Se la noia indotta è un peccato velocemente condonabile, ciò che che non si può proprio perdonare sono la presunzione e la – in parte – incosciente superbia.
Due sconosciuti, finiti nelle grinfie di una famiglia dedita alla venerazione di un’entità maligna con una particolare predilezione per i sacrifici umani. Flashback, allucinazioni, gente che si da il cambio di fronte a un albero, pretenziosità. E nuove, chirurgiche definizioni del concetto di spocchia.
C’è qualcosa che, a distanza di anni, ancora sfugge a quella specifica categoria di cultori del cinema lynchiano che, non contenti del godersi nel proprio privato le gesta filmiche di cotanto maestro, sentono scorrere nelle vene il sempre più incontenibile slancio creativo che li spingerà prima o poi a cercare di seguire le orme del proprio modello. Il malinteso, tanto lapalissiano quanto paradossalmente così difficile da comprendere nel suo più intimo significato e che così spesso dà l’esatta misura tra l’essere Lynch e l’essere lynchiano, è che non basta fare le cose alla cazzo di cane per apparire intriganti, seducenti, degni di analisi e riflessione. L’incomprensibilità come strumento ha regole rigorose, spietate.
Le ha sempre rispettate un gigante come Lynch, sarebbe quantomeno beffardo non fosse altrettanto per una coppia di produttori/sceneggiatori/registi indie noti come BAPartists all’esordio con un lungometraggio dopo una manciata di corti. E se la noia indotta da meno di un’ora e mezza di pellicola è, dopotutto, un peccato che si può velocemente condonare a una coppia di filmakers tanto inesperta, ciò che che non gli si può proprio perdonare sono la presunzione e la – in parte – incosciente superbia che sta dietro alla realizzazione di un’idea così confusionaria, sterilmente cervellotica e masturbatoria nel sacrificare una qualsiasi soluzione narrativa logica o anche solo parzialmente conciliatoria a favore di un ermetismo fine a se stesso. Come se bastasse il coraggio a legittimare un certo tipo di approccio filmico, e talento e capacità, una volta decisi a solcare i vorticosi mari dell’indefinito e del cerebrale, fossero superflui.
Se, almeno teoricamente, l’idea cardine che si intuisce per l’intera prima parte della pellicola, quella di raccontare una storia e propri protagonisti solo attraverso immagini e flashback con la totale abolizione di qualsiasi forma di dialogo, sarebbe alquanto stimolante, gli esiti appaiono quasi immediatamente disastrosi. E non solo perché, di fatto, una sceneggiatura non esiste, sostituta da un canovaccio appena masticato fatto di tonnellate di flashback e individui trascinati nei boschi e fatti prigionieri dai membri di una setta dedita a un qualche culto del maligno. Ma anche e soprattutto perché ciò che dovrebbe entrare in gioco nello spazio lasciato libero dai qui si presume tanto odiati vincoli dello script e stimolare altrimenti cervello e pancia dello spettatore è di qualità infima.
Manca del tutto un’idea forte e personale di cinema, una decisa direzione estetica capace di dare al film una personalità qualsiasi. Le cicliche soluzioni di montaggio finalizzate a evidenziare il passaggio dei giorni, le immancabili inquadrature fuori fuoco a ribadire l’intima incomprensibilità del tutto, la pacchianità di certe dissolvenze reiterate contribuiscono, oltre ad illustrare allo spettatore come meglio non si potrebbe il concetto di relatività del tempo, a dare vita a un’insieme esteticamente banale e dal retrogusto vecchio e anonimo, cui l’aggiunta di un rumorismo di sottofondo che si vorrebbe macabro e sinistro non fa che confermare l’idea di un insieme standard e buono per tutte le stagioni e per nessuna. Inguardabile tanto quanto insensato, The Taking indica in modo brutale e spudorato molto di ciò che un film horror non dovrebbe mai essere: su tutto, un esercizio di stile che non rientra con tragica evidenza nelle corde di chi l’ha ideato.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.