Exploitation Grindhouse: A Prova di Morte-Deathproof

Grindhouse: A Prova di Morte-Deathproof

E’ un film di Tarantino al 100%, e niente, finché non è uscito, avrebbe potuto garantirlo.

Austin, Texas. “Jungle” Julia (Sydney Tamiia Poitier), musicista e celebrità locale, e le sue amiche Shanna e Arlene , decidono di passare una serata come tante altre, tra il Guero’s e il Texas Chili Parlor, tracannando alcool, fumando erba, e provocando innocue e inestinguibili tempeste ormonali a conoscenti (tra cui un divertente e divertito Eli Roth) e non. La loro irruente e sfrontata sensualità attira l’attenzione dello schizofrenico Stuntman Mike (Kurt Russel), che prima le pedina di locale in locale, ottiene da una di loro una bollente lap dance, poi le coinvolge in un mortale e spettacolare frontale a velocità folle, uccidendole sul colpo.

Mike, grazie alla sua esperienza di stuntman e alla sua Chevrolet Nova modificata a prova di morte, se la cava dopo un periodo in ospedale. Tornerà in pista un anno dopo, in Tennessee, scoprendo suo malgrado come questa volta le vittime designate siano meno collaborative e decisamente più battagliere.
Sono stati scritti fiumi di inchiostro digitale e non riguardo a Grindhouse del duo Tarantino/Rodriguez: il sincero tributo alle storiche Grindhouse, i fantastici trailer girati da pezzi da novanta del nuovo cinema horror, il recupero di un modo di fare cinema che coinvolgeva lo spettatore in un’esperienza più intensa e (perché no?) più vera e sentita rispetto all’asettica dinamica del pago quindi vedo (il film) e “tante grazie, alla prossima”. Nemmeno il tempo di finire di leccarsi i baffi che a causa di un flop ai botteghini USA, il film è stato prontamente diviso in due, nel poco evangelico tentativo di moltiplicare film e incassi come pani e pesci; guardatevi Deathproof e tante grazie, alla prossima (puntata, quella di Rodriguez).
Bene, Deathproof è stato visto. E la prima impressione, solo superficialmente banale, é che sia un film di Tarantino al 100%, e niente, finché non è uscito, avrebbe potuto garantirlo. Ripetersi in modo credibile e ad alti livelli dopo un’opera monstre come il doppio Kill Bill, piuttosto che mantenersi a galla vivendo di rendita sui propri onori passati, oppure (mio dio!) autocitandosi in maniera massiccia, sarebbe stata la scorciatoia più semplice per raggiungere l’obbiettivo, e sicuramente incassare qualcosa di più dando allo spettatore medio quello che probabilmente lo spettatore medio avrebbe voluto. L’unico vezzo che Tarantino si concede è quello di introdurre una hit del suo lavoro precedente come suoneria nel cellulare di Abernathy (una Rosario Dawson brillantemente naif), e di far recitare la stunt Zoe Bell, già controfigura di Uma Thurman in Kill Bill, come efficace co-protagonista nella seconda parte del film. Tutto il resto, è nuovo di zecca. A partire dalla corrente cinematografica di riferimento, che pur saldamente piantata nell’epoca d’oro dei ’70, cambia genere, e cita senza vergogna i vari Duel (S. Spielberg, 1971), Bullit (P. Yates, 1968) e ancora più spudoratamente Punto Zero (R. Sarafian, 1971), col costante occhio di riguardo per Peckinpah: inutile dire che le vere protagoniste del film sono le splendide vetture, modificate e deathproof, vero nodo attorno al quale girano le esistenze di tutti i protagonisti.
Recupera un Kurt Russell ancora cult, nonostante i troppi passi falsi che hanno costellato la sua recente carriera, e gli cuce addosso un ruolo per cui in primis sarebbe stato scelto Mickey Rourke, che il nostro interpreta alla sua maniera, quella del ribelle duro, puro e sicuro di sé, almeno per tre quarti di film. Tende la solita ragnatela di dialoghi, mai così fitti e presenti, tanto che per buona parte della proiezione contendono al rombo dei motori il ruolo di protagonista, per poi lasciare gli ultimi venti minuti in balia dell’azione più sfrenata, nel nome degli amati inseguimenti d’auto made in ‘70 e concludendola con la solida, ingenua semplicità della più classica exploitation: una bella scazzottata punitiva. Cambia radicalmente anche la colonna sonora, che vira su tinte decisamente elettriche, con i vari Willy Deville, T-Rex e The Coasters a tessere le melodie sulle quali “Jungle” Julia e compagnia danno sfogo a tutta la loro esplosiva femminilità, mentre spetta a una tipica, travolgente cavalcata funky il compito di accompagnare l’inseguimento finale.
Il tutto girato, montato e proposto proprio come se fosse uno sconosciuto slasher d’annata, con tanto di sfarfallii, inquadrature sfocate, montaggio fuori sincrono, striature sulle pellicole, insomma, tutte quelle piccole imperfezioni che in molti hanno imparato ad apprezzare, e che qui diventano sincere dimostrazioni d’affetto nei confronti di un genere da sempre bistrattato, che ha sempre e giustamente fatto dell’ “artigianalità” il proprio punto di forza e vanto. Quella stessa artigianalità che è alla base del mestiere di stuntman, figura a cui è idealmente dedicata tutta l’opera. E’ vero, Deatproof “è un film coi fiocchi”, come ha avuto occasione di affermare Tarantino a chi lo accusava di aver girato un semplice divertissment in attesa del famigerato “Inglorious Bastards”. Tarantino va avanti come un treno, concedendo nel presente poche briciole al proprio celebre passato, quando potrebbe vivere di rendita per tutta la carriera. Dritto sulla strada dell’estremizzazione di un certo tipo di cinema che, se non ha creato, come lui stesso con le sue mille citazioni ammette, sicuramente ha cambiato radicalmente. Ed è inutile sprecare tempo e concentrazione nel cercarle, quelle mille citazioni, tanto c’è già qualcuno che lo fa per noi. Meglio goderselo a testa sgombra. Tarantino è sempre stato questo, e nell’assolutamente lecito caso in cui non ci piaccia più, non potremo lamentarci del fatto che non ci abbia avvertiti per tempo.

Grindhouse: A Prova di Morte (USA, 2007)

Regia: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Interpreti: Kurt Russell, Rosario Dawson, Zoe Bell, Rose McGowan, Sidney Tamiia Poitier, Jordan Ladd
Durata: 127 min.
Distribuzione: Medusa Film

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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