Cinema James Wan, i serial killer e le case infestate

James Wan, i serial killer e le case infestate

Il regista di Saw accompagna il grande pubblico in un viaggio all’insegna del cinema horror, svelando trucchi, segreti e raccontandoci quali sono gli ingredient giusti per fare del buon cinema. Horror o thriller che sia

Incontrare James Wan dal vivo ti porta quasi a mettere in dubbio che sia lui il regista di un masterpiece come Saw. Bassino, magrolino e con la faccia pulita, il regista un po’ malese e un po’ australiano sembra più un giovane appassionato di cinema e cultura geek, piuttosto che uno dei registi horror più interessanti degli ultimi anni. Ed è forse proprio questa la sua forza: la capacità di raccontare storie terrificanti con la purezza e la semplicità di un appassionato, senza fronzoli di troppo, ma con numerose citazioni degne di un’enciclopedia del terrore. Citazione, però, non imitazione: il giovane (pada)Wan sa il fatto suo e, soprattutto, sa come raccontarlo. Ne è la prova Insidious, piccolo capolavoro cinematografico distribuito in Italia per conto di Filmauro, che racconta di case infestate come nella migliore tradizione cinematografica horror del passato, con uno stile classico, calibrato eppure ad alta, altissima tensione.

Cosa ti affascina degli spazi chiusi?

Mi affascina l’idea che, in caso di pericolo, una volta che sei bloccato in uno spazio chiuso da lì dentro non puoi più uscire. Non hai scampo. E paure come la claustrofobia sono assolutamente universali. Inoltre, girare un film horror in una casa provoca sempre una tensione maggiore nello spettatore perché quello che viene minato durante il film è un luogo famigliare, in cui solitamente ci si sente protetti e al sicuro. Insidious era nei miei pensieri da molti anni. Amo i film che hanno case infestate come protagonisti e volevo fare questo film nel modo più giusto, perché vivendo tutti in una casa, avendo tutti un tetto sulla propria testa, volevo che l’elemento della plausibilità fosse fondamentale. E la plausibilità è possibile soltanto grazie alla semplicità, comune a capolavori come i film di Carpenter, Hooper, Raimi…

Sei cresciuto in un ambiente culturale piuttosto misto. Sei nato in Malesia ma da etnia cinese e sei cresciuto in Australia. In che modo questo melting pot ha influenzato il tuo lavoro?

Come la maggior parte delle persone della mia generazione sono cresciuto completamente immerso nella cultura pop. Poi, crescendo, mi sono interessato a manga e anime giapponese, alla cultura Jpop in generale e anche al filone horror italiano portato avanti dai maestri Mario Bava e Dario Argento negli anni Settanta. È inevitabile che tutto questo abbia influito sul mio modo di vedere il cinema…

Con Insidious sei riuscito a costruire la tensione come succedeva nei grandi film dell’orrore del passato, ovvero abbandonando le scene splatter per dedicarti a qualcosa di molto più mentale, più psicologico.

Credo che chiunque voglia fare cinema debba almeno una volta cimentarsi nel thriller, perché è lo strumento migliore in assoluto per creare la tensione, la suspense. In un certo senso, credo che il thriller, l’horror, si avvicini molto alla commedia in questo senso: se l’horror riesce a spaventarti, se la commedia riesce a farti ridere, allora vuol dire che funzionano.

Qual è il segreto per continuare a fare cinema horror quando ormai tutto è stato detto e fatto?

Credo che la sfida sia proprio questa: se ami questo genere, allora vuol dire che lo conosci alla perfezione, sai come certe scene devono essere girate. Il trucco è pensare alla tradizione riuscendo, però, a trasferirla su un’altra dimensione: se voglio girare un film che racconti la storia di un serial killer devo mettere in conto che sia un tema abbastanza abusato, dunque devo inventarmi qualcosa che non sia mai stato raccontato o messo in scena. È quello che ho cercato di fare con Saw, per esempio. Anche nel caso di Insidious, ho voluto raccontare un film che fosse ambientato in una casa infestata, ma ho cercato di rappresentarlo in maniera diversa, da un’altra angolazione.

E’ vero che Insidious si ispira a esperienze che tu stesso hai avuto in case infestate durante l’adolescenza?

[James Wan appare visibilmente imbarazzato. Sorride e spera che qualcuno cambi argomento… Ma la platea continua ad ascoltarlo in religioso silenzio e a lui non resta che rispondere N.d.R.]

Ok, mettiamola così: sono cresciuto in un vero e proprio melting pot culturale, in cui ognuno dei parenti, amici e conoscenti con cui avevo a che fare aveva sempre racconti interessanti da raccontarmi riguardo case infestate, possessioni demoniache e mostri in soffitta.

Sei l’invidia di tutti i giovani filmmaker. Come sei riuscito a imporre il tuo script e, successivamente, a permettere al tuo produttore di fartelo dirigere?

Quando abbiamo scritto la sceneggiatura abbiamo pensato subito che la nostra storia era vincente, che questa volta ci saremmo riusciti. Così siamo andati ad Hollywood, abbiamo proposto il nostro progetto… Ed ha funzionato! Siamo stati molto fortunati, però… In ogni caso, mi sento di dare ai giovani cineasti due consigli fondamentali: scrivete uno script che sia unico, originale, ma soprattutto… Girate almeno una scena del film che intendete girare, sarà il vostro biglietto da visita.

Come vedi la figura della donna nel cinema horror?

Siamo abituati a vedere la donna come la principale vittima del film. In questo film, invece, se c’è qualcuno che si salva sono proprio le donne protagoniste, perché l’idea di fondo, in sostanza, è che le donne possono farcela per conto loro, anche senza l’aiuto di un uomo!

About Luna Saracino
Appassionata, maniacale, artisticamente onnivora, anche se l’horror in ogni sua forma e sostanza è entrato a far parte della sua vita fin dalla più tenera età e oggi cinema e letteratura (horror e non solo) più che una passione, forse, sono diventati una vera e propria ragione di vita.

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