Stavolta, anche se l’opera è ancora grezza, sorprende piacevolmente.
Tommy,protagonista del capitolo precedente, è scomparso a causa di Preston, un misterioso individuo che sembra avere degli inquietanti collegamenti con ChromeSkull. Nel frattempo il serial killer ha messo gli occhi su una nuova ragazza, Jess e, quando anche quest’ultimasvanirà senza lasciare alcuna traccia, sarà compito del detective King occuparsi di questo caso e porre fine una volta per tutte alla carneficina di questo spietato maniaco.
Qualche tempo fa abbiamo parlato ferocemente di Laid to rest, torture porn becero tanto fantasioso nel descrivere gli omicidi di un feroce serial killer quanto carente sia nel ritmo che nella narrazione. Alla fine l’impressione di fondo è stata quella che il film non fosse altro che una vetrina edonistica per sfoggiare le favolose doti in make up ed effetti speciali del suo autore Robert Hall, ma col cinema, del terrore e non, ci fosse poco, se non nulla, da spartire. Ecco allora che, quando esce questo Laid to rest 2, le nostre speranze sono già a terra, l’idea di assistere alla variante di un porno, dove al posto di tette e culi ci sono ferite e sangue, non è il massimo della vita, ma tantè, come dice il proverbio, “Le vie del Signore sonno infinite”. Ed effettivamente stavolta, anche se l’opera è ancora grezza, ci sorprende piacevolmente.
Prima di tutto maggior ritmo, una storia sì banale, ma divertente quando non assurda, e un grande Brian Austin Green, già David in 90210, attuale fidanzato di Megan Fox, in pilota automatico di folle istrionismo attoriale come una specie di Vincent Price meno dotato in botta di mescalina. In Chromeskull – Laid to rest 2 tutto è girato col piede sull’accelleratore, forse per far dimenticare un plot sottilissimo, più umorismo quindi, più morti feroci (alcune tra le più coreografiche e complesse di uno slasher) e più nudi (memorabile quello gratuito di Allison Kyler a parodizzare in hardcore la famosa doccia di Psycho), il perfetto connubio per il corrispettivo di un fumetto dele edizioni Lo Squalo in versione cinematografica. Rispetto al precedente film via la bellissima e popputa Bobby Sue Luther (Night of the demons) a favore di una meno appariscente Mimi Michaels, biondina un po’ anonima, ma il ginepro femminile si impreziosisce comunque grazie alla presenza di una vera celebrità nel mondo delle scream queen, Danielle Harris, già vista e apprezzata in molti Halloween, da quelli interpretati da bambina, il 4 e il 5, a quelli impersonati in età adulta (i due di Rob Zombie).
Meno banale e pretestuosa risulta stavolta l’idea di un torture movie che sia un po’ una sorta di versione nera di Lo sguardo che uccide di Michael Powell: il killer ha una maschera che riflette il volto delle sue vittime, si diverte a filmare la loro morte con una videocamera sulle spalle, ma non solo, come protagonista c’è una ragazza che sta a poco a poco perdendo la vista. E’ quest’ultimo elemento, banale quanto si vuole, buttato lì un po’ alla carlona, in un horror senza altre pretese che la bassa macelleria, che rende l’opera meno stupida di quanto si pensi affrontando teoricamente un idea di cinema che è soprattutto sguardo e visione, e che sublima l’idea voyeuristica del film stesso nel suo godimento nei nudi e nel sangue nel trasfert killer- spettatori. Già visto forse cento volte, ma qui raccontato non senza un sincero e palpabile amore per il genere che sta raccontando, e la passione non è di certo mai una cosa da non premiare. Certo poi il film deraglia in un finale troppo delirante, in attori che senza una briglia sbroccano nel gigionesco fastidioso, il barocco della messa in scena diventa solo ridondante ed eccessivo, ma alla fine, in fin dei conti, ci si diverte. Un passo avanti rispetto ai grandi sbadigli e gli occhi che si chiudevano col primo capitolo.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.