“Una puntura di zanzara prude meno, quando sei riuscito a schiacciare la zanzara” sostenevano vecchi saggi. L’aforisma si adatta bene al contesto superviolento, botta e risposta di sangue, vendetta pura e goduriosa.
1978: qualche anno dopo L’Ultima Casa A Sinistra, infiniti anni prima del proliferare indiscriminato del torture porn. Meir Zarchi coglie l’attimo e scrive e gira Non Violentate Jennifer (traduzione col “non” modaiolo di un più pittoresco I Spit On Your Grave), che al film di Craven e al suo schema stupro&vendetta deve praticamente tutto. Nonostante la scarsa inventiva ed alcune autorevoli ed affossanti critiche (Roger Ebert lo etichetta come il peggior film di sempre), diventa un piccolo cult. 2010: il torture porn dilaga, i remake pure. Tempo di rifare Jennifer, Ebert si rassegni!
Jennifer Hills è una scrittrice di città col blocco, per ritrovare l’ispirazione si isola in un delizioso cottage tra alberi e laghetti, lontana da civiltà e tecnologia. Prima che sopraggiunga la vena creativa, sopraggiunge una gang di stupratori (5, uno in più dell’originale, giusto per cronaca) che la umilia in tutti i modi possibili prima di violentarla ferocemente. I pervertiti, credendola morta, la abbandonano e tornano alle loro vitacce. Ma Jennifer è viva ed incazzata nera. Con dovizia di accorgimenti e la sapienza di un ingegnere, pianifica e consuma la sua atroce vendetta.
“Una puntura di zanzara prude meno, quando sei riuscito a schiacciare la zanzara” sostenevano vecchi saggi. L’aforisma si adatta bene al contesto superviolento, botta e risposta di sangue, vendetta pura e goduriosa. E’ il 2010 e questi temi non hanno neanche un centesimo dell’effetto eversivo e scioccante che potevano avere trent’anni fa, quando i primi film “rape and revenge” fecero ardito capolino suscitando indignazione e svenimenti in sala. Tuttavia il lifting giova visivamente e l’impatto permane, l'”I Spit” del ventunesimo secolo è uno dei pochissimi remake a fare miglior figura dell’originale, che fu sicuramente più coraggioso ma anche molto più grezzo. La casupola dove si rifugia la protagonista (Sarah Butler, che incanta sia come vittima che come fine torturatrice, sfoderando una doppia faccia da paura), soffocata dal silenzio e dalla vegetazione, è un tenebroso ed affascinante bersaglio esposto, l’ambientazione perfetta per un assalto spietato. Lì attorno hanno luogo i due atti feroci su cui il film costruisce le proprie fortune. Nel mezzo, un rallentamento comprensibile, boccata d’ossigeno prima che il “karma” annienti i criminali. E’ tutto violenza: moralmente fastidiosa quella della prima parte, che azzera la dignità della donna, più feroce, maestosa e letale quella perpetrata proprio da una Jennifer resa insensibile e sanguinaria dagli abusi subiti.
Certo uno scricciolo di scrittrice che demolisce una gang con tecniche da genio del male (sig. Enigmista, prenda nota) è inverosimile, ma poco importa se la sua reazione restituisce fiducia. E’ un occhio per occhio dente per dente (letterale!) che ribalta lo stomaco, puro contrappasso. Jennifer mutila, storpia e umilia una, dieci, cento volte più dei suoi aguzzini e lo fa in maniera fredda e calcolata, anche un po’ troppo. L’apice della punizione è riservato al capobanda (Jeff Branson), nel momento più disgustoso e rivoltante del film, per l’immensa sofferenza di tutti gli ometti alla visione. Il pubblico (soprattutto quello in gonnella) esulta.
Qui forse i buoni non vincono, ma di sicuro i cattivi perdono.
About Luca Zanovello
Twitter •