Apocalittico Sector 7

Sector 7

Che senso ha vedere un brutto film orientale che scimmiotta i brutti film occidentali?

Hae Jun è una giovane ed affascinante donna che lavora a bordo di un sofisticato veicolo di prospezione petrolifera chiamato Eclipse impiegato nel Settore 7, uno stabilimento petrolifero sottomarino situato a sud dell’Isola di Jeju.Hae Jun ed il resto dell’equipaggio della Eclipse scenderanno sul fondale marino per una trivellazione esplorativa alla ricerca di petrolio, ma il loro viaggio di lavoro diventerà un incubo.Una creatura sconosciuta riesce infatti ad entrare all’interno della Eclipse attraverso i tubi di trivellazione, seminando morte tra l’equipaggio: per sopravvivere deve infatti cibarsi di carne.

Il cinema orientale è uno dei cinema più inventivi esistenti. Inutile ricordare la rivoluzione in campo action della scuola hongkonghese di John Woo e Tsui Hark: A better tomorrow, The killer e Hard boiled sono state bombe che hanno ridiscusso, riscritto e rinvigorito il poliziesco/noir mondiale. Ma non ci siamo fermati alla sola ex colonia inglese, ma il Giappone con i suoi Tsukamoto e Miike, la Thailandia dei fratelli Pang, la Corea dei vari Old Boy e Two sisters hanno sparato nel firmamento stellare una cinematografia che, forse per razzismo leghista, noi ancora stentiamo a non relegare quando va bene in uscite invisibili. Naturalmente poi sto parlando solo del presente perchè, per esempio, il Giappone ha alle spalle una vera e propria scuola di horror a base di fantasmi dai lunghi capelli neri molto prima di Nakata e The ring.

Purtroppo non sempre tutti i film possono essere capolavori o comunque buoni, capita soventemente che in Oriente (come in Occidente tra l’altro) si sfornino opere di un mediocre imbelle. Con Sector 7 ci spostiamo in Corea e affrontiamo un blockbuster locale sulla carta molto interessante: una petroliera in pieno oceano, isolata dal mondo e un mostro sanguinario a far banchetto degli sventurati protagonisti. Sulla carta, perchè la resa dell’opera è per lo più desolante. In 104 minuti assistiamo alla sagra del già visto, della coatteria filo americana insistita, dei personaggi analizzati con la stessa sagacia psicologica dell’ultimo film di Chuck Norris, con l’aggravante dell’umorismo, insopportabile e inesportabile, di molti film coreani. Si gioca a fare i Tony Scott o i Michael Bay, l’action è ridotto a questa miserabile utopia con pose cool o terribili gare motociclistice tra pseudo innamorati, mal fatte come solo un plagio senz’anima potrebbe creare. Eppure i soldi c’erano, ma anche la creatura mostruosa, figlia visivammente del cult The host, più che fare paura ispira tenerezza, così visibilmente finta da sembrare un filmato di presentazione di Resident Evil 2 per la prima Playstation.

Il cinema purtroppo non abita qui, o meglio non abita quel cinema inventivo che decantavamo all’inizio della recensione, qui c’è solo l’esibizione, questa sì compiaciuta, di una mediocrità d’intenti che si centuplica in altre mediocrità di riflesso, come un fungo fastidioso sulla pella: mediocrità di recitazione tra il sardonico e lo spaventato, mediocrità di messa in scena, mediocrità di sceneggiatura. Alla fine questo pastiche tra Alien e il vecchio e caro Leviathan non risulta neppure divertente e ci si chiede perchè vedere a sto punto un brutto film orientale che scimmiotta i brutti film occidentali, tanto vale tenerci le tabanate stellari di un Transformers, sicuramente più genuino di un blockbuster coreano fatto al computer per piacere a tutti e inesorabilmente deludente per tutti. Eppure giuro il precedente film del regista Kim Ji Hun, Hundae, era spettacolare come mai nessun Emmerich catastrofico.

Sector 7

Titolo originale: 7 gwanggu
Anno: 2011 (Corea del Sud)
Regia: Kim Ji-hun
Cast: Ha Ji Won, Ahn Sung Ki, Oh Ji Ho, Park Cheol Min, Cha Ye Ryun, Song Sae Byeok
Durata: 104 mon.
Inedito in Italia

About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.

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