Cinema Paranormal activity 4

Paranormal activity 4

Il quarto capitolo è leggermente migliore dei precedenti, ma ancora non ci siamo.
Da quando una nuova famiglia si è trasferita nel quartiere, una ragazza è ossessionata da una presenza soprannaturale che si manifesta nella sua casa. Pensando che i fenomeni siano causati in realtà da un ragazzino che si diverte a fare scherzi, la teenager decide ugualmente, per sicurezza, di riprendere ogni cosa con una telecamera.

 Al ritmo di uno ogni anno i Paranormal activity sono diventati un po’ come il nostro cinepanettone: cascasse il mondo ma sai che una volta l’anno dovrai fare i conti con lui. E, come con i cinepanettoni, accingersi alla visione è sofferenza e vero masochismo, neanche avessimo aperto la famosa scatola di Lemarchand di Hellraiser. Meno male che, arrivati al quarto capitolo, gli autori hanno cercato di movimentare un po’ la staticità della messa in scena e soprattutto quell’assurda idea che il mockumentary dev’essere noia e che, appunto, la noia è spavento.

Niente di più sbagliato ed è certo retaggio dai primi esperimenti del genere che vanno fatti risalire a Blair Witch project e i suoi “Oddio, che paura si è mosso il ramo di un albero!”. Per lo meno il film di Sanchez e Meyer (due autori che non si sono mai più ripetuti) aveva un finale da cardiopalma, cosa che Paranormal activity non ha mai provato neppure a tentare fin dal suo primissimo capitolo. Il massimo di adrenalina che la serie ha mai osato sono state le lunghe inquadrature, da una telecamera di sorveglianza, nel secondo capitolo, di un innaffiatoio. Ma, come detto, con questo quarto episodio si va meglio, non si raggiunge ancora la sufficienza, ma alla fine non ci si sente (tanto) defraudati durante la visione. A girare i registi dell’inverecondo numero 3,  Henry Joost e Ariel Schulman, che in quest’occasione riescono a giostrarsi un po’ meglio in quanto a ritmo e invenzioni come l’inusuale uso dell’Xbox al posto della solita tavoletta Ouija. Il film dura meno di un’ora e mezza, e, merito anche un gruppo di attori affiatati e volenterosi, non ci si annoia quasi mai, anche se in gran parte si tratta di una riproposta del primo capitolo con la variante, un po’ alla Ju-on The grudge, della maledizione a infezione. Certo non è tutto così semplice, ma per raccontarvi meglio dovremmo svelare quei due o tre colpi di scena che tutto sommato sono ben assestati. Certo i momenti morti ci sono, ormai un vanto della serie, ma i due registi sembrano consapevoli di questo, ed alcune sequenze dove la webcam viene lasciata accesa interminabili minuti, sembrano quasi una parodia voluta più che una stanca riproposta.

Ancora purtroppo siamo rimasti indietro cento anni invece sull’uso della videocamera perennemente accesa, altro retaggio di Blair witch project, con il solito interrogativo “Ma se un fantasma incazzato sfonda le pareti e ti vuole uccidere che diavolo riprendi a fare?”. Punto forte del film invece, e finalmente aggiungo, è il concitato finale, abbastanza spaventoso e inaspettato dove la vicenda sembra diventare un tantino più originale. Fa un po’ tenerezza la presenza di Katie Featherston, la protagonista del primo episodio, non troppo bella non troppo brava, condannata a non potere fare altro che Paranormal activity come una sorta di maledizione eterna. Intanto un quinto capitolo è già in cantiere e dovrebbe uscire per fine prossimo anno, tanto per non smentire la fama di cinepanettone dell’horror che ormai la serie ha. Magari, chissà, è la volta buona di un bel film.

Paranormal activity 4 - VOTO: 2/5

Anno: 2012 - Nazione: USA - Durata: 85 min.
Regia di: Henry Joost, Ariel Schulman
Scritto da: Christopher Landon, Chad Feehan
Cast: Katie Featherston - Kathryn Newton - Matt Shively - Stephen Dunham - Alexondra Lee
Uscita in Italia: 22 Novembre 2012 - Disponibile in DVD:

About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.

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