Storia horror italiano Storia del Cinema Horror Italiano – vol. 1

Storia del Cinema Horror Italiano – vol. 1

Dagli albori dei primi anni 30 alla fine degli anni ’60. L’horror italiano: perché la necessità di raccontarne la storia.

Fin dagli albori del secolo “breve” la cinematografia horror si è imposta come aspetto importante di quello sguardo sul mondo rappresentato dalla settima arte, costituendo una sorta di “contro-storia” dell’età moderna, una carrellata sugli incubi più o meno nascosti della realtà attuale e delle sue irrisolte contraddizioni con il passato, spesso feroce e non controllabile, della natura umana.

Raccontare, dunque, la storia del cinema horror significa porsi l’ambizione di narrare l’evoluzione culturale, sociale e spesso antropologica dell’Uomo e della sua forma di aggregazione complessa più importante, la società. In Italia l’impatto di questo genere fu caratterizzato da tempistiche differenti rispetto, ad esempio, a ciò che avvenne in Germania con “l’age d’or” dell’espressionismo, ma ugualmente significativa fu la sua portata analitica e critica rispetto alla condizione materiale (e immateriale) della società italiana di quegli anni.

Per troppo tempo la critica cosiddetta ufficiale ha snobbato completamente un capitolo importante della nostra storia cinematografica: concentrandosi esclusivamente sulla cifra autoriale e stilistica di primissimo piano della stagione neorealista prima e del cinema d’impegno civile poi, si è tenuto quasi nascosto il ruolo e l’impatto che la cinematografia popolare, il cinema dei generi, hanno avuto nella crescita e nello sviluppo della settima arte in Italia nel trentennio che va dai primi anni cinquanta al finire degli anni settanta.

Per molto tempo il cinema di genere italiano semplicemente non è esistito, confinato nell’alveo oscuro e screditato della cinematografia trash, i cosiddetti B e Z movies, un sottobosco quasi underground, escluso dalla ribalta ufficiale al punto tale di meritarsi l’appellativo di cinema “segreto”. Accusato di essere un semplice fenomeno d’imitazione e importazione, senza alcun tratto originale, l’horror nostrano è stato discriminato a lungo dalle penne saccenti di illustri critici e storiografi convinti della pochezza della nostra scuola.

l’horror è stato il genere che più di altri ha saputo inventare nuove regole narrative, trasgredire quelle già codificate e attaccare la censura Nulla di più sbagliato perchè l’horror è stato il genere che più di altri ha saputo inventare nuove regole narrative, trasgredire quelle già codificate e attaccare la censura avventurandosi nelle zone più buie e nascoste della cosiddetta “civiltà” contemporanea. Infatti, se è vero, da un lato, che il cinema dell’orrore di casa nostra spesso si è impadronito di archetipi narrativi hollywoodiani riproducendoli (il più delle volte in peggio) solo per sfamare appetiti di natura commerciale (pensiamo a famigerati epigoni di capolavori quali L’ESORCISTA o LO SQUALO), d’altro canto in altre occasioni ci si è trovati nella situazione diametralmente opposta, con gli studios americani nel ruolo di famelici predatori di intuizioni originali (e alle volte pure geniali) dei nostri autori più capaci, spunti rielaborati attraverso le grandi disponibilità economiche d’oltreoceano che hanno finito, paradossalmente, per acquisire successi di portata anche planetaria.Tutti noi concordiamo nel definire l’ALIEN di Ridley Scott come una pietra miliare nella cinematografia sci-fi/horror di ogni tempo ma quanti sanno che quel film deve molto all’epigono TERRORE NELLO SPAZIO firmato da Mario Bava nel 1965?

E ci credereste se vi dicessimo che lo slasher movie, uno dei filoni più prolifici dell’horror moderno, non è stato inventato negli States né da John Carpenter con HALLOWEEN oppure da Sean S. Cunningham con VENERDI’ 13 come molti erroneamente pensano ma bensì sempre dal genio visivo di Bava con quel capolavoro assoluto che fu REAZIONE A CATENA nel 1971? E poi come minimizzare il fatto che, quantomeno a partire dagli anni settanta, l’horror italiano si caratterizza fortemente per marcate venature ideologiche antagoniste, molto legate al periodo della contestazione giovanile, nei confronti del potere e dei tabù morali (soprattutto sessuali), connotandosi sempre più come sperimentazione e infrazione di vari aspetti temuti e rimossi dall’inconscio collettivo. Una cinematografia che diverrà stile influenzando tutta la stagione dell’exploitation cinematografica.

Raccontare dunque la storia del cinema horror italiano è importante sia perché costituisce un modo particolare di viaggiare negli usi e nei costumi popolari (in una parola, nella cultura) di un Paese e di un popolazione che, nel bene e nel male, racchiude in sé molti aspetti interessanti, sia perché consente di squarciare un velo consentendoci di dare uno sguardo a un modo di fare cinema che non ha avuto eguali al mondo (nel bene e nel male), portando alla luce molte opere di qualità che meritano di uscire dall’ombra nella quale sono state confinate da tempo, per codificarne gli stilemi, gli approcci, gli orientamenti estetici. Gli esempi in tal senso sono un buon numero e compensano la pletora di pellicole-surrogato, nate solo per esigenze di natura “alimentare” e speculativa, che si segnalano esclusivamente per la povertà di idee e mezzi economici e per l’approssimazione delle messe in scena.

In questo excursus storico lo scopo che ci poniamo è dunque quello di “dare a Cesare ciò che è di Cesare” ovvero , senza chiudersi gli occhi e barricarsi dietro una semplice rievocazione entusiastica e didascalica, restituire piena dignità ad una scuola, quella italiana, che grazie ai suoi maestri più noti ha raccolto tanti discepoli in giro per il mondo. Il metodo di indagine che abbiamo scelto, quello dell’analisi cronologica delle pellicole, permette di seguire il percorso attraverso cui il genere si evolve e si articola, consentendo soprattutto la contestualizzazione di ciascun film in un determinato periodo storico.

Inserire un’opera cinematografica nel suo contesto storico-culturale è per noi elemento determinante nella costruzione di una riflessione critica seria e rigorosa: siamo infatti convinti, al pari di Paolo Albiero (“Il terrorista dei generi – Tutto il cinema di Lucio Fulci”), che <<gli aspetti soggettivi/interpretativi del cinema non possono prescindere da quelli oggettivi (vicende produttive, lavorazione)>>. Perché il cinema è arte ma è anche, innegabilmente, industria e dunque è importante, nel commentare la palingenesi di una pellicola, soffermarsi anche sulle vicende che ne hanno contraddistinto la lavorazione.

NASCITA E DEFINIZIONE DI UN GENERE

Il cinema dell’orrore nel suo complesso (e quello italiano non fa eccezione) si presenta di volta in volta sotto le spoglie più variegate, dal racconto gotico a quello soprannaturale, dal thriller alla fantascienza, dall’erotico finanche alla dimensione del cinema autoriale. Tutte queste varianti sul medesimo tema (la paura) trovano spazio anche nel nostro Paese, spesso mischiandosi e sovrapponendosi reciprocamente, costruendo una (non sempre) riuscita e proficua contaminazione tra generi. Non stupisca dunque il fatto che all’interno di una trattazione inerente il cinema horror trovino spazio anche titoli che potrebbero tranquillamente essere ascritti ad altri filoni quali ad esempio il thriller, la fantascienza, il peplum, il post-atomico. Così come non è sufficiente la presenza di elementi sovrannaturali a fare di un film un film dell’orrore allo stesso modo la paura può celarsi dietro la parvenza di una banale e solo all’apparenza rassicurante realtà soprattutto se questa fa da cornice a un disegno fatto di mistero, ignoto, follia e ferocia. Per convenzione, dunque, si tende a considerare horror tutto ciò in cui la fonte del terrore ha una natura prevalentemente fantastica, laddove cioè la dimensione dell’irrazionale prevale su quella razionale.

Questa scelta metodologica, unanimemente accettata, non ci impedirà però di escludere qualche esempio particolarmente significativo in cui la componente sovrannaturale non è predominante (e magari è solo finzione) ma è comunque asse portante dell’intero discorso narrativo.

La nascita del cinema horror italiano può essere cronologicamente collocata verso la fine degli anni cinquanta, in ritardo rispetto non solo a quanto avveniva in Germania nell’ambito della splendida parentesi dell’espressionismo tedesco che rilesse il romanticismo di derivazione letteraria attraverso il fantastico e il sovrannaturale, ma anche rispetto alla produzione hollywoodiana degli anni trenta (Browning, Whale, Freund, Schoedsack) che rielaborò proprio le tematiche espressioniste in un contesto differente (gli U.S.A.) mutuando dalla narrativa gotica e romantica i mostri per antonomasia (Dracula e Frankestein).

quelle forme artistiche diffuse di espressione di massa, ciascuna delle quali dotata di una tradizione e di un retroterra culturale in cui la gente poteva riconoscersi La genesi dell’horror italiano fu più lenta ma non per questo meno importante e, soprattutto, meno originale. Negli anni successivi al dopoguerra il cinema italiano era in piena fase declinante, affondato dall’esplosione divulgativa della televisione e dalla concorrenza spietata che da essa ne è derivata. Nel pieno del boom economico e al cospetto di un Paese che dopo le traversie del secondo conflitto mondiale ritrovava finalmente un periodo di crescita e prosperità materiale, paradossalmente l’industria cinematografica, così brava nel raccontare le pene e le sofferenze dell’immediato dopoguerra, pareva aver esaurito la sua spinta propulsiva e creativa. A salvare la nostra cinematografia contribuirono allora in maniera decisiva i film di genere, la produzione “popolare” (peplum, horror-gotico, western, poliziesco-noir, il giallo-thriller e in ultimo la commedia erotica) ovvero, per usare una definizione di Stuart Kaminsky, <<quelle forme artistiche diffuse di espressione di massa, ciascuna delle quali dotata di una tradizione e di un retroterra culturale in cui la gente poteva riconoscersi>>: emerse dunque in questo periodo una nuova generazione d’artigiani e tecnici (e, successivamente, di autori), che andarono subito a costituire un potenziale creativo altamente specializzato che trovò finalmente un adeguato impiego, abbandonando il rischio di disperdersi nell’alveo bieco dell’improduttività totale.

È grazie a questo gruppo d’autori, sceneggiatori, produttori, tecnici ed attori che il nostro cinema si risollevò, tornando a furoreggiare al botteghino, con la vitalità e la forza prorompente di una fantasia tenuta a freno per troppo tempo.

Chi fa cinema di genere in quegli anni lo fa spesso per motivi di carattere commerciale (il cinema si fa industria anche in Italia) e non perché vi sia necessariamente l’intenzione di lasciare un segno oppure la necessità di appagare una qualche aspirazione artistica. Questo è un elemento da tenere presente se si vuol evidenziare la portata storica e tematica dei generi cinematografici italiani, horror compreso, evitando di cedere ad un’analisi priva di rigore critico: molti dei film che composero il paniere di quei generi (e l’horror non fece eccezione in tal senso) erano film spesso ingenui e molto limitati qualitativamente. Ciò non toglie che comunque, tra parecchie spine, spuntassero delle rose di ottima fattura narrativa e dal potenziale estetico-visivo così peculiare ed affascinante da divenire addirittura “scuola” e “stile” al punto di influenzare il cinema horror a livello mondiale.

L’horror italiano fin dalla nascita deve cimentarsi con il difficile obiettivo di contestualizzare tematiche di derivazione letteraria, prevalentemente anglosassone e mitteleuropea, con un contesto ambientale e socio-culturale profondamente diverso e poco propenso ad accettare stilemi così differenti. Come sostiene Gian Piero Brunetta nella sua STORIA DEL CINEMA ITALIANO <<a differenza dei Paesi nordici in Italia è sempre mancata una vera cultura del fantastico>> e dunque la priorità dei nostri cineasti fu sin da subito quella di riuscire a far metabolizzare dal pubblico italiano elementi iconografici col tempo divenuti classici (le atmosfere tetre e plumbee dei castelli gotici, la tendenza al sovrannaturale) in quella che veniva definita la nazione del “sole e della poesia”. Proprio da questo sforzo, da questa tensione, nascono le peculiarità che caratterizzeranno l’horror made in Italy, sfatando il pregiudizio secondo cui non sarebbe stato possibile fare film gotici per la mancanza di una cultura letteraria e popolare specifica.

L’horror italiano introietta la mostruosità di derivazione letteraria nella banalità quotidiana, ponendo al centro delle vicende del Male non tanto (o non solo) l’elemento del fantastico e del sovrannaturale quanto (ecco la prima novità) quello dell’Uomo, la sua psicologia, vero epicentro di ogni ambiguità e crudeltà. Non c’è troppo spazio per i Dracula e i Frankestein mentre imperversano follia, perversione e depravazione, insomma le pulsioni più estreme della psicologia umana. Figlio forse più degli “insegnamenti” del marquise De Sade o della crudeltà umana dei racconti di Villiers de L’Isle Adam che non del romanzo di paura di derivazione romantica, il nostro cinema, infatti, pone subito al centro del suo ragionamento sulla natura umana, ad esempio, la figura della donna-mostro quale emblema iconografico perfetto del doppio ruolo di carnefice e vittima: streghe, amanti diaboliche, assassine spietate ma anche fanciulle indifese, creature affascinanti, vergini sacrificali; la donna nell’horror italiano diventa lo strumento portante delle vicende intessute dalla regia dell’altro grande protagonista, il Fato, un destino crudele e spesso ineluttabile che punisce insieme colpevoli ed innocenti. È questo l’altro tratto saliente delle nostre pellicole, il clima di angosciante e ossessiva impossibilità a trovare una via di scampo e quindi la propensione a non offrire finali facilmente consolatori.

In particolare la lettura fortemente misogina della condizione femminile (se non carnefici spesso bambole di carne votate al massacro) diventerà un po’ il leit-motiv dell’intero genere anche nei decenni a venire: a partire dagli albori, passando per la grande stagione di Bava, Freda & co. e gli anni estremi dei seventies (il cinema di Argento, soprattutto) e degli eighties (con Fulci) fino al declino creativo dei giorni nostri, la donna è sempre più vittima, sacrificata dal regista a un pubblico (maschile) maggiormente desideroso di “vendicarsi” di una condizione di emancipazione sessuale (il femminismo è alle porte) che porrà non pochi problemi identitari al “virile” homo latinus.

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