Cinema Ian Delacroix. Intervista

Ian Delacroix. Intervista

“Non riesco mai a essere soddisfatto al cento per cento di un testo. Devo lavorarci e rilavorarci e stravolgerlo. È questione di rispetto per il lettore.”

Un personaggio Ian Delacroix.  Uno scrittore gotico e spigoloso che reduce della buona risonanza del suo Il Grande Notturno ha dato la sua disponibilità a essere intevistato qui su horror.it.

 A cosa dobbiamo la creazione del Grande Notturno?

A una mia fantasia da bambino. Alla mia ossessione per le ombre e il desiderio di riuscire a controllarle.

Milano è la tua città, un ambiente conosciuto. E’ solo questo il motivo per il quale hai ambientato il romanzo nella città della Madonnina o hai avuto anche altri motivi? E quali erano le tue suggestioni mentre riempivi idealmente la città di topi?

Volevo fermamente un ambiente italiano. Mostrare che si può scrivere horror ambientato in Italia. Un autore italiano non può, non deve ambientare storie negli Usa e scimmiottare gli americani. Abbiamo una cultura, ambienti e un sentire tipicamente europei e che al di là dell’oceano si sognano, sfruttiamoli. Milano è stata una scelta naturale, non solo perché la conosco, ma anche per la sua struttura e i suoi abitanti, per il fatto di essere una metropoli, per la presenza della metropolitana.
Dovevo liberarmi inoltre di alcuni spettri riguardanti questa città che mi portavo dietro da troppo tempo.

Oltre alla famosa favola del pifferaio magico con quale altro testo ti sei confrontato per la realizzazione di questa storia ?

A livello narrativo vari testi di mitologia, che da sempre mi porto dietro e orami fanno parte di me. Poi Dieci Piccoli Indiani. Per gli stati d’animo una rilettura di Hare no Yuki di Yukio Mishima non mi ha potuto che fare bene. Per quanto riguarda la documentazione varia, dalla Parigi di fine ottocento, alla storia del Carnevale di Venezia, alla storia della metropolitana di Milano e alla sua realizzazione.

E nella vita da scrittore? Quali sono i tuoi riferimenti autoriali? Quali sono i libri che ti hanno fatto crescere?

Troppi, davvero troppi per elencarli. Sono riferimenti non in quanto modelli, ma in quanto mi hanno trasmesso/estasiato. Modelli no. Se un narratore non cerca una sua voce e non guarda ai propri mondi, è meglio che faccia altro.

Gli zombie che barcollano nel Grande Notturno sono un po’ atipici e restano defilati rispetto alla storia principale. Cosa ti eri riproposto di raccontare nel tuo libro e pensi di aver rispettato il tuo intento?

Non sopporto la ripetitività e mancanza di creatività della maggior parte della produzione zombesca (sia narrativa o cinematografica o fumettistica o di qualsiasi mezzo). Donare loro un ruolo simile, sui generis, deve essere uno schiaffo alla mancanza di alternative, all’appiattimento dell’immaginazione e degli universi narrativi.

Cosa mi ero riproposto? Di raccontare una storia che avesse determinate caratteristiche, atmosfere e una visione del mondo ben precisa. L’intento è stato rispettato in parte.

Il tuo protagonista è un personaggio particolare, un “cattivo” sottilmente caratterizzato di cui riusciamo a comprendere i limiti, che pretende il suo riscatto. Un personaggio triste e tenebroso. Com’è nato?

Gli antagonisti (in senso lato, visto che in questo scritto è al contempo protagonista) sono un elemento che mi interessa sviluppare sempre nelle mie storie. Mi interessa creare figure non umane, o umani che trascendano, che comunque riescano ad andare oltre i limiti, e quindi adoro studiare, inventare e approfondire i modi di pensare/agire/rapportarsi di chi  supera queste limitazioni, e che quindi non può e non deve essere antropomorfizzato o reso stereotipo nei comportamenti. La figura del Grande Notturno si inserisce in questa ricerca.

Il libro denota precisione e puntigliosità, quanto è dovuto all’autocritica? C’è stato qualche momento particolarmente difficile durante la stesura del romanzo?

Molto è dovuto all’autocritica. Non riesco mai a essere soddisfatto al cento per cento di un testo. Devo lavorarci e rilavorarci e stravolgerlo. È questione di rispetto per il lettore. Questa maniacalità la trovo necessaria, fa parte della mia estetica/etica. Essere supportato da editor che la pensano come me non è che un piacere e una conferma di muoversi nella giusta direzione.

Momenti difficili? Fammi pensare. Ci devono essere stati, ma credo di averli rimossi. No, non riesco a ricordarli, adesso.

Sono perfettamente consapevole del fatto che tu studi per te stesso e scrivi prima di tutto per tua necessità. Ma questi studi hanno una direzione precisa, dove pensi ti possano condurre e che tipo di soddisfazioni ti hanno dato?

Sì, il mosaico ha una sua direzione, però è una cosa che riguarda me e preferisco non parlarne. Le soddisfazioni che mi hanno dato riguardano la sfera personale, per cui qui cala un velo sulla risposta.

Hai scelto tu l’horror o l’horror ha scelto te? Quanto è difficile scrivere horror e farsi valere come scrittore di horror?

È stato qualcosa di naturale. Un’attrazione reciproca direi.
Scrivere horror è difficile esattamente come qualsiasi altro genere, bisogna conoscere la materia, leggere per anni e studiarla a fondo se si vuole ottenere qualcosa di personale e serio, e non spazzatura. Non ci improvvisa narratori, in nessun genere. Deve essere qualcosa anche nelle tue corde ricercare determinate atmosfere/storie, e non una forzatura. A me viene naturale, più naturale che scrivere altro.

Sul farsi valere: in Italia la letteratura horror e fantastica è vittima di pregiudizi e ignoranza. Senza essere conosciuta né studiata, per ignoranza (la ridondanza è voluta) viene etichettata e relegata nella schiera delle cose non serie e considerata di serie z, priva di valore letterario. Peccato che gli stessi giudici non possiedano gli strumenti e la conoscenza della materia per emettere tali aprioristiche sentenze.

Leggeremo presto qualcos’altro di tuo? Hai qualche progetto in mente?

Dipende dai tempi editoriali e dalle opportunità che mi verranno date/ saprò crearmi. Ho diverso materiale già pronto. I prossimi due libri che vorrei fare uscire sono strettamente collegati e riguardano la stessa ricerca metafisica, sono una raccolta di racconti e un romanzo breve ambientati nello stesso scenario: una città condannata nella quale si muovono ciarlatani, predicatori marionettisti e artisti falliti. Poi c’è un romanzo ambientato tra il Friuli Venezia Giulia e la Grecia su Pan e il controllo dei sogni. I primi due lavori sono molto diversi rispetto al Grande Notturno, perché mi piace esplorare diverse suggestioni e soluzioni narrative.

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