Cinema David Lynch: EraserMan (part 2)

David Lynch: EraserMan (part 2)

Ecco la seconda parte del nostro speciale su David Lynch. Un percorso nella mente di uno dei più geniali e controversi autori della nostra epoca.

Se la parola umanità non la si può trascrivere sul cuore degli animali che respinsero la vita di John Merrick “The Elephant Man” e ne decretarono la morte esistenziale senza nessun rimorso, distruggendo quel barlume di luce dentro ogni vita, non possiamo nemmeno parlare di equilibrio mentale quando ci troviamo di fronte al muro oscurantista delle formichine appartate nella classica fila di villette tutte uguali.

La tristezza infinita, il fluido sanguinolento di un velo che occulta.

David sapeva che la realtà non sarebbe stata quella prefabbricata alla semplice vista del ricettore che non rielabora le informazioni; colui che ingoia come fosse cibo per ingrassare un corpo già in decomposizione organica. Perdersi e non trovare nessun’altra strada se non la propria, perduta in chissà quale meandro, ove la linea retta diventa tratteggiata, una Lost Highway senza meta o forse alla ricerca della propria identità, multipla o semplicemente unico conduttore di molteplici coscienze.

L’astrazione come giustificazione, la libertà dell’istanza pulsionale (l’immaginaria conversazione del protagonista con sé stesso al citofono) in una contorta giravolta emotiva, la freudiana scala a chiocciola del supervisore del proprio Io che scruta dall’alto l’istintività pilotata dell’Es irrazionale. Perdersi nella storia di Laura Palmer, nel suo nero come la pece, l’esistenza comune di tante ragazzine senza certezze, desiderose di ferire-sollecitare-scavare la propria carne, autodivorarsi nel dolore e nella magnificenza del dolore stesso. Per poi pentirsi e autodistruggersi, amare alla follia la morte come liberazione dell’anima, una colomba bianca dalle ali di cristallo. Ma a questo punto dove si trova la salvezza? Meglio vivere senza limiti e né inibizioni?

Siamo tutti un po’ Sailor Ripley e Lula Pace, siamo tutti un po’ il cuore ribelle/selvaggio di Wild At Heart, o vorremmo esserlo. Il cinema di Lynch non vuole insegnare ma istruire senza filtri. Se la visione delle sue pellicole incute disagio è il proprio Io a sollecitare tale reazione emotiva, se paragoniamo una scena lesbo dei suoi film a qualunque altra rappresentazione sessuale filmica significa solo una cosa: l’azione di esopolitica, non tanto subliminale, perpetrata dagli altri più banali e oliati meccanismi di mero consumo commerciale ci ha talmente contagiato da non riuscire più a distinguere la rappresentazione artistica dall’impulso sessuale propagandistico.

Le donne di Lynch sono un concentrato di universalità femminile mostrato con parsimonia e acuta osservazione temporale. E’ evidente l’amore spassionato per le forme e la sostanza, ma ciò che più di ogni altra cosa si avvicina alla sua personalissima idea di donna è il movimento. Fin dagli albori le lente e progressive mosse dell’elemento animato sono germogliate nel suo cervello, sconfinando in forme cordiali o disordinate, a scatti violenti o innaturali. Sebbene sempre nella natura peschi con eccesso nelle anomalie genetiche che scaturiscono in malformazioni fisiche importanti (basti ricordare i vari personaggi affetti da nanismo o presunto tale l’Uomo Misterioso di Strade Perdute o Man from Another Place di Twin Peaks, sindromi acute che dall’elefante The Elephant Man portano direttamente all’eccentricità di signore eleganti, feticismi umani in personaggi disturbati e tanto altro ancora). La macchina da presa deve accompagnare l’azione, gli sguardi, occhi che perlustrano e labbra che assaporano l’aria. Naturalezza e poesia, sotterfugio e falsità. Il dualismo spesso si concede incursioni astratte proprio per indagare nell’inconscio collettivo e strappare le “interiora” nell’atto di pubblicare senza censure. Perché ciò avviene? Non è sufficiente mostrare il soggetto in camera per carpirne l’esoterismo, ma nel momento stesso in cui viene fotografato dalla nostra mente agisce nelle profondità alla ricerca di un senso “irreale” ma razionale in simbiosi col nostro vero Io.

Lynch di recente ha fatto visita alla città di Catania per dimostrare quanto sia importante il relax anche negli ambiti scolastici. La sua cura contro i mali del mondo è sempre lì a disposizione di tutti, la meditazione trascendentale, nonché le terapie di training autogeno diluite al suo interno per i comuni mortali.

Questa continua e prorogata ricerca di connessioni tra i vari elementi della vita e della sua vita intensifica in lui la consapevolezza di essere giunto (o quasi) al termine dei suoi giorni terrestri. Ci si augura che il suo insegnamento possa essere sottilmente inteso come una grande rivoluzione, sebbene la sua arte venga da sempre contrastata dai quei poteri poco occulti del grande circo sociale mediatico economico politico finanziario globalizzato. Banalmente ignorante in materia e in sociologia, psicologia e armonia.

Lynch non è Dio ma è uno dei pochi uomini sulla faccia della terra ad essersi espresso a livelli di massima espansione energetica, senza profetizzare ma essenzialmente mostrando al mondo intero cosa significa essere se stessi, essere umani e guardare oltre il proprio naso, all’interno del cuore e della mente, stimolando i centri energetici della kundalini.

[Leggi la prima parte del nostro speciale a questo indirizzo]

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