Cinema The Sacrament: anteprima

The Sacrament: anteprima

sacrament coverTi West ci introduce al fanatismo religioso e al settarismo con The Sacrament, ultima fatica dell’autore di The Innkeepers.

L’attesa è sensazione meravigliosa o crudele a seconda dell’aspettativa macinata da sinapsi frenetiche come per il Fantozzi fumante in attesa che Ughina venisse al mondo. Forse Leopardi aveva capito tutto, e pure il tipo sventrapapere e barbuto dello spot Campari non mente. Attendere è gioia più della gioia stessa. The Sacrament è attesa gagliarda, gasata, pioggia che diventa neve, strade aperte verso un dj set di Armin van Bureen sulla battigia di Bahia o il cenno di una rossa con lo smalto nero e le parigine azzeccate al top leopardato che ti indica la via verso i cessi all’Alcatraz nonostante la tua camicia a quadri improponibile e la fiatella da crauti e Moretti. Perchè certe storie ti prendono,  ti corrispondono all’azimut, sono esattamente ciò che vorresti leggere, guardare o ascoltare quel giorno a quell’ora. Poi ti capitano film come  Snowpiercer ( 2013, Bong Joon-ho) e resti attonito, basito, focalizzi che la rossa nei cessi dell’ Alcatraz voleva solo da accendere e che l’eccesso di alcol ti ha fatto confondere Cattolica con Bahia. Ma non importa, la prossima volta, inesorabilmente, in una coazione a ripetere eterna come il fluido ondeggiare dei sacchetti non biodegradabili  sul Naviglio Pavese, ci ricascherai. Perchè in fondo Ti West è un pò come Danny Boyle, sai che dal cilindro, anche all’interno di un film largamente sbagliato, tira fuori il colpo a sorpresa, la giocata a metà campo sullo zero a zero che vale il prezzo del biglietto.

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E se poi il film invece è figo, beh allora si va al pub con gli amici a commentare e un sorriso ebete ma compiaciuto come un Joker renziano staglia i contorni sgraziati del tuo viso quarantenne. é capitato con The Roost e poi con Cabin Fever 2 e nonostante il proliferare di detrattori della prima ora, è successo anche con The Innkeepers. West ha spaccato, ha dimostrato un talento ancora acerbo ma vivido e distinguibile, una capacità nella messa in scena da affinare ma figlia della scuola di James Wan, quindi calda e vintage come un parka berlinese, un eccesso di sicurezza (pensiamo ai corti deludenti di  ABC’s of Death e V/H/S) che tutto sommato a trentaquattro anni si può perdonare a patto che Ti faccia il salto definitivo verso l’olimpo dei cineasti maturi, dei “segnati”, dei predestinati al rilancio in grande stile dell’horror americano. The Sacrament arriva giusto giusto come una tesi di laurea sul finire dei risparmi di papà, è il salto dal nido, il volo o lo schianto, E Ti volerà, perchè è sano e robusto e perchè guarda lontano. Il tema, come premesso è di quelli che vibrano da sempre nelle corde di che ama un certo tipo di Cinema. I film incentrati sulle deviazioni morali delle sette parareligiose hanno storia e fascino “antico”, spesso ispirati da fatti realmente accaduti, un pò come successo a Ti West nella creazione di The Sacrament, influenzato non poco dal celeberrimo massacro di Jonestown, Guyana, nel quale 909 cittadini americani membri del Peoples Temple Agricultural Project, una comunità di fanatici isolazionisti e nostalgici delle radici agricole del midwest americano, ingerirono spontaneamente cianuro il 18 novembre 1978. Dicevamo della tradizione del Cinema delle congreghe e c’è parecchia trippa per gatti, titoli mirabolanti e indimenticabili, in primis The Wicker Man  (1973,Robin Hardy)  seminale  e britannico, così come servo di Albione è il recente e straordinario  Kill List di Ben Wheatley, passando per In Corsa con Il Diavolo (1975, Jack Starrett ), Sentinel (1977, Michael Winner) e ancora i capostipiti eighties Grano Rosso Sangue (1984,Fritz Kiersch) e  Il Signore del Male (1984, John Carpenter). Nei Novanta William Friedkin mette la firma sul sottovalutato L’Albero del Male (1990) e il nostro Michele Soavi, in combutta con il Dario nazionale, partorisce il bellissimo la Setta (1991). Da li in poi una miriade di prodotti di basso profilo nettamente sotto il rigo delle pellicole sopra nominate (eccetto il The Village di Shyalaman che da una prospettiva diversa ci dona inquietudine e suspence in uno dei suoi tre grandi capolavori prima dell’attuale condizione di inesorabile declino qualitativo) fino a quando tre anni fa quel pazzoide sperimentale di kevin Smith mette il sigillo sul gioiello Red State, riportando agli antichi fasti il genere e dando spessore a un trend in ascesa, confermato anche dal Holy ghost people dei genietti Butcher Brothers, disponibile on demand sui canali americani e da Children of sorrow, diretto da Jourdan McClure, prodotto di mamma Lionsgate e da pochissimo distribuito in home video negli States con ottimi riscontri di critica. Tornando a The Sacrament assisteremo all’ennesimo POV e questo è male come direbbe il compianto Harold Ramis nei panni del Dottor Spengler in Ghostbusters. ma proviamo ad andare oltre e da ciò che trapela dagli States c’è da entusiasmarsi: attori strepitosi, minuziosa caratterizzazione, plot avvolgente e ipnotico, splatter quanto basta, sottotesto non forzato senza stucchevoli critiche anti integraliste ma piuttosto un giocare per sottrazione lasciando alla spettatore l’asciuttezza critica funzionale all’elaborazione dei significati. West sceglie un approccio documentaristico per condurci gradualmente nelle viscere della suggestione, utilizzando caratteri carismatici ma non forzati, al fine di introdurci dentro un delirio quasi giustificato senza necessariamente sottendere a una morale. Una struttura in tre atti in cui il movimento di macchina vibra all’unisono con la crescente tensione tellurica della seggiolina in sala.
Veniamo alla sinossi.

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Due cameramen di una piattaforma di produzione  “indie” specializzata nella distribuzione in rete decidono di aiutare un collega fotografo alla ricerca della sorella, scappata in una sperduta comunità bucolica . La setta ha messo radici nella natura selvaggia, fuori dagli occhi indiscreti di media e autorità. Dopo aver raggiunto un mistico centro di preghiera denominato Eden, scopriranno che  duecento persone vivono assoggettate da un capo carismatico chiamato “Padre”,  in un utopico e ideale regime autarchico e pacifista. Tutto troppo bello per essere vero e presto segnali inquietanti e sempre più inequivocabili faranno ricredere i tre  sulla benevolenza del capo setta e sulla sue intenzioni pacifiche. Il cast vede protagonisti Joe Swamberg, Aj Bowen, Amy Seimetz, kate Lyn Sheil, tutti già visti in uno dei film più apprezzati della scorsa stagione, quel You’re The Next capace di consacrare Adam Wingard fra i più validi giovani cineasti emergenti grazie a uno stile pop e disincantato. Nella parte del santone manipolatore Gene Jones, “bastardo senza gloria” dai tratti somatici semplicemente perfetti per un ruolo del genere, caratterista strepitoso capace di sedurre fior di autori mirabili fra cui i fratelli Coen o Terence Winter. Produce Eli Roth e quasi ce ne dimenticavamo. Il figlioccio di Tarantino, oramai assai scomodo in questa definizione, continua a dimostrarsi eclettico e frenetico nel saltellare fra supervisione, parti sul set e regia. Dopo Green Inferno  la sensazione è un pò quella di avere a che fare con un top player intoccabile da parte di pubblico e buona parte della critica anche laddove la costanza di risultati al botteghino non sia prerogativa scontata. Dopo il cannibalismo, Mr “Splat Pack” Roth proverà ad ammaliarci con un’altra giungla, solo apparentemente più innocua, un parallelismo interessante fra società organizzate intorno alla ritualità, lungo percorsi ordinati che l’elemento esterno porta alla deflagrazione, alla reazione del sistema chiuso e ridondante verso la minaccia globalizzata e corrotta. Tutto attualissimo in fondo e coerente con lo scritto di  Ti West, un indagine di giornalismo alternativo entro le radici di una controcultura distante dalle scelte di massa, modello di rottura piuttosto diffuso fra la fine dei Sessanta e i Settanta e attualmente sempre più in voga (basti pensare per esempio alla setta italiana di Damanhur) grazie alla fragilità sociale ed economica imposta dalla devastante crisi degli ultimi anni. Non siamo nel Borneo ma nella fitta macchia di Savannah, Georgia; poco cambia quando la natura non è il mostro ma la tana del mostro stesso,epicentro di fenomeni sociali da spiare con morboso piglio antropologico erroneamente protetti dalle sicurezze di un mondo in cui tutto è stato scoperto, analizzato e sfruttato arrogandoci il diritto al giudizio e allo scherno. Ne vedremo delle belle. Forza Ti, siamo tutti con te. Uscita nelle sale americane il primo maggio.

About stefano paiuzza
Appassionato d'horror da tempi recenti ma affascinato dalla paura da sempre. Ama in particolar modo il cinema europeo ed extra hollywoodiano in genere. Sogna una carriera come critico cinematografico e nel frattempo si diletta tra letture specifiche e visioni trasversali. Lavora a stretto contatto con la follia o forse è la follia a lavorare su di lui. Se fosse un regista sarebbe Winding Refn, uno scrittore Philip Roth, un animale una tartaruga. Ha pronto uno script per un corto ma non lo ha mai fatto leggere. Citazione preferita: "La dittatura è dentro di te" Manuel Agnelli.

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