Editoria Doctor Sleep – Stephen King – Sperling & Kupfer

Doctor Sleep – Stephen King – Sperling & Kupfer

doctor sleep coverChe fine ha fatto baby Torrance? I fan di Stephen King hanno aspettato ben trentasette anni per leggere il seguito di Shining. L’attesa è terminata.

Ora con Doctor Sleep possiamo conoscere il destino del piccolo Danny dopo il disastro dell’Overlook Hotel. E dare risposta a una domanda angosciante. Quale speranza di serenità c’è, nell’età adulta, per chi è toccato dal dono della luccicanza e quanto dello shining della prima ora risuona ancora nella penna del re dell’horror? Molto, stando alle parole di chi ha lavorato corpo a corpo con questa fatica kighiana, ovvero il traduttore Giovanni Arduino. Arduino ha curato l’edizione italiana di Joyland e Doctor Sleep, le ultime due opere dell’autore a essere arrivate sul mercato nostrano. «Il King di Doctor Sleep – spiega – é un autore maturo, nostalgico, con un mestiere incredibile. Nessuno riesce a narrare come lui, ora. Nessuno. Come tecnica e inventiva». Un giudizio che non si può non condividere al netto di una premessa, allo tesso tempo, metodologica e sentimentale. I fan di King si dividono in due categorie: quelli che “il maestro non è più lo stesso dal famoso incidente del ‘98” e quelli che accolgono ogni nuova opera come l’ennesimo capolavoro. Shining è “patrimonio culturale” di entrambi gli schieramenti. Il veicolo, per ogni appassionato di King, di una irrefrenabile saudagi letteraria, il libro sacro del rimpianto per l’età d’oro del maestro, il caposaldo della kingstalgia. Il che, inutile girarci attorno, complica non poco la vita al suo sequel.

stephen-king giovaneLa saudagi del lettore ovvero la kingstalgia

Prendere consapevolezza della kingstalgia, sbandierarla, in un certo senso, è il primo passo per rendere un buon servizio critico al secondo volume delle Torrance Chronicles. Doctor Sleep ci porta a spasso nella vita adulta dell’ex bambino prodigio, Danny Torrance, dotato, fin dalla nascita, di straordinari poteri telecinetici ed extrasensoriali. Una vita agra, fatta di brutture e violenza, peregrinazioni e solitudine. Daniel Torrance si è trasformato nella vittima che non era mai stato da bambino. Vessato dai sensi di colpa, oppresso dall’inadeguatezza. E, naturalmente, abbrutito dalla bottiglia. Il tema della quotidiana lotta contro l’alcolismo attraversa tutto il romanzo, esattamente come in Shining. Molto è cambiato, però, nel punto di vista dello scrittore. «L’autore di Doctor Sleep è parecchio diverso dall’alcolista pieno di buone intenzioni che ha scritto Shining» – scrive King nelle ultime pagine del libro – e anche il punto di vista del lettore è tutt’altro che asettico.

Trentasette anni sono tantissimi. Per uno scrittore e per il lettore. La nostalgia e l’amore originano un insopprimibile effetto di parallasse emotiva. Tutti ci siamo avvicinati a Doctor Sleep con un misto di sovraeccitata attesa e repulsione. Preparati al tradimento e ciecamente propensi all’amore totale. L’ultima immagine di Danny Torrance è difficile da dimenticare. Un bimbo sperduto che insegue una normalità negata pescando lucci lungo un lago, accompagnato da un cuoco con poteri paranormali e da una madre talmente spezzata dentro da non poter essere ricomposta nemmeno dal più magico dei busti di gesso. Un ragazzino che ha combattuto i suoi demoni e vinto, ucciso, metaforicamente ma anche letteralmente, suo padre per accedere al resto della vita. Uno di noi, con la differenza che a noi comuni mortali non è stato concesso nessun potere speciale. Come se la sarà cavata Danny – ci chiediamo girando la prima pagina – gli sarà andata meglio o peggio di noi?

Danny è l’unico a essere uscito completamente illeso – «almeno fisicamente» – dall’esplosione che ha distrutto l’Overlook Hotel, il protagonista indiscusso di Shining. Suo padre, come tutti sappiamo, è morto nel rogo dell’ex albergo-meraviglia del Colorado. Sua madre, Wendy, ha riportato gravi ferite che le hanno reso dolorosa e difficile la vita quotidiana, ma mai quanto il senso di colpa per non aver saputo salvare il figlio dal marito e il marito da se stesso. Dick Halloran – il cuoco con la luccicanza che ha rischiato di morire per sottrarre Danny e i suoi dall’ombra dell’Overlook – è entrato ufficialmente nella terza età con la battaglia contro Jack Torrance, il papà di Danny, ma ha consacrato gli ultimi anni della sua vita a fare da tutor al suo bambino. Le orribili anime in pena dell’Overlook non sono morte con l’edificio e hanno tentato, nel corso degli anni, di tormentare ancora Daniel.

L’imprinting di Shining e la sindrome di Psyco

Nel frattempo il piccolo Danny, quel bimbo così serio da essere ribattezzato “dottore” da mamma e papà, ha lasciato il posto a “Dan”. E Dan non ha fatto buon uso degli insegnamenti di Dick, crogiolandosi, piuttosto, nell’oscura eredità di suo padre. Come Jack è diventato alcolista, ha un problema – assai eufemisticamente parlando –di gestione della rabbia e sembra avere come unica vocazione infilare compulsivamente la mano «nel gran nido di vespe della vita». La dipendenza da alcol e droga, «la brutta cosa» che ha distrutto Jack Torrance, sembra aver portato al capolinea anche la vita di suo figlio. Triste, perché nessuno come lui ha conosciuto e odiato gli effetti dell’alcolismo. Eppure vero, la dipendenza è scolpita, dicono, nel nostro dna, un fardello che si passa da mano a mano, come una bottiglia.

O almeno così è finché Dan non incappa in un trenino in miniatura, di quelli che animano le giostre di provincia, che attraversa un’attrazione turistica da poco, la versione miniaturizzata di un paesone americano di nessun interesse. Un luogo che lo folgorerà, su due piedi, come la casa che non ha mai saputo cercare. Non è un caso che questa illuminazione, innescata dal luccichio stordito, ma non spento dal bere, avvenga sulle note di una fascinazione infantile, un ciuff-ciuff gigante che ripaga della locomotiva elettrica tanto desiderata e mai posseduta. Il marchio di Dan e di Danny sarà sempre quello dell’infanzia negata. L’imprinting di Shining, per i protagonisti, per l’autore e per i lettori, persiste. «Adoro illudermi di essere ancora piuttosto bravo in ciò che faccio – si legge sempre nella nota finale dell’autore – ma niente può essere all’altezza del ricordo di un forte spavento». E poche opere di King hanno saputo spaventare il suo pubblico come Shining. Lo sa King e lo sappiamo noi lettori.

Ho letto Doctor Sleep tutto d’un fiato. Mi sono appassionata e divertita, commossa e spaventata seguendo la storia di Danny e la sua nuova guerra al lato oscuro della luccicanza. Eppure non ho ritrovato quel terrore. Interrogandomi sul perché mi sono dovuta scontrare con una banale verità: «La gente – rubo ancora alla nota di chiusura – cambia». King non è il solo a non essere più lo stesso. Avevo quindici anni quando ho letto Shining. Per me è stata un’esperienza unica, paragonabile solo a quella di It. Di quell’esperienza, vent’anni dopo, restava in me, fortissimo, il senso di identificazione con Danny. La percezione di una quasi adulta che, allo stesso tempo, ha ancora ben presente quel mix di amore, paura e incomunicabilità che lega un bambino al mondo degli adulti.

Prima di scrivere a proposito di Doctor Sleep ho deciso di rileggere Shining. Solo così ho capito quanto fossi cambiata. Non solo ho ritrovato quel terrore, ma anche molti altri. Da genitore ho tremato perdendomi nell’ambivalenza dell’amore di Jack per Danny; ho temuto come lui lo sguardo di un figlio che, con o senza superpoteri, sa leggerti dentro oscurità che vorresti nascondere. Sono stata nella mente di Wendy, con le sue paure per il futuro e le fughe dalla realtà, non ho potuto fare a meno di condividere i patimenti di Jack di fronte al misero crollo delle sue aspirazioni letterarie. Dunque, io ero cambiata, ma quel cambiamento mi aveva fatto amare ancor più la storia originale a scapito del seguito. Però – un enorme però – ogni critico sa che la sua impressione personale non deve, in alcun caso, essere usata come paradigma. In questo senso mi è parsa assai più significativa la valutazione di Giovanni Arduino: «Lo Stephen King del 1977 non sarebbe mai stato in grado di scrivere le parti (grandiose) in cui Daniel accompagna i pazienti verso la morte e rivive i loro ricordi». Quando ho letto Doctor Sleep per la seconda volta, ero, dunque, consapevole di essere preda di quella che King definisce la “sindrome di Psyco”. Ovvero la condizione che ti’impedisce, per quanto ben realizzati essi siano, di amare fino in fondo i sequel e i remake del capolavoro di Hitchcock. Tutti si infrangeranno sull’assioma «l’originale era meglio». La ragione? Nulla può cancellare nello spettatore il primo incontro con Janet Leigh.

danny torranceDimenticare Danny: la lezione di Abra

E la prima apparizione di Danny in Shining è di quelle che straziano il cuore. Un bimbetto di nemmeno cinque anni seduto davanti a una casa triste che aspetta, per ore, il ritorno di suo padre. Il papà che a solo tre anni gli ha fratturato un braccio («Mio dio il suo povero braccino!») e che sta per condurlo in un posto orribile. Un cinquenne gravato da paure indicibili, soverchiato da un potere che non è in grado di gestire. Persino i suoi giochi sono melanconici, privi di gioia. Eppure è quel triste, spaurito, bambino l’eroe del romanzo. Il successo della versione cinematografica del libro e l’impatto della icona orrorifica materializzata da Jack Nicholson nell’interpretazione di Jack Torrance hanno finito per oscurare un dato di fatto: Shining è la storia della battaglia di Danny, una battaglia che ha avuto inizio molto prima dell’Overlook. Doctor Sleep è dunque il memoriale di una doppia guerra. Quella contro l’ombra paterna, incarnata nel tentativo di resistere all’alcolismo, e quella contro il male, personificato dalla setta di vampiri di anime del «vero nodo». Nemici che, in qualche modo, fanno parte di Danny e lo saranno per sempre. Non si guarisce mai dall’alcolismo e non si può mettere a tacere la luccicanza.

Così l’ex bambino prodigio lascia il posto all’ex alcolista e le tessere cominciano andare al loro poto. Dan trova lavoro come inserviente in un hospice per malati terminali. Il suo dono gli permette di capire quando uno dei pazienti sta attraversando l’ultima soglia. Nasce il Dottor Sonno, angelo della morte che non procura la fine, ma aiuta uomini e donne a morire in pace, senza dolore. In cambio arriva, inaspettato, il dono di un’anima affine, quella di Abra. Abra è una bambina con tanta, tantissima luccicanza, persino più del piccolo Danny. Daniel e Abra non si conoscono, eppure rimangono in contatto telepatico per anni, fino all’inevitabile randevouz. Abra entra nel mirino dei vampiri del vero nodo, capeggiati dalla potente Rose Cilndro, e Daniel diventa il suo Dick Hallorann. Abra soffre, come ha sofferto Danny, ma sa anche preservare la sua gioia. Abra sa trasformare come per magia («Abra-cadabra!») gli incubi in giochi, distruggere con la fantasia ogni trucco dei mostri che vogliono annientarla. Questa è la lezione di Abra per Daniel.

«Se hai dei bambini è come se ti fosse data la possibilità di vivere la tua infanzia una seconda volta – la citazione è da L’orrore secondo Stephen King – E con quella una nuova prospettiva, un nuovo senso di quello che è stato, di quanto ha significato per te. È come se a un certo punto si sentisse dentro che non si può continuare a essere bambini e se hai dei figli il processo giunge a compimento quando loro sono cresciuti e il tuo compito di padre è finito». Daniel non è il papà della ragazzina, ma, per citare «la teoria della relatività secondo Abra», tutti siamo, in un modo o nell’altro imparentati. Il modo di Daniel e Abra è questo: il legame con la bambina permette a Dan di lasciarsi Danny alle spalle, di chiudere il suo cerchio, di «ricordare ciò che è stato dimenticato» e andare avanti. Un obiettivo che presuppone uno scontro all’ultimo sangue con Rose Cilindro e l’intera congrega del Vero nodo. Sebbene su un piano più fisico dei fantasmi dell’Overlook i membri del Vero nodo sono parimenti dipendenti dalla linfa vitale delle persone dotate di shining. Il Vero nodo vuole Abra come l’Overlook bramava Danny. Per rafforzarsi e sopravvivere. E le similitudini sono appena incominciate.

I membri del Vero nodo sono succhiatori di anime che attraversano gli Stati Uniti d’America da svariate generazioni. Si nascondono dietro la bonaria apparenza della motorhome people, il popolo di camperisti a tempo pieno che si muove lungo le arterie americane a bordo di gigantesche case su ruote superaccessoriate. Sono, in realtà, esseri spietati che suggono lo spirito americano su un doppio binario. Rapiscono, torturano e cannibalizzano bambini e adolescenti dotati di un’aura abbastanza potente; raggirano, turlupinano e depredano i “bifolchi” normali che di luccicanza non hanno nemmeno una briciola. Il loro è un perenne spettacolo d’illusionismo di terz’ordine, fatto di cappellini a visiera e sedie pieghevoli, sorrisi aperti e sgargianti frigo-bar portatili. Una carovana che nasconde dietro la banalità di un camper Winnebago o Bounder il vecchio carrozzone da sideshow. Dietro l’apparenza di uomini d’affari rispettabili o innocui pensionati girovaghi si celano spietati freaks, ognuno dotato di un potere particolare. Tutti sono stati bifolchi una volta, prima della loro trasformazione, ma nulla è più netto della loro separazione dal resto dell’umanità. Quella del vero nodo è una setta, col suo linguaggio, i suoi riti e le sue leggi. Una caratteristica tipica del sideshow.

 sideshowWe’re all stars, now, in the sideshow

Il sideshow è lo spettacolo secondario di un circo, il genere di esibizione da fiera che snocciola elementi esotici e bizzarri a beneficio di un pubblico semplice. L’età d’oro di quest’attrazione si è chiusa con l’avvento della tv e solo alla fine degli anni novanta una nuova generazione di artisti è riuscita a reinterpretarne i fasti. Il sideshow è, per eccellenza, lo spettacolo dell’America provinciale e profonda. «Costituisce una parte importantissima della storia americana post-grande depressione – ci spiega Arduino – che non a caso King ha resuscitato di questi tempi». Il sideshow torna sull’onda della nuova grande crisi e ne cattura l’essenza. L’universo dei social network, se ci pensate bene, sforna senza soluzione di continuità contenuti da sideshow, senza nemmeno un penny per guadagnarsi il biglietto d’entrata.

Una buona fetta delle attrazione di Joyland, il parco divertimenti al centro dell’omonimo romanzo di King che precede Doctor Sleep, è costituita da spettacoli in stile sideshow. I «figli del carrozzone» che animano Joyland, gli artisti che sono nati all’interno del circuito degli spettacoli itineranti, sono la versione “sana” dei membri del Vero nodo. Si limitano a cannibalizzare sogni, eccitazione di breve portata e pochi verdoni. Come i membri del nodo, però, disprezzano coloro che non fanno parte del loro mondo, i cosiddetti «frollocconi». C’è un filo rosso che collega Joyland a Doctor Sleep, un filo su cui si regge un tendone. Un tendone da circo, ma anche una di quelle gigantesche verande mobili che troneggiano al centro dei camping per turisti. Quello di cui facciamo conoscenza in Doctor Sleep è nato sulle ceneri dell’Overlook ed è, in apparenza, un campeggio abbastanza noioso, ma sarebbe potuto essere tranquillamente un parco divertimenti. Del resto nella prima bozza di Shining è questo che l’Overlook sarebbe dovuto essere, un luna park. L’eterna festa di morte dell’albergo, con coriandoli e siepi animate a forma di animali, cadaveri putrescenti e streghe vestite di seta bianca, è una versione appena più raffinata del vecchio carrozzone.

winnebago_wideweb__430x301,0Un altro cerchio che si chiude, passando per territori limitrofi e immaginari borderline. Direttamente dal New Hampshire al Colorado. Un viaggio che ripesca elementi tipici della società americana di cui tutti quanti potremmo far parte. Come mi ha ricordato proprio Giovanni Arduino, «la regola d’oro del sideshow è “a sucker is born every minute”, “i boccaloni non mancano mai”)». È questa la grandezza di King, che prescinde da ogni tentativo o sospetto di auto-imitazione. Perciò una volta smaltita la kingstalgia e godutavi la lettura di Doctor Sleep vi suggerisco di seguire il consiglio di King: «Quando viaggiate sulla autostrade e sulle statali d’America, state attenti a Bounder, Winebago e compagnia. Chissà chi si nasconde dentro. O che cosa». Dietro ogni tranquillo cinquantenne alle prese con il barbecue in una stazione di sosta potrebbe celarsi un essere fuori dal comune. Del resto (questa’ultima citazione la rubo al sito motorhome 365.com) «ci vuole coraggio così come senso dell’avventura per caricare tutto quello che possiedi e che ami in u veicolo con le pareti in polistirolo e puntare verso l’ignoto».

Doctor Sleep - VOTO: 5/5

Anno: 2014 - Nazione: Usa - Pagine: 516 - Prezzo: € 19,90
Autore: Stephen King
Edito da: Sperling&Kupfer
Traduttore: Giovanni Arduino
Data di uscita in Italia: febbraio 2014 - Disponibile in eBook: disponibile

 

 

 

 

About SelenePascarella
Selene Pascarella è nata a Taranto nel 1977. Si è laureata alla Sapienza di Roma 23 anni dopo, con un tesi dedicata a Mario Bava, Lucio Fulci e i maestri dello spaghetti horror dal titolo "Estetiche di morte nel cinema dell'orrore e del fantastico". Giornalista per professione e per vocazione si occupa di cinema, tv, narrativa di genere e cronaca nera. Nel 2011 ha pubblicato, assieme a Danilo Arona e Giuliano Santoro, il saggio "L'alba degli zombie. Voci dall'apocalisse: il cinema di George Romero" (Gragoyle). Tra il 2012 e il 2013, Maya permettendo, ha curato il format 2.0 DiarioZ_Italia per Multiplayer.it.

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