Autori Boris Karloff. Una perenne maschera da cattivo

Boris Karloff. Una perenne maschera da cattivo

Un cattivo galantuomo diviso tra cinema e teatro, ma sempre attento alla sua vita privata. Proveniente da un’agiata famiglia borghese inglese, Boris Karloff, al secolo William Henry Pratt, nacque a Dulwich nel 1887.

Fin da bambino mostrò interesse ed entusiasmo verso il teatro e già a nove anni calcò le scene nello spettacolo Il re dei demoni. L’esperienza sembrò, però, fermarsi lì: la sua famiglia, infatti, avrebbe voluto che il giovane William continuasse sulla strada tracciata dai genitori (quella di diplomatici) e così, a diciotto anni, fu costretto ad abbandonare il teatro e le velleità di recitazione per iscriversi al King College. Ben presto i familiari dovettero, però, cedere all’evidenza, e di fronte ai disastrosi risultati scolastici, lo misero davanti a una difficile scelta: continuare gli studi abbandonando la recitazione o andare via di casa. William scelse la seconda strada e affidò al lancio di una moneta la scelta se andare in  Canada o in Australia: “vinse” il Canada.

 

Da gentile borghese a terrificante Creatura. 

Il giovane signor Pratt arrivò a Ontario nel 1909 e da qui partì per Vancouver dove, dopo alcuni vani tentativi di entrare in una compagnia teatrale, lesse per caso l’annuncio di un agente teatrale di Seattle. Presentatosi da lui con il nome d’arte di Boris Karloff – una sorta di unione slava tra il cognome di origine russa della madre e un nome che sembrasse drammaticamente appropriato –  mentì riguardo la sua esperienza e ottenne la prima parte da professionista interpretando un personaggio di quasi tre volte la sua età. La sua recitazione fu tuttavia così terribile che anni dopo ci scherzò sopra dicendo che il suo stipendio era di 30 $ quando si alzava il sipario e di 15 $ quando si abbassava. Durante i successivi sette anni, perseverò nella recitazione andando in tour con varie compagnie teatrali, arrivando a recitare in 106 diversi ruoli durante 53 settimane, esperienze che gli servirono soprattutto per capire che i ruoli tristi o violenti gli calzavano a pennello. Nel 1918, arrivò finalmente la prima comparsata cinematografica, in un film di Douglas Fairbanks, nello stesso periodo in cui era in tour a Los Angeles con una compagnia teatrale. Il suo strano look e il suo fisico possente sembravano prestarsi perfettamente al cinema, e così continuò ad alternare il lavoro in teatro con alcuni film, per lo più semplicemente come comparsa, fino al 1930 quando gli fu offerto di ricoprire un ruolo minore, quello del galeotto Galloway, nel film Codice criminale. La scena in cui uccide un infiltrato della polizia è un classico di Karloff: con andatura minacciosa e la fronte “brutale” mette con le spalle al muro la sua vittima e poi, lentamente, chiude la porta in faccia allo spettatore, oscurando in pratica la brutale violenza che siamo costretti a  immaginare.

 

La svolta del 1931: Frankenstein.

Dopo molti anni passati dividendosi tra teatro e cinema, un fatidico giorno del 1931 il regista James Whale notò Boris Karloff aggirarsi negli studios e rimase affascinato dalla forma della sua testa: quell’omaccione dal viso allampanato e dagli occhi infossati gli sembrò immediatamente l’ideale sostituto del refrattario Bela Lugosi, allora all’apice del successo grazie a Dracula, che sembrava deciso a rifiutare la parte di Frankenstein poiché priva di dialoghi e troppo poco espressiva per la sua recitazione. E così, grazie anche all’abilissimo tecnico del make-up Jack Pierce, dopo ben due settimane di lavoro, Boris Karloff fu trasformato in quella maschera che ancora oggi è scolpita nella memoria degli amanti dell’horror: la fronte quadrata, le palpebre cadenti su globi oculari dalle profonde occhiaie, le labbra nere, gli elettrodi sul collo e le cicatrici su tutto il viso. L’artificiosità di Karloff, l’infantile goffaggine, la gesticolazione supplichevole e le opposte esplosioni di innata furia, diedero al Mostro una vita eterna sullo schermo. Sotto densi strati di mastice che appesantivano, abbassandole, le palpebre, Boris usò i suoi occhi come uno strumento per trasmettere panico, confusione e autentico male attraverso una maschera disegnata per spaventare e ripugnare (lo rifarà anche nel successivo La mummia). Indossò una giacca con le maniche tagliate per far sembrare le braccia più lunghe e due paia di pantaloni per far sembrare più massicce le magre gambe che furono anche irrigidite e deformate da protesi d’acciaio; il tutto completato da un paio di stivaloni usati dagli asfaltatori, con l’aggiunta di suole di piombo per rendere il passo più rigido. Il volto e la corporatura di Karloff si prestarono alla perfezione per quel ruolo, e, anche se prima di ogni ripresa l’attore doveva sottoporsi a circa tre ore di trucco, il successo fu straordinario, tanto che i produttori della Universal (che nelle locandine ne avevano scritto soltanto il cognome), lo rivollero per altri ruoli da cattivo o da mostro nei classici La mummia (1932), La moglie di Frankenstein (1935), Il figlio di Frankenstein (1939) e La iena – L’uomo di mezzanotte (1945).

Curioso che l’inizio (un prologo in cui Edward van Sloan mette in guardia gli spettatori più emotivi) e l’epilogo (un campo lungo ai bordi del rogo che inquadra il giovane professore teneramente abbracciato alla moglie) furono aggiunti dopo la presentazione pubblica del film. L’horror ebbe così un nuovo re, ma il suo forte accento britannico e la “lisca” destarono qualche preoccupazione per il passaggio al sonoro; preoccupazione superata, però, fin dal primo film, La maschera di Fu Manchu (1932), che anticipò l’altro clamoroso successo di Karloff, La mummia, ancora una volta prodotto dalla Universal, in cui interpreta un faraone risvegliato da una spiegazzata pergamena.

Nonostante il genere horror gli avesse regalato il successo, Karloff non approvò mai la parola “horror” perché vedeva in essa un senso di “rifiuto”, qualcosa che lui non aveva mai provato a fare; a dimostrazione di ciò, l’attore ha sempre voluto dare ai suoi mostri, sia mortali che immortali, straordinarie sfumature di intelligenza, come si vede sia nella tormentosa solitudine della sua creatura in La moglie di Frankenstein (1935) – in cui Karloff diede al suo Mostro calore, humour e sorprendenti note di malinconia (“Io amavo essere morto, odio vivere”) – che nel ripugnante piccolo uomo che scatenò il suo odio all’interno delle oscure mura di Bedlam (1946).

 

Il dopo Universal. Una vita al margine.

Trascorso il periodo d’oro della Universal, Karloff – reso ormai schiavo di un personaggio che gli aveva dato fama e successo – decise di tornare in Europa dove, soprattutto nella nativa Inghilterra, girò vari film di serie B, alcuni anche in Italia, tra cui I tre volti della paura di Mario Bava nel 1963, definito […] formalmente molto curato, e con momenti di autentica suspense (specie negli ultimi due episodi). Sorprendente, per i tempi, il finale in cui Karloff si rivolge con ironia allo spettatore mostrando che il cavallo su cui galoppa è finto[1]; in seguito, fu “costretto” a rientrare negli Stati Uniti, dove si dovette accontentare di figurare, spesso nel ruolo di parodia di se stesso, in una lunga serie di pellicole mediocri, incentrate su scienziati pazzi, mostri o criminali resuscitati (L’ombra che cammina del 1936 o L’uomo che non poteva essere impiccato del 1939), con sporadiche evasioni nella commedia (Gianni e Pinotto su tutti) e finanche nel western Gli invincibili con Gary Cooper, dove interpretava un capo indiano.

Nonostante i successi, Boris Karloff preferì sempre una vita ritirata: si sposò cinque volte, coltivò la passione per il cricket e allevò tacchini nella sua fattoria, evitando completamente la vita sociale di Hollywood, anche se non si tirò mai indietro quando si trattava di beneficiare i suoi colleghi, e a questo scopo divenne membro della fondazione Screen Actor’s Guild. Dopo il successo a cavallo degli anni ’30 e ’40, Karloff fu sul punto di ritirarsi dalle scene, tornando per qualche tempo alla sua prima passione, il teatro, e ottenendo molti applausi nella produzione di Broadway di Arsenico e vecchi merletti e poi recitando nel ruolo del Vescovo Cauchon in The Lark, opposto a Julie Harris (un ruolo che ripeté anche per la televisione). Volle anche interpretare Capitan Uncino nella produzione teatrale di Peter Pan, giustificando la sua preferenza per testi “non classici” e dicendo che non aveva abbastanza talento per recitare Shakespeare. Sulla sedia a rotelle e sofferente per una malattia respiratoria, morì in Gran Bretagna all’età di 81 anni, nel 1969, non prima però che la sua orazione con la “lisca” del Dr. Seuss in Come il Grinch rubò il Natale (1966) rimanesse un annuale appuntamento televisivo per legioni di bambini e bambine che ancora non sapevano si trattasse della stessa voce del Mostro da cui un giorno avrebbero imparato la compassione e la comprensione di fronte alla paura e all’odio ignorante.


[1] Paolo Mereghetti, Il dizionario dei film 2002, Baldini&Castoldi 2002, p. 2165

About Marcello Gagliani Caputo
Giornalista pubblicista, scrive racconti (Finestra Segreta Vita Segreta), saggi sul cinema di genere, articoli per blog e siti di critica e informazione letterario cinematografica, e trova pure il tempo per scrivere romanzi (Il Sentiero di Rose).

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