Cinema Fear Itself. La paura scorre in tv (o, almeno, dovrebbe…)

Fear Itself. La paura scorre in tv (o, almeno, dovrebbe…)

L’occasione mancata di una serie tv potenzialmente perfetta

Nel 2008 il canale televisivo americano AXN ha trasmesso un’interessante (almeno sulla carta) serie televisiva firmata Mick Garris.

La serie avrebbe avuto come tema portante quello della paura e sarebbe stato affrontato per ben 13 episodi da altrettanti registi di genere potenzialmente più che esperti nel campo. Ecco, quindi, che registi del calibro di Darren Lynn Bousman, John Landis, Breck Eisner e Mary Harron hanno imbracciato la loro macchina da presa e dato vita a 40 minuti (che, poi, è la durata di ogni episodio) di puro terrore… almeno così sarebbe dovuto essere.

Invece c’è qualcosa che non quadra. Qualcosa che deve essere sfuggito al loro controllo. Qualcosa che, forse, si sarebbe potuto evitare. Ma procediamo con ordine.

A Settembre 2008 il nostro Andrea Lanza ha seguito in prima linea i primi 8 episodi trasmessi dall’emittente americana (nel link che qui vi riproponiamo), delineando il quadro perfetto di un prodotto potenzialmente intrigante e ben costruito ma in fin dei conti troppo edulcorato per i temi che avrebbe voluto affrontare: merito (o colpa?), forse, del target a cui l’emittente stessa si rivolge, ma probabilmente anche a causa di una certa saturazione visiva di cui ormai siamo tutti al contempo vittime o carnefici.

Intendiamoci, Fear Itself è una serie coraggiosa ed affronta il tema della paura davvero sotto ogni punto di vista. Ma com’è già stato anticipato, visione dopo visione i conti sembrano non tornare.

Il primo episodio, The Sacrifice di Breck Eisner, affronta la paura abbinandola ad uno dei mostri più inquietanti e allo stesso tempo fascinosi della storia del cinema, il vampiro, presentandolo qui, però, più come un essere mostruoso e primitivo, quasi bestiale, più vicino, dunque, ai vampiri famelici di 30 Days of Night, piuttosto che al romantico ed elegante principe delle tenebre targato Bram Stoker. Lo stile che cerca di rievocare Eisner nel suo episodio è certamente quello dei grandi classici alla Tobe Hooper, rintracciabile anche nel filone horror francese che tanto sta spopolando (a ragione, s’intende) negli ultimi anni.

Il secondo episodio, Spooked di Brad Anderson, parte dal classico topos della casa “infestata”, animata, organica e in grado di far rivivere qualcosa che si è tentato, invano, di seppellire nel proprio inconscio (ma allo stesso tempo locus amoenus in cui sentirsi al sicuro e protetti e, dunque, fortemente vulnerabile se intaccato) per raccontare la paura del suo protagonista, attingendo a piene mani dai classici del terrore, senza però disdegnare un montaggio sovrano cadenzato da un ritmo sonoro da videoclip musicale. Thriller, più che horror, Spooked dimostra come spesso, dietro azioni violente, si celino insormontabili traumi infantili.

Meno degni di nota sono, invece, il terzo ed il quarto episodio della serie, Family Man di Ronny Yu e In sickness and in health di John Landis: nonostante la trama in entrambi gli episodi sia costruita con la massima attenzione, e le strategie della tensione sembrino così create ad arte da apparire più meri esercizi di stile che vere e proprie scelte stilistiche ponderate, tanto l’episodio di Yu quanto quello di Landis, peccano sensibilmente sul piano dell’intreccio, della scenografia e, dunque, della messinscena, dando vita ad una giostra di emozioni difficili da gestire e, forse, fin troppo dispersive.

Di dubbio gusto il quinto episodio di Fear Itself, Eater di Stuart Gordon, una favola horror che sembra voler ad ogni costo trasudare Stephen King da quasi ogni poro, ma che invece si rivela una sequela di imbarazzanti luoghi comuni sull’horror e i suoi principali elementi caratterizzanti, inclusa la scream queen di turno, che qui assume le sembianze di una allieva poliziotta dall’aria ribelle, la cui passione per il gore la renderebbe automaticamente (in quale mondo?) perfetta per il caso in questione.

Figlio dei mockumentary di questa generazione, persa tra innumerevoli Cloverfield, Rec e affini, New Year’s Day di Darren Lynn Bousman sembra essere l’episodio più onesto della serie, nonostante tutto. Esteticamente il migliore, senza alcun dubbio, ma anche l’unico in grado di trattenere davvero l’attenzione dello spettatore canalizzata non soltanto sulla protagonista, quanto sulla surrealtà della vicenda, che pure riesce ad inquietare fino alla fine, assolutamente giusta, cinica e sorprendente.

Il più interessante sulla carta, invece, s’è rivelato essere il settimo episodio, The Community di Mary Harron, che riprende il tema della casa, della dimensione domestica e rassicurante, minata da un terrore nascosto, velato, che striscia sottoterra senza quasi farsi percepire, distruggendo dall’interno le fondamenta di una costruzione apparentemente indistruttibile. Peccato, però, che la regista non sia riuscita, in soli 40 minuti, a catturare l’attenzione dello spettatore, abbandonandolo a metà strada in balìa delle onde e di una tensione che, purtroppo, non recupererà più, neppure alla fine dell’episodio.

Quasi come una sorta di immaginaria trilogia, gli episodi dall’ottavo al decimo, rispettivamente Skin and Bones di Larry Fessbender, Something with Bite di Ernest Dickerson e Change di John Dahl, mettono in scena i più classici dei mostri del cinema horror: lo spirito possessore, dell’episodio di Fassbender; il licantropo, dell’episodio di Dickerson; il doppio, dell’episodio di Dahl. Chi per un motivo, chi per un altro, misteriosamente sono questi i tre episodi più sinceri, i meno pretenziosi, i più fedeli, forse, alle intenzioni originarie del soggetto

Gli spiriti ritornano, invece, nell’undicesimo e dodicesimo episodio, ovvero in The Spirit Box di Rob Schmidt e Echoes di Rupert Wainwright. Se nell’episodio di Schmidt due giovani studentesse riescono a risvegliare lo spirito della loro giovane amica utilizzando un rudimentale quadrante degli spiriti fatto in casa, in quello di Wainwright il protagonista riesce a risvegliarlo semplicemente trasferendosi nella sua vecchia casa, diventando così il suo nuovo “messaggero”. Come al solito, anche qui qualcosa sembra mancare all’appello: trame interessanti, ma lacunose messinscene, penalizzate da un cast, talvolta, al di sotto delle aspettative e delle potenzialità del prodotto stesso. Ma tant’è.

Dulcis in fundo (ma, ahinoi, neanche troppo “dulcis”), l’ultimo episodio di Fear Itself, The Circle di Eduardo Rodriguez, che con la sua storia circolare (com’è sapientemente evocato dal titolo stesso) accompagna lo spettatore in un inquietante turbinio di emozioni, pronte, però, a scemare troppo in fretta, in un finale sì interessante, ma che avrebbe reso certamente meglio se realizzato in modo diverso. Della serie “a volte uno schermo nero è più efficace di qualunque artificio”.

Fear Itself

(USA, 2008)
Di: Mick Garris
Stagioni: 1
Episodi: 13
Durata: 40 min. ca.
Distribuzione: Lionsgate per AXN

 

 

About Luna Saracino
Appassionata, maniacale, artisticamente onnivora, anche se l’horror in ogni sua forma e sostanza è entrato a far parte della sua vita fin dalla più tenera età e oggi cinema e letteratura (horror e non solo) più che una passione, forse, sono diventati una vera e propria ragione di vita.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!

Altri articoli:

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.

Horror Community

[captain-sign-up text="Partecipa al gioco"]

Focus on

Categorie degli articoli

ebook gratis


    Ai lettori di Horror.it, regaliamo una ghost story inedita di Andrea G. Colombo. Buona lettura!
  • RSS
  • Twitter
  • Facebook
%d blogger cliccano Mi Piace per questo: