Cinema Eaters – ovvero gli Zombie Made in Italy

Eaters – ovvero gli Zombie Made in Italy

Sugge vorace dalla tetta prodiga della cultura cinematografica statunitense, questo Eaters, interessante e orgoglioso prodotto 100% italiano, che sorprende per qualità, supera ogni aspettativa, ma alla fine non convince del tutto.

Il film, a firma Marco Ristori e Luca Boni, è uno zombie movie che deve molto più che un semplice tributo ai film di Romero e alle varianti più aggressive dei vari L’Alba dei morti viventi e 28 giorni dopo. In Eaters la tradizione italiana degli zombie movies (che vede proprio registi quali Romero e Fulci tra i nomi più celebri) viene però abbandonata e rielaborata in una rilettura moderna del genere in chiave extreme action.

La trama è classica: un virus misterioso è la causa di una devastante epidemia che trasforma tutti i contagiati in zombi famelici. In un suggestivo scenario post-apocalittico,che molto deve alle tecniche di post-produzione, due cacciatori, forse ex-militari, Igor e Alen, partono alla ricerca di cavie da sottoporre allo scienziato di turno per i suoi esperimenti sui non-morti. Noi spettatori li accompagnamo nella missione, durante la quale i protagonisti incontreranno personaggi bizzarri: dagli immancabili (neo)nazisti dell’ultima ora a pittori stravaganti, da cadaveri marcescenti a preti assassini. Lo stile e la filosofia sembra essere quella del road movie, in cui però non mancano scene di azione adrenaliniche, zeppe di mitragliatrici affamate.

Abbastanza buoni gli effetti speciali, mentre è ottimo e di alta qualità il makeup (a livello, davvero, dei capolavori di oltreoceano), specie se si pensa che si tratta pur sempre di un film a basso costo; gradevole – presa a piccole dosi – anche l’ironia che traspare in tutto il corso della pellicola, soprattutto quando il film esagera il suo stile, pompando (volontariamente?) la caratterizzazione dei personaggi alla ennesima potenza.

Ma. Perché un “ma” era nell’aria, no? Se devo lanciare una palla a canestro, ne studio la traiettoria, prendo le misure anche in modo approssimativo e cerco di realizzare un tiro che, delineando una parabola ascedente e una discendente, copra la distanza necessaria perché la palla arrivi, se non a canestro, almeno nell’area immediatamente prossima, denominata “Area dei tre secondi”. Poi magari non riesco a fare punto, ma non si potrà dire che non ci abbia provato. C’è però anche l’approccio del giocatore un po’ narciso che, per sorprendere gli spettatori sugli spalti, lancia la palla con un potente tiro altissimo, appariscente, tecnicamente ineccepibile, che atterra però, pochi metri più avanti e di certo non raggiunge neanche l’aria prossima al canestro. Ecco, si ha l’impressione che Eaters ricada in questa seconda ipotesi. E’ chiaro che si avevano tutte le capacità e i mezzi tecnici per poter arrivare a canestro, ma che ci si sia persi un po’ sulla strada, nel tentativo di segnare il punto finale.

Sono due le pecche principali (e tuttavia di rilievo) di questo film. La prima è la recitazione troppo marcata dei due protagonisti, intrisa di machismo e disperazione, sudore e parolacce, sangue e piombo, tripudio di battute stereotipate che sembrano uscite dritte dritte dai film di Stallone e Schwarzenegger, quali «In un mondo dove i morti camminano, è meglio non correre rischi», (sic!) o quando viene posta al medesimo protagonista la seguente domanda (formulata, chissà perché, in modo piuttosto barocco): «Sei tu un prete?» e la risposta, caricando l’arma, pronta a sparare, è: «No, stronzo, ma me la cavo bene con le estreme unzioni!». Recitazione e dialoghi, dunque, a dirla tutta. Ma quello che dicono i personaggi e come lo dicono, non è altro che la diretta conseguenza di una scelta consapevole, che è anche il vero tallone d’Achille del film, vale a dire l’aver voluto girare un film italiano smaccatamente in stile USA. L’impressione di aver voluto imitare uno stile, un linguaggio, una cultura diversa dalla nostra, anziché raccontare una storia e basta è una sensazione che permea l’intera pellicola e la rende meno spontanea. Tutto suona troppo costruito, a tratti quasi parodistico. Si potrà mai girare un film di morti viventi in Italia, senza guardare così tanto all’immaginario americano?

L’altra pecca è lo script. Finché la trama percorre le avventure dei due protagonisti, in puro divertissment, senza pretese di significati reconditi e doppie letture, la storia fila via che è un piacere. L’ironia, che è elemento così forte ed evidente nel film, a quel punto diventa una garanzia per lo spettatore, come a dire: ti puoi rilassare, goditi questo spettacolo per gli occhi, questo spasso un po’ truzzo e casinista, tanto qui nessuno ha intenzione di prendersi sul serio. Eppure, sembra però che gli autori a un certo punto si siano preoccupati di “dover” dire qualcosa, di dover aggiungere un significato, uno scopo, una morale, quel “quid pluris” di cui i road movie, specie se di questo genere, non hanno affatto bisogno. E allora ecco rifiorire come un fiume carsico il tema degli esperimenti scientifici, della “nuova razza”, del virus e di un suo portatore sano, dello zombie in grado di parlare, della ripopolazione della Terra, dei sentimenti (tristemente scoperti negli zombie già da Romero, specie nei suoi ultimi film, vedi La Terra dei morti viventi). La trama inizia a sfilacciarsi, diventa confusa, e il peso di tutti questi nodi narrativi inizia a far scricchiolare la sceneggiatura. Diventa evidente come non siano stati coltivati “semi narrativi” a sufficienza, nel corso della prima metà del film, per poter poi pretendere di raccogliere un senso più alto attravero le diverse sottotrame, che spuntano all’improvviso, sul finale, tirate un po’ per i capelli. Non c’è coerenza nel passare oltre la metà del film a sparare, picchiare, urlare, rotolare, ringhiare, imprecare, uccidere, sgommare, per poi improvvisamente cambiare rotta e virare frettolosamente sulle tematiche lasciate prima in secondo piano, appena accennate. Da lì, l’autogol che ci fa un po’ storcere il naso.

Non venga frainteso il senso delle nostre parole. Eaters è un buon film che rappresenta uno sforzo produttivo e registico da non sottovalutare e che deve essere apprezzato e incoraggiato nel desolante panorama del cinema horror italiano. E il fatto che Uwe Boll, regista maledetto e osannato, sbeffeggiato e adorato, abbia deciso di mettere questo progetto sotto la sua ala protettrice, divenendone mecenate, non può che farci piacere (il film è già in uscita in dvd e Blu-ray per il mercato estero). E d’altronde se in Italia – com’è vero – film indipendenti come questo faticano a trovare mercato, non deve sorprendere allora che i giovani cineasti decidano di raccontare le loro storie pensando già al mercato distributivo estero e decidano quindi di usare un linguaggio visivo immediatamente fruibile da quel mercato, prima che dal nostro. Ma – dannazione – si tratta pur sempre di horror italiano e allora anziché fare una copia di film americani già visti, perché non modulare la storia di conseguenza e tentare davvero di raccontare una storia 100% italiana? Altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi un fake americano, girato da mani italiane. Anzi no, diciamolo bene, made in Italy.

Vi lasciamo al Trailer ufficiale del film e alla nostra intervista ai registi.

TRAILER HD

httpv://youtu.be/a75-R4xyMBM

EATERS

Regia: Luca Boni, Marco Ristori
Scritto da:
Germano Tarricone, Marco Ristori
Prodotto da:
Extreme Video Snc.
Durata:
94 minuti.
Anno:
2010.
Cast:
Alex Lucchesi, Rosella Elmi, Guglielmo Favilla, Elisa Ferretti, Claudio Marmugi.

About Stefano Passeri

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Comments

Posted On
giu 28, 2011
Posted By
Zen

“Si potrà mai girare un film di morti viventi in Italia, senza guardare così tanto all’immaginario americano?”

Certo che si può, basta andare a vedersi “Dellamorte Dellamore” di Michele Soavi!

Posted On
lug 01, 2011
Posted By
Giovanni Lorecchio

Credo sia il film più brutto mai realizzato in Italia. E in Italia di mer*a cinematografica ne abbiamo prodotto davvero tanta.

Film del genere precludono la possibilità di produrre film di genere nel nostro paese. Capisco Stefano che cerca di difendere il lungometraggio solo per la bandiera nazionale ma questo “coso” è davvero indifendibile e inguardabile. Stendiamo poi un velo pietoso sulla recitazione…l’unica cosa che fa ribrezzo è quella!

Posted On
lug 04, 2011
Posted By
Zen

Di merda cinematografica ne abbiamo prodotta tanta perchè abbiamo fatto molti films: è inevitabile come la morte.
Del resto chiunque non sia rincoglionito dall’esterofilia acefala e abbia una pur minima conoscenza della storia filmica mondiale, sa bene che l’Italia è uno dei paesi più rilevanti in quest’ambito .
Basta andare a vedersi gli albi d’oro delle grandi rassegne e festival internazionali: Academy Awards, Venezia, Cannes, Berlino…

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