Apocalittico The Signal

The Signal

Gli zombie di ultima generazione hanno il cervello fritto da infezioni digitali ad alta definizione e nelle loro zucche vuote una primordiale sete di morte ha sostituito le più volgari pulsioni antropofaghe.

Terminus è una città triste, sporca, depressa e deprimente. Un posto da cui fuggire a gambe levate. Uno dei quei posti dove il principale agente della selezione naturale è ancora il vecchio, caro e funzionale Apocalisse.

E’ la vigilia di Capodanno: dopo l’ennesima notte di passione vissuta fugacemente, Ben (Justin Welborn) propone a Mya (Anessa Ramsey) di fuggire insieme: è una fuga dal marito di lei, il violento ed ossessivo Lewis, dall’opprimente grigiore di Terminus, dalla clandestinità del proprio amore. Tornata a casa, Mya sembra definitivamente persuasa dall’idea. Poi arriva il Segnale.
Il Segnale è una misteriosa trasmissione che, sfruttando ogni moderno mezzo di comunicazione, induce alla cieca violenza chiunque ne venga a contatto. Quasi naturale che uno dei primi a caderne vittima fosse proprio Lewis, che, alla presenza della moglie e di alcuni amici, inizia ad aggredire chiunque sia nei paraggi. Messasi momentaneamente in salvo, Mya cerca di raggiungere l’amato Ben. E così Ben stesso, lungo le strade di una città caduta preda di un’incomprensibile follia omicida. Quelle stesse strade battute con ferina determinazione dal sempre più allucinato Lewis, alla disperata ricerca di ciò che considera di sua esclusiva proprietà…Gli zombie di ultima generazione hanno il cervello fritto da infezioni digitali ad alta definizione, nelle loro zucche vuote una primordiale sete di morte ha sostituito le più volgari pulsioni antropofaghe, qualche decennio di evoluzione gli ha regalato una postura decisamente più eretta. Protagonisti annunciati dell’adattamento dal fiacco romanzo kinghiano The Cell, sono la più accreditata ed incensata novità di una pellicola che, mantra di Eli Roth alla mano, sarà “Spettacolare. Costosa Apocalittica. Spettacolare. Costosa. Apocalittica“. Tutto il resto, dovrà esser noia. Compreso il connazionale The Signal, dove sono addirittura tre i registi a spartirsi l’onere di un’idea per niente originale, un budget tutt’altro che ricco ed eventuali accuse, in tempi già sospetti, di voler salire sul carro dei vincitori.Poi, visto The Signal, i conti iniziano a non tornare.

Tre registi per tre spezzoni di pellicola, tre trasmissioni, consequenziali per quanto riguarda logica narrativa ma decisamente differenti per stile, mood e (parzialmente) risultati. Un’esperimento azzardato, che può rubare in omogeneità ciò che concede in libertà espressiva, soprattutto se si è esordienti, sconosciuti, ed il primo dei tre registi – David Buckner – attacca la sua trasmissione – Crazy in Love – senza troppi inchini: l’epidemia sta per scoppiare, è bene che tutti se ne rendano conto. Ed il regista ci trascina in mezz’ora di cupa furia controllata, orchestata da una regia vivace, veloce e dominata dalla camera a mano, un’intero palazzo è in pieno delirio e la protagonista Mya deve capirci qualcosa per salvarsi la pellaccia. I soldi sono pochi, niente esplosioni a rimepire spazi vuoti o maestose scene di isteria di massa, tanto vale ridurre il raggio d’azione e concentrarsi sui personaggi essenziali: una scelta assolutamente felice, perchè i 2/3 personaggi su cui indugia l’occhio del regista sono ben delineati, decisamente più profondi della media, c’è una cura ed un’attenzione nella creazione dei meccanismi della tensione che, più che sul pur copioso scorrere del sangue, gioca con efficacia sulle atmosfere e sugli equivoci equilibri venutisi a creare in una realtà dove l’empatia nei confronti del prossimo è il più letale degli errori: quelli di The Signal sono innanzitutto zombie sociali, alienati prodotti metropolitani proprio come Lewis, la cui schiavitù al Segnale sembra essere un naturale decorso esistenziale più che il frutto di un improvvisa infezione su scala globale. Partito in quarta con l’episodio di Buckner, nella seconda trasmissione – The Jealousy Monster di Jacob Gentry The Signal rallenta bruscamente il proprio moto centrifugo, ribalta improvvisamente toni e modalità e si sospende per una mezzoretta in una bolla narrativa tra il grottesco, lo splatter e il quadretto sociale in salsa horror comedy.

Lasciata Mya alla sua solitaria fuga, ritroviamo il marito Lewis, sfuggito in qualche modo alla carneficina di cui sopra, alla ricerca della moglie e ospite casuale di una villetta dei sobborghi bene dove l’arrivo del Segnale ha violentemente interrotto i ferventi preparativi di una festicciola di fine anno. Ed è proprio il ricorso a un microcosmo ben delimitato a mitigare non poco lo stacco fin troppo netto dalle atmosfere ansiogene dell’episodio precendente: nonostante la bizzarìa della situazione, il Segnale è sempre in agguato lì fuori, virulento e aggressivo, sembra voler dirci Gentry. Un microcosmo che è un viaggio dentro e fuori la testa di Lewis, un sanguinoso e tragicomico teatro dell’assurdo che aggiunge nuovi pezzi al puzzle attraverso la stretta dialettica che si instaura tra Lewis stesso e il vicino di casa Clark (Scott Poythress), roccaforte di una lucidità sempre più in bilico sotto i colpi del delirante Lewis (“Sei davvero così sicuro si non essere già impazzito, Clark?“).

Ed è proprio il nostro Clark che, protetto da un ridicolo caschetto in carta stagnola anti-Segnale, ci accompagna al terzo capitolo, quello diretto da Dan Bush e incentrato sulla figura di un Ben in febbrile ricerca di Mya. Un compito improbo perchè, oltre che tirare definitivamente le conclusioni di quanto già detto, in Escape From Terminus il regista si ritrova a voler far convivere le due anime principali della pellicola, quella adrenalinica di Bruckner e quella grottesca di Gentry, e a proporre ulteriori, spiazzanti sottotesti (“Il Segnale è solo un trucco, un imbroglio” sostiene Ben). Il risultato, trattandosi di omogeneizzare più che di svariare liberamente, è il più altalenante dei tre, ma svolge più che dignitosamente e in maniera coerente il lavoro di chiusura. The Signal è una pellicola che osa e viene premiata, anche e soprattutto dimostrando che un soggetto decisamente mainstream può essere trattato con risultati apprezzabili anche rinunciando a tutte quelle garanzie che il mainstream concede, spesso e volentieri in cambio dell’anima.
A coronare il tutto, la prova complessiva del cast e in particolare delle controparti di Ben, Mya e Lewis – tutti semi-sconosciuti attori del circuito cinematografico di Atlanta – che dimostrano di sapersi muovere con inaspettata maestria nella ridda di suggestioni ed intrepretazioni che una pellicola come questa impone. Presentato da più parti come un lavoro furbetto, derivativo e pretenzioso( quale vezzo i 3 registi!) The Signal si è rivelato un outsider solido, coraggioso ed efficace. Ed ora sotto con i pezzi grossi, senza i quali tutto il resto dovrebbe essere noia.

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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