Category: Recensione film

Non Aprite Quella Porta 3 sta nel mezzo, non affossa né eleva il buon nome della serie, è sostanzialmente tutto ciò che un seguitino anni 90 deve (e può) essere: amico del gore, ironico quanto basta e capace di stare in piedi da solo.

Il terzo atto della saga della sega segna l’uscita di scena del maestro Hooper, inizialmente intenzionato a metter mano al progetto ma successivamente costretto a dare forfait per realizzare l’horror paranormale I Figli Del Fuoco.  Prima che Jeff Burr (regista dell’interessante Il villaggio delle streghe) venisse chiamato si erano già fatti il nome di registi del calibro di Peter Jackson al timone di comando.

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Leatherface, nel goffo tentativo di aderenza alla materia ispirata, diventa un grottesco gigante transgender, con le labbra strappate da modelle e lo sgraziato corpo da circo dei freaks.

Ecco la peggiore paura di ogni fan dl cinema, horror e non: un seguito cosi’ cattivo da spazzare in un lampo i crediti guadagnati dal prototipo e dai suoi figlioletti. E’ successo con Scream con un terzo capito micidialmente meta cinematografico, con Nightmare e Freddy Kruger pagliaccio a cavallo di una scopa, con un nuovo Venerdi’ 13 vestito da Enigmista, ed è successo, nell’anno del Signore 1994, a Non aprite quella porta.

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“Col budget del film di Hooper questi ci avrebbero pagato giusto le birre” obietterà il critichino. Ma la verità è che in questo remake, umile ma grintoso, la motosega torna a rombare alla grande.

Rimodernare un classicone come Non Aprite Quella Porta è sempre un grosso rischio: il linciaggio da parte dei fans è costantemente dietro l’angolo perchè se le sperimentazioni sono un’arrogante blasfemia, l’eccessiva fedeltà al predecessore suona come una calata di braghe. Forse non esiste modo di uscire totalmente indenni da una missione simile, ma se c’è, Marcus Nispel (Pathfinder, Venerdì 13) ci è andato vicinissimo.

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Peccato che le cose non siano come sembrino e che le persone non siano mai chi dicano di essere…

Erano i lontani anni ’70 quando l’esordiente Tobe Hooper presentò al pubblico una creatura mostruosa e deforme, alienata e alienante, che presto, contro ogni aspettativa, sarebbe entrata a far parte dell’Olimpo dei cosiddetti “nuovi mostri”. Dopo tre sequel e un remake, anche Thomas Hewitt aveva bisogno di un prequel che ne spiegasse, in qualche modo, la sua nascita. E così, Hooper cede i diritti al regista in erba Jonathan Liebesman – che alle spalle aveva, soltanto, il poco riuscito Al calar delle tenebre – per raccontare in chiave moderna, la storia di Letherface.

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Sono anni che si vociferava di un reboot della celebra saga con protagonista Bruce Campbell e finalmente in questi giorni di caldo estivo arriva come un fulmine a ciel sereno la conferma… il remake di Evil Dead si farà!

Lo voleva da tanto Raimi, riportare sullo schermo le avventure di Ash, il disgraziato intrappolato in uno chalet di montagna assediato dalle forze demoniache e finalmente a vent’anni di distanza da L’armata delle tenebre ne avrà l’occasione producendo per la sua Ghost House Picture il remake di Evil Dead. Insieme al suo storico socio Rob Tapert e al noto protagonista della saga Bruce Campbell.

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“Una puntura di zanzara prude meno, quando sei riuscito a schiacciare la zanzara” sostenevano vecchi saggi. L’aforisma si adatta bene al contesto superviolento, botta e risposta di sangue, vendetta pura e goduriosa.

1978: qualche anno dopo L’Ultima Casa A Sinistra, infiniti anni prima del proliferare indiscriminato del torture porn. Meir Zarchi coglie l’attimo e scrive e gira Non Violentate Jennifer (traduzione col “non” modaiolo di un più pittoresco I Spit On Your Grave), che al film di Craven e al suo schema stupro&vendetta deve praticamente tutto. Nonostante la scarsa inventiva ed alcune autorevoli ed affossanti critiche (Roger Ebert lo etichetta come il peggior film di sempre), diventa un piccolo cult. 2010: il torture porn dilaga, i remake pure. Tempo di rifare Jennifer, Ebert si rassegni!

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Il film regala speranze ai sogni nel cassetto di ogni sceneggiatore e regista in erba: se ce l’ha fatta Fading Of The Cries, c’è una chance per tutti.

Siamo alle prese con un indie scialbo che racconta di un piccolo paese improvvisamente invaso da un’orda di creature un po’ demoni e un po’ vampiri. Sguinzagliati dal perfido stregone Mathias (Brad Dourif, Bambola Assassina, Dune), gli esseri puntano dritto verso la casa di Sarah (Hallee Hirsh) e della sua acida matrigna, ma dove c’è una fanciulla in difficoltà c’è anche il cavaliere di turno.

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Mask maker è un frappè di tanti film senza la preoccupazione di una sceneggiatura: siamo dalle parti di un qualsiasi Venerdì 13 anni ’80 senza però l’estro e la crudeltà di quei film.

Una casa isolata, un gruppo di amici in vena di divertimento a base di sesso e alcool e un maniaco omicida col vizio di staccare la faccia alle sue vittime. Jason Vorhees? Faccia di cuoio? No, Mask Maker!

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Con tutti i rifacimenti statunitensi di film orientali c’era da aspettarsi un contrappasso, prima o poi. Ma di Paranormal Activity, fenomeno più per marketing che per meriti, serviva davvero un clone?

Una telecamera a monitorare una stanza da letto, sede di fatti inspiegabili. Era lo scarno ma ingegnoso quadretto di Paranormal Activity, anno 2007, il più grande fenomeno mockumentary dai tempi della strega di Blair.

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Ben venga nelle nostre serate di horromaniaci anche questo The hounds, segno che in Italia ancora crediamo nel cinema del terrore, e malgrado il destino, il governo ladro che fa piovere, siamo capaci di fare paura.

Mentre 4 amici, Jake, Sarah Martin e Dave partono per delle vacanze in un bosco, Myke, un detective della omicidi, sta indagando su un’organizzazione malavitosa chiamata The Hounds. Le due storie all’apparenza senza collegamenti si uniranno nello shockante finale.

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