Category: Recensione film

Nessun gioco è abbastanza innocente da non lasciare vittime, nessun dolore è abbastanza terrificante per saziare la sete di vendetta.

La maggior parte di noi ha giocato al famoso “gioco della bottiglia”, durante le prime feste adolescenziali a cui si partecipava sperando di dare, o ricevere, un bacio dalla bella, o bello, di turno. La versione italiana di questo gioco è appunto basata sulla ricerca dei primi approcci con l’altro sesso, mentre quella straniera, americana soprattutto, diffusa anche in Gran Bretagna, consiste nel porre la scelta tra truth (verità) o dare (obbligo); in questa forma inizia a diffondersi anche da noi con il nome, appunto, di “obbligo o verità”.

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 I dinosauri portano una ventata d’aria fresca al genere più ripetitivo esistente, il mockumentary.

Una troupe cinematografica in viaggio in Congo scopre che i dinosauri non si sono esistinti, ma continuano a riprodursi nel folto della giungla. La troupe viene sterminata, ma presto dei pescatori africani trovano su un fiume dei nastri filmati dal cameraman prima di essere massacrato che documentano l’esistenza delle enormi bestie preistoriche.

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Un horror mai distribuito, ma molto divertente.

Sei persone, con nulla in comune tra loro, si risvegliano ammanettati nel retro di un camion. Scaricati in un bosco senza motivo, nessun indizio né cibo, solo una cassa piena di armi ed un libro, “Vincere in guerra” di Brian Hill. Non c’è via di fuga, non sono soli, qualcuno gli dà la caccia, ed il bosco si tingerà del loro sangue. Dovranno scegliere se essere prede o cacciatori, uomini o… cavie.

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 Ci sono delusioni che paiono largamente annunciate. Eppure ci si lascia travolgere dalla speranza che i propri sentori non siano infallibili.

Avviene un po’ come quando si fa la corte a una donna chiaramente di categoria superiore. Una parte di te vuole crederci nonostante l’evidenza dei fatti ti dia poche chance. Ci provi, ti va male e rimani deluso ma non troppo, perché, in fin dei conti, era un azzardo fin in partenza.

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La casa da sempre è un posto accogliente, simbolo di distensione, appagamento, rifugio contro i pericoli del mondo. Non stupisce perciò che il cinema horror se ne sia appropriato, capovolgendo questo concetto in una dimensione di terrore e spaesamento. Casa quindi non come simbolo dell’istituzione familiare, ma come luogo luttuoso, violento, spaventoso. Casa come rifugio per demoni sotterranei, per le nostre paure più ataviche diventate realtà. Da sempre il cinema della paura elesse come suo scenario delle dimore maledette, fin dagli albori del cinema in bianco e nero, retaggio di una certa letteratura gotica inglese, ma forse solo con Evil dead ebbe la sua massima espressione.

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 Inquietante è solo la scioltezza con cui la trama balzella da un genere ad un altro, mangiucchiando un po’ da Poltergeist e un po’ dagli esorcismi vari.

Padre Peter, un giovane pastore con una moglie che lo ama e due bei bambini, viene trasferito dalla curia in una graziosa villa del New England; l’allegria della famigliola viene però presto minata dall’inspiegabilità degli eventi che si concentrano in quella casa. Cercando di indagare sulla ragione dei fatti che terrorizzano la sua famiglia, padre Peter scopre che in quella dimora secoli prima aveva abitato una strega, la cui anima crudele e irrequieta tormenta ancora i vivi; il pastore sarà dunque costretto ad aggrapparsi saldamente alla sua fede in Dio per affrontare i demoni che minacciano i suoi cari.

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La migliore delle case apocrife, diretta con inventiva e dal cast stellare.

In una spettrale isoletta al largo del Massachussets sorge un solo edificio, in cui si dice, anni prima si rifugiò una strega incinta, per sfuggire alle persecuzioni. Per studiare questa leggenda si recano sul posto una giovane coppia, ed in seguito una intera famiglia in viaggio di affari. Qui la maledizione della strega si riversa in tutto il suo orrore sugli incauti visitatori, che uno per volta verranno sottoposti a crudeli e sanguinose torture.

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Primo seguito apocrifo della saga di Sam Raimi a opera di due artigiani simpatici e un po’ truffaldini.

 Umberto Lenzi e Joe D’Amato decidono di sfruttare l’onda di successo del secondo Evil Dead spacciando un loro film come il terzo seguito della famigerata saga. Inutile dire che non c’è il minimo legame con il cottage invaso dai demoni candariani e la pellicola in questione è piuttosto una classica storia da brividi all’italiana con tutto l’armamentario di bambolotti demoniaci, nenie infantili, gatti morti ammazzati, bambine spettrali vestite di bianco, brutali omicidi all’arma bianca e colonna sonora chiassosa e incalzante

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Arrivati al terzo capitolo, la metamorfosi è completa.

Le deliranti vicende del secondo capitolo di Evil Dead hanno avuto, se possibile, un esito ancora più folle: il prode Ash si è infatti visto teletrasportare nel tredicesimo secolo insieme alla sua Oldsmobile, ad un fucile Remington e alla motosega che fa ormai le veci del suo braccio destro: nel tentativo di recuperare il Necronomicon, il temibile libro dei morti unico strumento capace di riportarlo al proprio tempo, Ash risveglierà un’armata di morti capeggiata da un Ash malvagio determinato a prendere possesso del mondo degli umani.

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 Uno splatter demenziale, entrato della rosa dei grandi cult del genere, colpisce gli spettatori unendo ironia, nonsense e horror.

 Ash  e Linda  decidono di passare del tempo in una chalet in un bosco. Un  copia del Necronomicon  rilegata in pelle umana,  scritta col sangue e una voce in un magnetofono, risvegliano un demone. Una lotta impari, per il protagonisti della storia, perché il demonio si fa beffa dei suoi sentimenti usando la paura come arma, sfinisce Ash. Una giostra di eventi, avvengono nel chiuso del piccolo chalet, mentre la foresta intorno prende vita e uccide tutti coloro che cercano di scappare. La fine dell’incubo è racchiusa  proprio lì dove tutto ha avuto origine: tra le pagine del Necronomicon

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