Cinema THE BLEEDING HOUSE

THE BLEEDING HOUSE

THE-BLEEDING-HOUSEDagli Stati Uniti ecco The bleeding house (2011) di Philip Gelatt: tanto promettente nella trama, quanto deludente e anonimo nella realizzazione

 

Dallo sconosciuto Philip Gelatt arriva un horror altrettanto sconosciuto, The bleeding house (2011), che francamente non avrebbe fatto danno se fosse rimasto effettivamente tale. È un film anonimo, impersonale, che se vogliamo regala anche qualche bella scena, ma di cui ci si dimentica poco dopo averlo visto. La sensazione primaria che lascia questa pellicola è la sua inutilità: The bleeding house va contestualizzato all’interno dell’immensa produzione americana underground in cui troviamo un po’ di tutto, film ottimi, altri mediocri, altri ancora brutti ma che si lasciano ricordare per qualcosa; ecco, questo no, non possiede nemmeno quel quid che lo differenza da una marea di altre opere similari e altrettanto dimenticabili.

bleedinghouse3Protagonista della storia (scritta dallo stesso regista) è una famiglia americana, gli Smith, alquanto particolare: vive in una casa dispersa in campagna, rifiuta ogni contatto sociale e ha un misterioso passato da nascondere. Il padre Matt è in cerca di un lavoro, la madre Maryline vive ossessionata dai ricordi e si dedica a un passatempo in soffitta (tassidermia?), la figlia Gloria si rinchiude nella sua stanza costellata di insetti infilzati e risponde solo se la si chiama “merlo”, il figlio Quentin – il più “normale” – vorrebbe fuggire insieme alla fidanzata Lynn. Una sera bussa alla loro porta uno strano individuo, Nick, che dice di avere l’auto in panne e chiede ospitalità per la notte. Dopo alcune esitazioni, la coppia accetta e intrattiene una chiacchierata con l’ospite, apparentemente una persona tranquilla. Nel corso della serata, l’uomo rivela però la sua vera identità: uccide Quentin, tramortisce i due coniugi e li lega a un apparecchio che estrae loro il sangue, uccidendoli lentamente. Mentre Gloria tenta la fuga, Nick dichiara il suo scopo: è una sorta di “giustiziere” auto-proclamatosi purificatore dei peccati altrui, che vaga di casa in casa uccidendo le persone che si sono macchiate di colpe: e la storia della famiglia Smith gronda sangue.

bh8È un film veramente strano, questo The bleeding house, perché avrebbe le potenzialità per essere quantomeno un buon film, ma la debole regia, il cast anonimo e un’estetica piattissima – quasi televisiva – vanificano ogni sforzo. La prima parte è un vero e proprio sforzo per lo spettatore, una sfida a proseguire la visione senza cedere alla facile tentazione di spegnere: la noia domina, non succede nulla e abbondano i dialoghi in cui si fa sempre riferimento a “qualcosa del passato” che continua a segnare la loro vita. Invece di produrre mistero e suspense, la situazione crea invece solo fastidio (e non in senso buono), senza riuscire a catturare davvero l’attenzione. Sembra che debba accadere qualcosa quando vediamo Maryline nella “stanza segreta” alle prese con un liquido rosso, ma la situazione rimane in sospeso e di fatto non sarà mai chiarita. Finalmente, dopo circa un quarto d’ora entra in scena Nick, il misterioso personaggio vestito elegante con un completo bianco e un cappello del medesimo colore (sicuramente la figura più interessante del film). La storia inizia a coinvolgere maggiormente lo spettatore, senza però elevarsi mai sopra la mediocrità, sia dal punto di vista narrativo che estetico – da notare per esempio la quasi totale assenza di musica, ridotta a una serie di suoni in sottofondo.

thebleedinghousebd72_00_50_12_00005Uno dei problemi fondamentali di The bleeding house è la sua eccessiva pretenziosità: la sceneggiatura e la regia vogliono infatti unire il thriller puro con situazioni da torture-porn e un sostrato di quel fanatismo religioso così sfruttato dal cinema horror contemporaneo (vedasi Red State, Holy Ghost People, The Sacrament). Ma Gellat non ha (o perlomeno non ha ancora) la capacità di fondere il tutto in un corpus sufficientemente omogeneo e appassionante, e finisce così per fallire su buona parte della linea. I momenti più riusciti sono le scene di sangue e violenza, con effetti speciali – va detto – anche ben realizzati considerata la natura low-budget del film. Originale è la scelta dello strumento di tortura (che fra l’altro nell’ottica del giustiziere non vuole neanche essere tale): una macchina a pressione che tramite una siringa estrae il sangue alle vittime facendole morire lentamente. Se vogliamo, è un topos del gotico classico (una sorta di vampirismo) rivisitato in senso moderno, con tanto di conservazione del sangue in appositi barattoli che Nick porta con sé a testimonianza dei vari delitti compiuti. Vediamo dunque schizzi di sangue in abbondanza, dettagli su ferite e gole tagliate e un breve flashback sul massacro di una famiglia avvenuto anni prima e in cui si nasconde il segreto degli Smith. La suspense invece emerge solo a tratti, e il discorso sul fanatismo religioso è trattato male e in modo confusionario: non si capisce, per esempio, perché questo sedicente giustiziere conserva il sangue delle vittime e perché vuole trasformare Gloria in un’assassina. Del resto, molti sono i punti che in The bleeding house rimangono oscuri: particolarmente esemplificative sono le ferite sulla schiena di Nick, messe in mostra quasi in preparazione di un colpo di scena che invece non arriva e viene lasciato all’immaginazione dello spettatore. In molti film, questa sospensione è voluta e funziona in maniera efficace: qui no invece, e dà l’impressione di essere un simbolo di tutta l’opera, una continua promessa che non viene mantenuta e che, pur offrendo qualche buona scena, finisce inevitabilmente per deludere lo spettatore.

THE BLEEDING HOUSE - VOTO: 1,5/5

Anno: 2011 - Nazione: USA - Durata: 83 min.
Regia di: Philip Gelatt
Scritto da: Philip Gelatt
Cast: Patrick Breen - Richard Bekins - Betsy Aidem - Alexandra Chando - Charlie Hewson
Uscita in Italia: - Disponibile in DVD: NO

 

About Davide Comotti
Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica. Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter. Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film. Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo. Scrive su "La Rivista Eterea" (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it. Ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it. Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint). Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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