vosloo, Paul Vosloo
Interpreti: Christina Ricci, Liam Neeson, Justin Long, Chandler Canterbury
Durata: 104 min.
Distribuzione: Anchor Bay

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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