Le ore buie – Vincenzo Barone Lumaga

Vincenzo Barone Lumaga è nato a Torre del Greco in provincia di Napoli, nel 1978.  Passione quasi esagerata per la narrativa di genere, dal poliziesco alla fantascienza, con predilizione dei maestri anglosassoni, Vincenzo Barone compone racconti già dal 2005, e nel contempo è un avvocato penalista che non manca di alternare la scrittura a composizioni musicali con chitarra.

Il retro di copertina di questa antologia, presente la seguente trascrizione: Le ore buie sono padrone della notte.  E, infatti, questi diciassette racconti sono suddivisi nei momenti scuri del giorno, ovvero Il Crepuscolo, L’ora delle streghe e Prima dell’alba. Come garanzia inziale dovrebbe poter bastare.  Dunque, le pagine scorrono e narrano di personaggi alle prese non solo con la diabolica aura che, già di per sè, è frutto della notte ma anche con tutte le grottesche situazioni che si prestano ad affrontare, situazioni che vacillano tra raziocinio e  follia, tra sforzi di comprensione e meri tentativi di accettare le ancestrali paure che prendono forma.

Artigli nella notte, l’incipit di una storia che lascia intendere uno scontro fra due creature villose e munite di artigli, dove viene sottolineato una sorta di timore da parte di una delle due. Interessante il colpo di scena finale riguardante la scoperta dell’entità del narratore. Buona anche l’idea del terzo racconto contenuto ne Il Crepuscolo, una storia narrata a fine 800 e ricollegata alla realta della sparizione della goletta italiana Miramon, partita da New Orleans e scomparsa nelle acque ignote del Trinagolo. Sit tibi terra laevis, un racconto alquanto macabro che si staglia perfettamente nell’atmosfera notturna dell’ora delle streghe. Un profanatore di tombe che si diletta a fare molto di più della semplice rimozione del coperchio di una bara. Difatti, pare avere disgustosi gusti per le donne defunte, che, tramite atti sesuali infinitamente orridi e immorali, ha dato vita a mostruose creature bambine che emergono dal fondo della terra.

Ma i racconti di Vincenzo Barone non sono solo questo. Vi sono anche personaggi che che si ritrovano a conversare con persone tutt’altro che vive, gente che pare non volerne sapere di varcare una volta per tutte il confine tra vita e morte, sensazioni che si manifestano anche a pelle, come in Music is a hungry ghost e Stanza 106. E ancora, può anche trattarsi non per forze di creature o strane leggende, ma anche di oggetti antichi che riposano tra le cose del proprio nonno, oggetti che si ha l’obbligo di non toccare per il semplice fatto che non sono del tutto immobili. Possono anche agire, come in Tsantzas.

Questa raccolta ha in sè delle idee che non per forza appaiono come i soliti stereotipi in circolazione. Chissà, in parte è anche frutto dell’influenza che, i geniali e inquietanti racconti di E.A.P., hanno avuto sulla fantasia e sull’inventiva di Lumaga. Eppure, se nelle recensioni di tutto il mondo qualcuno trova da ridire pure su King, in questa c’è da aggiungere che il linguaggio è, alle volte, articolato, con descrizioni e movimenti che si servono dei termini propri di un autore che  ha una buona componente culturale. Storie però che potrebbero dare molto di più delle sei pagine concise; storie che non saziano del tutto l’appettito di un lettore che, magari, ricerca quell’introspezione in più oltre alla semplice immagine narrativa che suscitano questi racconti. Sono lampi in una tempesta di incubi e paure primitive. Giusto il tempo di coglierne il bagliore, prima che il cielo torni scuro.

 

 

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