Libro Vampiri I Vampiri Di Ciudad Juarez

I Vampiri Di Ciudad Juarez

Un’impenetrabile coltre di omertà avvolge da oltre quindici anni gli efferati crimini che insanguinano Ciudad Juarez, città di confine tra Messico e Stati Uniti, situata sulle rive del Rio Grande.

Gli interessi delle mafie locali, in lotta tra loro per il controllo del narcotraffico, sono tutelati dall’alto con puntuale risolutezza: un desolante quadro di corruzione che coinvolge politici, magistrati e forze dell’ordine. In quella terra di frontiera, a pochi chilometri da El Paso, Crimine e istituzioni hanno stretto il loro patto del silenzio.

Dal 1993 ad oggi, sono oltre 5000 gli omicidi perpetrati ai danni di giovani donne, in alcuni casi soltanto bambine. Adescate e rapite fuori dalle maquiladoras, imprese a capitale straniero in cui si producono beni esportati principalmente in America, oppure sulla via del ritorno a casa, le vittime vengono violentate, torturate, seviziate e infine uccise. Secondo il rapporto di una Ong messicana, il Citizen’s Council for Public Security, soltanto nel 2008 si sono registrati 130 omicidi ogni centomila persone, a fronte di una popolazione di 1,4 milioni abitanti. Se il cinismo delle statistiche e dei numeri, risorsa perversa del sensazionalismo più osceno, può aiutarci a comprendere le proporzioni dell’orrore, sono il surreale clima di tolleranza e impunità, la freddezza delle esecuzioni, lo scempio perpetrato sui cadaveri a restituirci il volto, forse autentico, dell’infamia.
All’interno del “Nada Que Ver” – Niente Da Vedere, oppure Nessuno Sta Guardando – sorta di macabra esposizione fotografica, il protagonista dei Vampiri Di Ciudad Juarez ne osserva sgomento il profilo, tragicamente documentato nei suoi dettagli più cruenti. Eccoci dunque al romanzo di Clanash Farjeon, anagramma dell’attore, scrittore e regista inglese Alan John Scarfe. Perché finora, purtroppo, non era di narrativa che ci stavamo occupando.

“Sono solo di passaggio”, aveva detto Michael Davenport. Nei progetti dell’eccentrico giornalista free lance, collaboratore dell’altrettanto singolare rivista Enigma, El Paso costituiva una breve tappa prima di Los Angeles. L’incontro con Chuck Bowman, ex agente dell’antidroga, stravolge però i suoi piani: dietro suggerimento dell’uomo, Michael decide di filmare il confine al mattino. Mentre un gruppo di indocumentados tenta di eludere la legge e sfuggire all’occhio vigile dei suoi non sempre irreprensibili tutori, l’attenzione dei presenti si concentra sull’improvvisa comparsa di un grande esemplare di tigre bianca siberiana. Maestosa, aggraziata, assolutamente irresistibile. Irrompe sulla scena e nella storia come un’apparizione ultraterrena, sconfinando e rifuggendo la funzione di semplice espediente narrativo. Una solenne ieraticità sembra accompagnare ogni suo movimento. Di nulla si cura, se non della sete che l’ha spinta al canale; ma la sua indifferenza è il distacco di un dio, necessaria distanza dal mondo su cui pure ora poggia le zampe. Questo predatore mansueto in una terra di morte – geniale contrasto che anche il lettore più distratto non mancherà di rilevare – cambierà per sempre il destino del protagonista.
Telecamera alla mano, Michael si lancia all’inseguimento del felino. A nulla valgono i moniti di Chuck: nel giro di pochi istanti, il reporter scompare alla sua vista, avventurandosi oltre il confine col suolo messicano. Nel tentativo di immortalare i movimenti della tigre, commette però un errore fatale: per alcuni istanti, e del tutto involontariamente, filma anche il proprietario dell’animale.

«Quella bellezza girava libera per strada e, quando lui è venuto a riprendersela, l’ho inquadrato di scorcio dentro l’auto. Almeno, Chuck si è detto sicuro che fosse lui. Deve essere stato per questo che un’ora dopo due dei suoi scagnozzi mi hanno avvicinato, scaraventato per terra e rubato la cassetta. So che sembra ridicolo, ma vorrei trovare un modo per riaverla. Non m’importa di lui. È solo la sequenza della tigre che devo assolutamente recuperare. Era fantastica, incredibile».

Per recuperare la cassetta, Michael è disposto anche a rischiare “quella sua pellaccia inglese”, introducendosi nella sorvegliatissima proprietà dei Portillo. Ma quali segreti nasconde Amado, narcotrafficante ambizioso e privo di scrupoli?

Lo scrivo con sincera soddisfazione: Gargoyle Books mi ha rimesso a posto col mondo dei vampiri. Mentre orde di succhiasangue in stile Moccia infestano ogni giorno le nostre librerie, la pubblicazione di una serie di opere coraggiose, spesso del tutto inedite in Italia, deve essere salutata da un amante del genere con autentica gratitudine. Non fa eccezione il romanzo di Alan John Scarfe, di cui l’editore romano ha già pubblicato, nel corso del 2008, Le Memorie Di Jack Lo Squartatore. Poco importa se i suoi vampiri non hanno i canini lunghi, poteri particolari e piegano invece il capo, come tutti noi, alle offese del tempo: sono crudeli e terrificanti come pochi altri.
L’auspicio è che il romanzo di Scarfe possa conoscere un pubblico sempre più vasto. Anche perché, come esordiva qualche settimana fa Danilo Arona in un articolo apparso su Carmilla, “Di Ciudad Juarez non si parla e non si scrive mai abbastanza”.

UN ESTRATTO

Tre alti pali di legno, sepolti per metà nella sabbia del deserto, si ergevano sotto un rilievo roccioso su cui, molti secoli prima, era stata realizzata un’antica incisione rupestre. In essa, tre figure chiaramente maschili, di altezza superiore a quella umana, sembravano guardare fisso in avanti, benché si trattasse soltanto di una sequenza abbozzata di linee con dei rozzi cerchi al posto delle teste.
Sotto l’incisione, i corpi nudi di tre donne erano impalati sui legni. Le estremità appuntite dei pali trafiggevano le loro carni in punti diversi. Una era stata infilzata due volte nella parte inferiore del ventre; un’altra dall’alto, attraverso le ascelle, e una terza per le ginocchia e i gomiti. Erano legate ai pali per il collo, e penzolavano da un’altezza di due metri dal suolo. Dalla vita in giù, tutta la carne era stata sbranata dai lupi. A due di loro, sotto le ginocchia non era rimasto nulla. Dalla spalla di un’altra era scomparso il braccio. Una aveva entrambi i seni mangiati, oppure mutilati, anche se risultava difficile immagine come persino un lupo potesse saltare così in alto. Il viso di un’altra mostrava orbite contornate di sangue, ed era impossibile stabilire se fosse stata opera dei corvi oppure frutto della disumana crudeltà di assassini.

L’AUTORE

Clanash Farjeon è il nome anagrammato dell’attore, scrittore e regista inglese Alan John Scarfe. Tra le sue produzioni teatrali figurano opere di Shakespeare, Beckett, Brecht, Pinter, Albee, Miller e Fugard. Nelle vesti di attore ha interpretato grandi ruoli classici come Re Lear, Otello, Amleto, Faust, Zio Vanja, Cyrano de Bergerac e l’Enrico IV. Protagonista in oltre quaranta film, ha lavorato anche per la televisione e scritto diverse sceneggiature insieme alla moglie Barbara, a sua volta attrice.

I Vampiri Di Ciudad Juarez

di Clanash Farjeon
Traduzione di Chiara Vatteroni
Gargoyle Books
pp. 294
€ 14,00

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Comments

[…] scoprire quanto di interessante viaggia nel mondo editoriale straniero, è il secondo (il primo è I vampiri di Ciudad Juarez) di una trilogia che l’autore ha dedicato ai vampiri. Nel caso di I vampiri dell’11 settembre, […]

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