Category: Fantasmi

La favola dark prodotta da Guillermo Del Toro vede protagoniste due bambine abbandonate nei boschi e l’incombente sconosciuta presenza di una figura materna non del tutto pronta a lasciarle andare

Nel 2008 in piena crisi economica un uomo d’affari uccide i suoi soci, la moglie e rapisce le due figlie piccole Victoria e Lilly. A causa di un incidente durante la fuga i tre finiscono in una baracca abbandonata nei boschi e lì una strana ombra impedisce al padre di uccidere le figlie. Cinque anni dopo, lo zio delle bambine Lucas porta ancora avanti una ricerca nei boschi e finalmente le due vengono ritrovate: lo stato selvaggio in cui sono ridotte è preoccupante ma lo è ancor di più scoprire come siano sopravvissute tutto quel tempo da sole. Entrambe le bambine nominano una certa “Mama” che si è presa cura di loro e lo psichiatra Dreyfuss cercherà di scoprire di cosa si tratta mentre Lucas e la compagna Annabel si occuperanno delle due, cercando di creare una nuova famiglia, ma questa Mama esiste davvero?

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Buon cinegame dalla sceneggiatura un po’ ciondolante.

Per anni, Heather Mason e suo padre hanno vissuto in fuga continua da forze oscure e pericolose con le quali lei non si era mai confrontata. Adesso, alla vigilia del suo diciottesimo compleanno, Heather è tormentata da terrificanti incubi e scopre che suo padre, appena scomparso, non è la persona che lei pensava che fosse. La ricerca per la verità, la porterà ad inoltrarsi in un mondo demoniaco che minaccia di intrappolarla per sempre a Silent Hill.

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Horror low budget di buona fattura.

Kyle è uno studente del college che svuota cantine per rimediare un po’ di soldi. Nel sotterraneo della casa di una vecchia signora, un po’ inquietante, trova una bara. Pensando di rivenderla, Kyle se la porta a casa e scopre che in un doppio fondo c’è nascosto un meccanismo ad orologeria e la chiave di una scatola musicale. Con i suoi amici fa delle ricerche e scopre che è stata costruita nel XV secolo dal malefico Wolfgang von Tristen, conosciuto come “L’artigiano del Diavolo”. Questi costruiva meccanismi di tortura ed era irresistibilmente attratto dalla morte e dall’oltretomba; la bara, che chiamò “La Macchina Fantasma”, gli permise di uscire dal suo corpo mortale provando così l’esperienza della morte. Kyle e i suoi amici, uno alla volta, si sdraiano nella bara per provare quella sensazione del passaggio dalla vita alla morte. Inizialmente le loro avventure nel mondo dell’aldilà sono divertenti e innocue, ma alla fine la Macchina Fantasma tira fuori gli impulsi e i desideri più pericolosi di ognuno di loro.

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ParaNorman sposa personaggi animati con un’eccellente stop motion a una storia che, a tutti gli effetti, racchiude i cliché dei più grandi film dell’orrore degli anni ’60 e ’70.

L’oscuro, il misterioso e il paranormale non sono fenomeni che forniscono prove tangibili e quindi non posseggono alcun tipo di spiegazione razionale. Fanno paura, dunque, e contemporaneamente attraggono o, forse, attraggono proprio perché fanno paura. Giocando su questo binomio, il regista Sam Fell e l’esordiente Chris Butler, forti della loro collaborazione ne La sposa cadavere di Tim Burton, siedono in cabina di regia per dirigere una pellicola d’animazione che unisce le atmosfere orrorifiche tipicamente romeriane alle tinte fosche e inquietanti di derivazione kinghiana.

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Il quarto capitolo è leggermente migliore dei precedenti, ma ancora non ci siamo.
Da quando una nuova famiglia si è trasferita nel quartiere, una ragazza è ossessionata da una presenza soprannaturale che si manifesta nella sua casa. Pensando che i fenomeni siano causati in realtà da un ragazzino che si diverte a fare scherzi, la teenager decide ugualmente, per sicurezza, di riprendere ogni cosa con una telecamera.

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Basata su una storia vera, una ghost story che sfrutta troppo facilmente gli stereotipi ma regala una bella ambientazione 70’s.

Yorkshire, 1974. La famiglia Maynard riesce finalmente a trasferirsi nella nuova casa in periferia, un traguardo per Len, Jenny e la giovane Sally. L’idillio viene bruscamente interrotto quando Sally inizia a notare strani fenomeni, fenomeni che inizialmente verranno attribuiti dai genitori anche in malo modo alla ragazza e che poi saranno riconosciuti come segnali di una presenza che abitava la loro casa.

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Richard Kelly si è arenato sulle note volutamente stonate geniali e perfette di Donnie Darko e imprigionato da quel contesto di metafisica unta di religiosità sacrale sembra un angelo dalle ali mozzate.

Con eccezione dell’action-drama Domino, scritto per Tony Scott nel 2005 (quando in Italia doveva ancora uscire il director’s cut di Donnie Darko in dvd), il buon Richard ha partorito in questa decade solo un gemellino ingombrante e costoso di nome Southland Tales – Così Finisce Il Mondo (2006). Deludente sfilza di titoli se si pensa al clamore suscitato dal suo primo lungometraggio, apripista attoriale per Jake Gyllenhaal e fulcro catartico di generazioni accavallate tra gli ’80 e i ’90, tra esistenzialismo di emarginazione cronica e protagonismo altezzoso di estrazione capitalistico/mediatica.

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Tre registi, cinque corti, sei topoi della cultura horror e un budget non da blockbuster. Un film senza lode e senza infamia, adatto per una serata con gli amici e un pò di pop-corn.

Cinque corti compongono l’intera pellicola, cinque storie a tutto tondo indipendenti ma connesse tra loro dalla presenza di una strana creatura che ne visiona i video su un sito horror, dall’ambientazione losangeliana e da sottili richiami e connessioni. I plot pescano le loro idee dal pool tradizionale dell’horror, sfiorando e rimarcando i toppi famosissimi dei vampiri, dei serial killer, dei fantasmi (alla giappo maniera), fino ad arrivare alla atavica coulrophobia (madre anche di un capolavoro infinitamente più meritevole di notorietà: It).

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Il remake del coreano Into The Mirror (2003), di Kim Sung-ho, si dipana tra i riflessi pieghevoli di un universo parallelo autoprodotto dal proprio riflesso, immagine e somiglianza di un mondo al contrario che dopotutto riflette la malvagità più atroce dell’animo umano.

La fuga del disperato di turno si infrange tra le schegge di un vetro che si distrugge al tatto. La forza dell’immaginazione “oltre” spinge il suicida a commettere l’omicidio di se stesso. Un taglio netto alla gola, di quelli da colata sanguinaria indimenticabile. Il “teorema del doppio” (simpatici i titoli iniziali “specchiati”) immagazzina e concentra in pochi minuti ciò che ci si aspetterebbe da un serial-tv e non da un frettoloso incipit filmico.

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Asylum è il nome di una famigerata casa di produzione cinematografica specializzata in rifacimenti orribili di film di successo. Per i cinefili questa è una tortura peggiore dell’essere rinchiusi in un manicomio (quello vero).

Ormai si è detto tutto su questa banda scalcagnata di produttori, registi e attori allo sbaraglio che cercano di fare cinema con lo stesso risultato del Bagaglino. L’Asylum realizza per la maggior parte delle volte dei mockbuster, ovvero delle copie approssimate di blockbuster in uscita, che si differenziano dall’originale per la scarsità dimezzi tecnici e recitativi e per il fatto che di solito escono furbescamente una settimana prima nel tentativo di aumentare la visibilità. Talvolta questa pessima casa di produzione ci propina delle pellicole originali e nate dalla decadente fantasia degli sceneggiatori/registi/produttori. Oggi parliamo di queste eccezioni, in particolare di The Haunting of Whaley House.

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