Cinema The Blair Witch Project

The Blair Witch Project

Nell’ottobre del 1993 tre studenti appassionati della settima arte, Heather Donahue, Joshua Leonard e Michael Williams, decidono di realizzare un documentario su una fantomatica strega assassina che vivrebbe nei boschi del Meryland.

Si recano per questo nella città di Burkittsville, alla ricerca di tracce e di elementi concreti sulla nascita della leggenda della strega di Blair (antico nome della cittadina). Dopo avere effettuato delle interviste alla popolazione del luogo, si inoltrano nella foresta, per completare il documentario con riprese dei luoghi nei quali la strega avrebbe commesso la maggior parte dei suoi delitti.

Mai scelta fu più deleteria: dopo avere perso l’orientamento circondati da una natura ostile e dagli evidenti segni di una presenza malvagia, i tre improvvisati registi si troveranno a doversi confrontare con le proprie paure, precipitando in un vortice d’orrore senza fine. Di loro non resterà traccia, se non il materiale filmico girato con un paio di cineprese.

Partendo da una trama del genere, infarcita di stereotipi del genere, due giovani registi-produttori, Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez, hanno ottenuto uno dei risultati più strabilianti, in termini di ricavo per ogni euro speso per produrre il film, di tutti i tempi.

Stiamo parlando della bellezza di circa 10.000 dollari ricavati per ogni euro sborsato: 300 milioni di dollari di incasso al botteghino a fronte di spese di produzione e post produzione che non hanno superato i 35.000 dollari.

A questo si aggiunga un impatto mediatico di enorme spessore, grazie a una sapiente gestione delle attività di marketing precedenti l’uscita del film, che sono state poi riprese, con successo ovviamente decrescente, per fungere da traino a molte altre produzioni.

Tutto questo per un film che di cinematografico, inteso nel senso più ampio del termine, non ha praticamente nulla. Il cinema è prettamente un arte visiva: ai suoi albori faceva addirittura a meno del supporto dell’audio, senza che questo ne inficiasse, se non in minima parte, il potenziale evocativo.

In “The blair witch projetc” la modalità di fruizione visiva cede prepotentemente il passo a quella sonora: a causa della sua natura simil-documentaristica (il film, nella finzione scenica, non vuole essere altro che il montaggio di tutto il materiale girato dai tre ragazzi scomparsi e recuperato dalla polizia nei boschi di Burkittsville) e delle contingenze volute in cui i filmati sono stati prodotti (riprese tremolanti a causa dell’assenza di sistemi di stabilizzazione dell’immagine, non professionalità degli attori/cameraman, assenza di luce, a volte totale, in moltissime scene) lo spettatore è indotto a immedesimarsi nell’opera in massima parte attraverso il senso dell’udito.

Rumori del bosco (prodotti dagli stessi registi Myrick e Sanchez camminando attorno all’accampamento dei tre attori), pianti dei bambini e urla disperate che si perdono in lontananza creano uno stato di tensione amplificato dalla mancanza di stimoli visivi adeguati, riconducendo lo spettatore in uno stato di regressione all’infanzia, e alle paure primordiali che ognuno di noi si porta dentro. In questo senso l’esperienza della cosiddetta “sospensione dell’incredulità”; in questa pellicola, viene portata all’estremo, essendo volontà dei registi di precipitare letteralmente i fruitori della loro opera all’interno del meccanismo narrativo.

“The blair witch project” è un film che ha fatto ( e fa) discutere, per il suo essere così “estremo”. A schiere di detrattori, che lo vedono come un non-film, ma esclusivamente un efficace esempio di marketing cinematografico, si affiancano estimatori che lo percepiscono come il tentativo di fare qualcosa di realmente innovativo, e l’appartenenza a tali schieramenti, per una pellicola come questa, è puramente soggettiva.

Certo che le modalità con cui la pellicola ha saputo generare attesa, mutuate dalle tecniche che già William Castle utilizzava, hanno fatto storia. Un sito internet appositamente creato, mesi prima l’uscita del film, faceva da supporto alle ricerche di tre ragazzi misteriosamente scomparsi nei boschi del Maryland mentre giravano un documentario. Volantini venivano distribuiti nei luoghi di ritrovo dei giovani con la richiesta, a chi ne fosse a conoscenza, di fornire informazioni utili a ritrovarli, e anche il film, nella fase iniziale, venne presentato come un tentativo di dare un ulteriore impulso al loro ritrovamento.

Innovativa e sapientemente gestita, tale strategia comunicativa diede immediatamente i suoi frutti, balzando il film nell’empireo degli sbanca-botteghino. Uscì anche un fumetto, distribuito in Italia da Sperling & Kupfer, che doveva essere stato fatto seguendo le indicazioni di un ragazzino sopravvissuto alla malvagia strega.

In realtà la storia raccontata dalle immagini è abbastanza “fumosa”, e si apprezza maggiormente se ci si documenta precedentemente sulle vicende della strega di Blair, una vecchia megera di nome Elly Keward che nel 1785, dopo essere stata accusata di maleficio da parte di alcuni bambini del paese di Blair, venne cacciata dalla città e condannata a morire di inedia nei boschi.

Da questo momento nasce la leggenda della strega, che viene incolpata della scomparsa di molti bambini del paese l’anno successivo al suo esilio, e che colpisce nei secoli successivi creando un clima di terrore nella comunità montana. Nel 1940 un maniaco, Rustin Parr, rapisce e uccide nei boschi di Burkittsville sette bambini, dicendo di essere stato costretto a farlo dalla voce di Elly Keward.

La genesi del film, nella mente dei due registi, vede la luce nel 1993. La volontà di fare una pellicola in cui l’improvvisazione abbia un ruolo dominante è confermata dallo script do sole 35 pagine, consegnato ai tre attori, scelti dopo un provino a 2.000 pretendenti, privo di dialoghi e con indicata esclusivamente la traccia da seguire per lo sviluppo delle azioni.

Gli interpeti, poi, erano davvero soli nei boschi, e la produzione fece in modo che le razioni di cibo giornaliere diminuissero progressivamente, in modo da aumentare il loro stress e che le loro reazioni emotive divenissero più violente e quindi più credibili. Anche le interviste che i tre cinemaker improvvisati fanno agli abitanti di Burkittsville coinvolgono persone che non sanno che si sta girando un film, e che credono realmente di partecipare a un lungometraggio, dando quindi delle risposte vaghe e confuse in quanto non hanno mai sentito parlare della leggenda della strega di Blair.

Le riprese nei boschi sono effettuate nel parco statale di Seneca Creek, nella contea di Montgomery, nel Maryland. Fonti di ispirazione per Myrick e Sanchez furono lo splendido documentario “Häxan” del 1922 di Benjamin Christensen e le molte leggende mutuate da fatti storici (prima tra tutte quella relativa ai processi per stregoneria di Salem).

The Blair Witch Project

Regia di: Daniel Myrick, Eduardo Sánchez
Scritto da: Daniel Myrick, Eduardo Sánchez
Interpreti:Heather Donahue, Joshua Leonard, Michael C. Williams
Anno: 1999
Durata: 81 min.

About Giuliano Fiocco
Ha visto nascere Horror.it, e l’ha accudito per lungo tempo assieme ad Andrea. Adesso la vita gli lascia poco tempo per le passioni, ma in un angolo oscuro del cuore rimane in agguato la voglia di scrivere. Ha scritto un romanzo, da cui è stato tratto un film, in fase di produzione.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!

Altri articoli:

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.

Horror Community

[captain-sign-up text="Partecipa al gioco"]

Focus on

Categorie degli articoli

ebook gratis


    Ai lettori di Horror.it, regaliamo una ghost story inedita di Andrea G. Colombo. Buona lettura!
  • RSS
  • Twitter
  • Facebook
%d blogger cliccano Mi Piace per questo: