Category: Recensione film

Bloodline è uno dei pochi piaceri della vita che, insieme al calcio, difficilmente dividerete con la ragazza aristocratica che amate.

La giovane giornalista freelance Sara, insieme all’operatore Marco, arriva sul set dell’ultimo film di Klaus Kinki, re del porno sperimentale, per girare un backstage da mandare in onda come ricatto per non essere licenziati. Ben presto, Sara si rende conto che si tratta dello stesso luogo in cui, da bambina, è stata costretta ad assistere all’uccisione della sua sorellina per mano di un pericolosissimo serial killer chiamato il Chirurgo.

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Cosa c’è di più spaventoso di un luogo inizialmente ospitale che diventa, improvvisamente, minaccioso e infestato di fantasmi?

La casa è, solitamente, un luogo caldo, accogliente, familiare. Eppure, le ville (apparentemente) abbandonate sono, da sempre, i posti preferiti in cui ambientare film horror o, più semplicemente, thriller.

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Esiste già un precedente con l’identico titolo e trama, tutto sommato, non così lontana da questo secondo film americano del regista inglese Nick Hamm, già autore un paio d’anni fa del claustrofobico The Hole.

Uscì nel 1980 e in Italia non si vide mai, quantunque la Sonzogno ne avesse stampato il libro ispirativo di Bernard Taylor, lanciato sul mercato con il titolo Baby Satana. Allora la storia, diretta con mano ferocemente neutrale da Gabrielle Beaumont, ruotava attorno a una neonata adottata da una famiglia americana con già quattro figli a carico.

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Non è vero che luccica tutto l’horror che arriva dall’Asia. Soprattutto non è vero che Phone è terrorizzante quanto The Ring come fu annunciato dai trailers.

Phone, purtroppo, si barcamena tra il melodramma fantasmatico e l’horror tecnologico con ampio dispiegamento citazionistico dal cinema occidentale (L’esorcista, Argento, De Palma), affonda dopo pochi minuti dall’inizio in una serie di aspettative sempre tradite da buchi di sceneggiatura, irritanti effetti sonori, false piste e da un inesistente sense of wonder.

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Twixt, l’ ultima e attesa opera di Francis Ford Coppola, finisce irrimediabilmente per deludere: un horror gotico con troppi clichè risaputi, e molta confusione. Presentato in anteprima italiana al   29 ° Torino Film Festival, il film lascia purtroppo l’amaro in bocca.

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Parlare di mucca pazza fa venire in mente, di primo acchito, le allarmanti notizie che qualche tempo fa venivano pubblicate sui giornali di tutto il mondo, relativa all’encefalite spongiforme che affliggeva i ruminanti e che poteva essere trasmessa all’uomo.

Questa deve essere stata la scintilla ispiratrice per Conor McMahon per creare questo piccolo gioiello low budget che fa entrare di diritto l’Irlanda in quel piccolo club che segue le orme, per le proprie pellicole horror, lasciate da George Romero e i suoi zombie. E’ il classico film indipendente che se avesse una distribuzione adeguata potrebbe fare accorrere nelle sale torme di horror-fans salivanti.
McMahon mescola con attenzione scene gore e scene in cui fa la comparsa un humour macabro, mai fine a se stesso.

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Presentato in anteprima durante la 29 ° edizione del Torino Film Festival, l’ultima fatica cinematografica di Jaume Balagueró è un thriller con venature di morboso melò che non convince appieno ma che ci regala una splendida prova d’attore.

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La morte torna a riscuotere per la quinta volta. E non è mai stata così in forma.

La gita aziendale è sempre un’esperienza terrificante. Sam (Nicholas D’Agosto) ne prende parte nonostante abbia il morale a terra per la fresca rottura con la collega Molly (Emma Bell, Frozen). L’autobus rallenta in prossimità di un grande ponte dove alcuni operai stanno effettuando dei lavori, quando Sam ha la visione di un imminente disastro che provocherà il crollo della struttura con inevitabile decesso di tutti i presenti.

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Il film sembra ideato da una suora orsolina, stitico di sangue oltre che di idee.

Maledetto 3D! Suffisso che rende più costoso il biglietto del cinema e che fa sembrare più prezioso il film a cui si allega. Nel caso di Shark Night c’era da aspettarselo: quale elemento esalta la minaccia tridimensionale meglio dell’aguzzo campionario dentale di uno squalo incazzato che punta verso l’audience? 

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Si fa presto a dire body horror. E si fa altrettanto presto ad ammantare certi lavori di presupposti concettualmente tanto pesanti, capaci in un sol colpo di evocare mostri sacri del raccapriccio filmico.

Quanto può pesare una genericamente buona idea nell’economia complessiva di un film? E’ davvero sufficiente un’immagine pur potente, disturbante e capace di toccare corde potenzialmente parecchio intime a costruire un’intera pellicola di un’ora e mezza? Può bastare solo quello? Per chi ancora non ne fosse convinto, The Human Centipede è la pellicola capace di scogliere ogni residuo dubbio.

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