Category: Recensione film

Mother’s day è un film veloce, cupo e cattivo quanto basta.

Dopo una rapina in banca andata male, i tre fratelli Koffin fuggono verso casa della madre, nella speranza che possa aiutarli a scappare dalle autorità. Quando i tre arrivano a casa, non trovano però la madre, ma Beth e Daniel Sohapi, nuovi proprietari…

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Immagina la tua più grande paura diventare vera. Uno “strillo” quanto mai efficace per questa pellicola basata sul romanzo del 1977 “The Howling” di Gary Brandner.

La vita di Karen White è un inferno. Lavora come giornalista televisiva, e a causa della sua esposizione video è stata presa di mira da un efferato assassino seriale, Eddie Quist. Usata come esca dalla polizia, Karen White accetta di incontrare il serial killer in un cinema porno di periferia, restando coinvolta nella sparatoria in cui il feroce criminale viene ucciso.

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E’ il 1998 quando Robert Rodriguez termina The faculty. Siamo ancora lontani dai fasti e dalle miserie che lo porteranno a girare Sin city e gli Spy kids, dagli esperimenti quasi pionieristici con le videocamere digitali al grido di rivalsa di un simpatico cazzaro con talento che ora vuole essere considerato artista.

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La già elogiata tecnica di Nakata, sempre ottima, non basta a reggere un film verboso ed esangue di un’ora e 45.

Arrivati nella misteriosa Paranoia House, cinque uomini e cinque donne prendono parte ad un esperimento psicologico accettando, in cambio di un’ingente retribuzione oraria, di essere osservati ventiquattro ore al giorno per sette notti, periodo durante il quale può anche ottenere dei bonus chi uccide, chi viene ucciso e chi fornisce informazioni su un omicida. Solo che qualcuno muore davvero.

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Permane un pizzico di quell’atmosfera maligna che Carpenter creò e coltivò, quel terrore senza valvole di sfogo, senza ironia o distrazioni.

Due anni dopo il successo di Halloween (1978) il ferro è ancora caldissimo e la premiata coppia Carpenter-Hill decide di batterlo. Operazione ruffiana?

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Halloween 3 abbandona Michael Myers e costruisce una storia senza linee connettive con i film precendenti, concentrandosi più sulla suspence che sugli aspetti truculenti.

La notte delle streghe si avvicina e, per l’occasione, la famosa ditta “Silver Shamrock” ha sfornato un bel tris di maschere destinate a spopolare tra i ragazzini americani anche grazie ad un’ accattivante pubblicità spedita in onda a ciclo continuo in tutto il paese.

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Mike ritorna ad Haddonfield alla ricerca della sua famiglia, del suo passato, di quello stralcio di umanità che si annida ancora dentro di lui.

Dimenticatevi, però, del mostro inquietante e spietato a cui eravate abituati: questo Mike Myers sembra più uscito da un baule di marionette. Dieci anni dopo la strage di Haddonfield, Michael Myers è ancora in coma e in fin di vita, ricoverato presso il Richmond Mental Institute.

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Una versione riveduta e corretta del Frankenstein di Mary Shelley in cui Michael Myers riveste i panni della creatura mentre il Dr. Loomis quelli dello scienziato pazzo.

Un anno dopo il “Ritorno”, arriva puntuale la “Vendetta” di Michael Myers. Salvato da un eremita dopo la sparatoria che chiudeva il precedente capitolo, l’uomo in nero carpenteriano continua implacabile a dare la caccia alla nipote Jaime.

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Halloween 6 sarebbe da vedere solo nella versione non tagliata e romaneggiata da un produttore imbecille criticamente.

Michael Myers è scomparso insieme alla nipotina Jamie. I due sono stati presi segretamente in custodia da una setta misteriosa. Sei anni dopo, Jamie (J.C. Brandy) partorisce e, con l’aiuto di una donna della setta, fugge dalla fabbrica abbandonata dove viveva con Michael. L’assassino la seguirà uccidendo ogni persona sul suo cammino fino alla resa dei conti con la sua nemesi, il Dottor Loomis.

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Steve Miner torna alle origini, cancellando con un netto colpo di spugna la bizzarra e improbabile deriva che la saga aveva raggiunto nei capitoli successivi ai primi due.

Capitolo cruciale nella serie di episodi dedicati al serial killer Michael Myers, Halloween H20 (1998) è degno di nota per aver (quanto meno tentato) di mettere ordine e rilanciare la mitologia della saga, reinterpretando alcuni dei linguaggi e degli stilemi propri del prototipo originale ad uso esclusivo di un pubblico moderno.

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