Antologie LA NOTTE DI VILLA DIODATI – a cura di Danilo Arona

LA NOTTE DI VILLA DIODATI – a cura di Danilo Arona

Tra tanta produzione horror che affolla le librerie, ogni tanto riscoprire i classici è buona cosa. “La notte di Villa Diodati” ci offre una di queste imperdibili occasioni.

In un unico volume possiamo infatti rileggere  (perché si spera che ogni amante dell’horror che si rispetti li abbia affrontati almeno una volta nella sua vita) due capisaldi del genere: “Il vampiro” di Polidori e “Frankenstein” di Mary Shelley, in questa edizione accompagnati dalla preziosissima prefazione di Danilo Arona e da un frammento di prosa byroniana, “La sepoltura”, che fu concepito in quella stessa terribile notte in cui, si potrebbe quasi dire, nacquero l’horror e la fantascienza tout court.

E in effetti, a differenza di altre antologie ed edizioni, questa della Nova Delphi mira principalmente ad offrire una visione a 360° sulle opere e sulle circostanze storiche e biografiche che hanno accompagnato la loro nascita e hanno contribuito a decretarne il peso letterario. È quindi proprio grazie all’approfondito saggio di Arona che questa antologia può essere letta anche da chi già conosce le opere ivi contenute come un ulteriore approfondimento critico su uno spaccato artistico di indubbio fascino qual è stato il Romanticismo, e su alcuni dei suoi più importanti protagonisti.

Facciamo quindi un magico volo nel tempo e nello spazio, fino all’anno 1816 e a Villa Diodati sul Lago di Ginevra: in una notte di tempesta – immancabile nelle migliori storie di paura, anche quelle realmente accadute – si trovano riuniti davanti al fuoco George G. Byron, Percy B. Shelley con la consorte Mary, John W. Polidori e la sorellastra della Shelley, Claire Clairmont, decisi a intrattenersi leggendo storie di fantasmi e decidendo poi per gioco di scrivere ognuno una sua opera “gotica”. Il finale è noto: la Shelley concepirà quel capolavoro dell’horror che è “Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo”, che invero ha molte componenti facilmente ascrivibili anche alla fantascienza, mentre Polidori darà vita al “papà di Dracula”, il vampiro Lord Ruthven, per certi versi così somigliante al poeta maledetto Lord Byron da essere a lui attribuito in svariate occasioni. Dei scritti concepiti quella notte, solo questi due sono arrivati a noi in forma completa, e non è poco, considerato l’influsso che hanno avuto sul mondo letterario a seguire.

Arona approccia la sua analisi con un taglio molto moderno, e non si fa sfuggire l’opportunità di sfruttare parallelismi con l’opera cinematografica “Gothic” di Ken Russell, il visionario regista inglese scomparso proprio in questi giorni, che nel 1986 ci offrì una controversa rilettura della notte in cui nacquero i mostri. Russel e il suo sceneggiatore spinsero molto sulla componente inconscia,  rivoluzionaria, allucinogena, sessuale ma anche catartica che generò la folle notte di Villa Diodati e la genesi delle opere succitate. Ma, sottolinea Arona, non può essere stata indubbiamente l’unica causa prima. Certo è che le dinamiche che si mossero e si intrecciarono, non solo in quella notte, possiamo osare dire in quel soggiorno, avevano radici profonde, e dettero indubbiamente vita ad una sinergia culturale quasi irripetibile. Basti pensare alla componente “sovversiva” che questo gruppo di singolari artisti offriva di per sé rispetto alla tradizione canonica dei rapporti uomo-donna, uomo (inteso come essere umano)-società, artista-opera d’arte: in un certo senso era quasi destinato a generare qualcosa di oscuro e grandioso.

Arona esamina in modo conciso ma completo tutte le forze in gioco e ci illumina su quella che è stata la magia creativa di quella notte (intesa ovviamente come momento creativo convenzionale) senza rinunciare a un’indagine quasi poliziesca sulle ragioni “biografiche” e sul destino dei partecipanti. E ci proietta così in una lettura (nel mio caso orgogliosa rilettura) che va oltre l’idea di archetipo di un genere, ma scava invece nei significati che affollano questi incubi trasformati in opere d’arte.
E su queste opere d’arte in sé non c’è molto da aggiungere, ne è stato scritto di tutto e di più.

Il frammento di Byron, “La sepoltura”, ha il sapore del dramma esotico così tipico del Romanticismo ma purtroppo s’interrompe sul più bello. “Il vampiro” polidoriano ha una struttura ancora molto scarna, il racconto è fortemente impregnato di morale eppure così incentrato sulla figura del crudele e magnetico demonio da farci rimanere totalmente soverchiati. L’andamento è quello di una maledizione che prende corpo nonostante la volontà dei personaggi. Un po’ come ne “La ballata del vecchio marinaio” di Coleridge, l’umanità si danna per un gesto o per una parola, assolutamente ignara del maleficio che gli cammina accanto fino all’apice della tragedia finale, perché il Male è qualcosa di inevitabile.
“Frankenstein” lo si riscopre così ricco (e così lontano da molte delle trasposizioni cinematografiche che si sono succedute negli anni) da sembrarci quasi nuovo. I particolari raccapriccianti sono tutto sommato irrilevanti rispetto all’aspetto tragico che coinvolge sia lo scienziato che il mostro, in una specie di danza in cerchio che si può interrompere solo con la morte. “Frankenstein” ha in sé tutta la tensione dell’uomo moderno che va oltre i limiti fissati da ciò che è noto (e siccome questo confine tende sempre a spostarsi, il messaggio di questo romanzo resta oltremodo attuale). Come già si diceva in precedenza, “Frankenstein” è capostipite dell’horror così come della fantascienza, perché racchiude in sé sia il sublime romantico, il senso della vertigine e quello del raccapricciante e dell’indicibile, sia l’anelito per le nuove scoperte proprio di un’epoca che nacque dall’Illuminismo e fu palcoscenico di grandissime scoperte. E se pensiamo che fu scritto da una donna, che per quanto eccezionale, restava comunque una “costola di Adamo”, non possiamo che ammirarne ancora di più l’impeto rivoluzionario.

“Spiriti vaganti, se davvero voi errate invece di riposare nei vostri letti angusti, lasciatemi questa lieve felicità, o prendetemi come vostro compagno, lontano dalle gioie della vita”  (Mary Shelley – “Frankestein”)

Solo Mary Shelley sfuggì al destino di morte prematura che segnò tutti gli altri compagni della famosa notte sul lago di Ginevra. Ma non fu certo immune dalla disgrazia, se non altro per aver visto morire tra quei compagni l’amato marito Percy B. Shelley. Se uno volesse credere nel destino, potremmo dire che qualcosa di quegli incubi narrati trapelò nella vita reale di chi li scrisse. Certo è che anche questo particolare ha contribuito, nel bene o nel male, ad accrescere l’aura di leggenda che aleggia intorno  alla notte a Villa Diodati, e che ancora non si spegne.

La notte di Villa Diodati

Mary Shelley, Lord George Byron, John Polidori
introduzione a cura di Danilo Arona
2011, 388 p., brossura
Editore Nova Delphi Libri
€ 12,00

About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.

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