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The Last Of Us – La Recensione

thelastofus-504-610Ci siamo presi il nostro tempo. Abbiamo giocato The Last Of Us senza fretta, immergendoci completamente nelle atmosfere post-apocalittiche del nuovo titolo dei ragazzi di Naughty Dog. Seguiteci insieme a Joel ed Ellie nel mondo piegato dal Cordyceps.

Su The Last Of Us ho sempre avuto aspettative non alte, ma esagerate, paradossali e assurde. Un titolo targato Naughty Dog, un survival horror con premesse realistiche e sopratutto il primo outbreak di pre-next gen. Ciò che mi aspettavo andava davvero oltre l’hype canonico di gamer. Eppure, forse per la prima volta, quelle aspettative non solo non sono state deluse, anzi alla fine mi sono reso conto che da The Last Of Us mi aspettavo davvero troppo poco…

Quando una software house viene costantemente riempita da attenzioni e pressioni sia dai distributori che dal pubblico, c’è il serio rischio di cadere in errore e non soddisfare appieno le pretese dei più. Non sono pochi gli studi che dopo avvii e qualche sequel hanno iniziato a perdere pezzi per strada per l’eccessivo zelo usato nel creare un nuovo id o perché magari sicuri di un incasso grazie al solo titolo cult (come accaduto a FEAR per esempio).

The Last of Us, è un action/stealth con elementi survival, basato fondamentalmente sull’ennesima (ma non ovvia) variante sul tema zombie. “Uncharted horror”, dicevano alcuni poco informati, “un survival con il graficone e niente più” affermavano altri ancor meno preparati in materia. Ma il nuovo titolo dei Naughty Dog è semplicemente qualcosa di diverso. Un capolavoro assoluto. Un survival, si, ma che fa del realismo la sua colonna vertebrale e che dal connubio sempre più abusato cinema-videogame riesce a regalare un’ esperienza originale e davvero memorabile.

whatremains webserie thelastofusIl Cordyceps è un fungo parassita capace di infestare le formiche, prendere il controllo dei loro minuscoli cervelli e costringerle a raggiungere luoghi elevati, dove può in seguito diffondersi più facilmente. In The Last Of Us dovremmo combattere una versione evoluta di questo parassita, in grado di infestare un essere umano e di trasformarlo in una bestia il cui solo istinto è la diffusione delle spore da cui è pervaso. Il gioco prende il via venti anni dopo che l’infezione si è propagata in tutto il mondo, e quel poco che resta del pianeta e dell’umanità pare non essersi ripreso affatto. Al contrario, si è lasciato andare, morire. Ha subito un’evoluzione inversa. Chi non muore per il fungo o straziato dagli infetti, muore ucciso dai propri simili, in un contesto dove il già incerto confine tra bene e male è scomparso del tutto. Tra le rovine di questo apocalittico nuovo mondo si affaccia Joel, un uomo di mezza età indurito da una serie di dolorose vicissitudini personali. E’ un contrabbandiere. Si guadagna cioè da vivere (sempre che di vita si possa parlare) smerciando quei pochi oggetti di valore rimasti. Fino a quando gli si chiede una consegna speciale: Ellie, una ragazzina di quattordici anni che deve essere recapitata sana e salva al quartier generale di un’organizzazione conosciuta come “Le Luci”, per motivi non del tutto chiari. Questa è la premessa di The Last of Us, una visione dell’invasione zombie che taglia i ponti col misticismo per radicarsi nelle cause scientifiche e riesce, così facendo, ad apparire nettamente più umana e coinvolgente rispetto alle solite varianti viste e straviste (proprio come nel recente zombie-kolossal World War Z di Marc Foster).

the-last-of-us-20111211004516294Aspetto interessante e realmente da idolatrare è quello attinente appunto alla figura degli infetti. Qui solo protagonisti sulla carta, perché in realtà altro non sono che un puro pretesto per racconta una vicenda che più umana non si può. La violenza qui ha un senso ed è una necessità fondamentale. Estremamente inumana, ma mai gratuita. Le uccisioni, il sangue e la durezza delle azioni dei protagonisti (aspetti così brutalmente realistici da sembrare all’apparenza portati all’eccesso) sono giustificati dalla terribile situazione in cui si trovano, eppure non si cade mai nello stupido errore di perdonarli. La regola è solo una, “uccidere o morire”. Uccidere o morire, una scelta posta in un mondo dove agli uomini non è concesso nemmeno il lusso di sperare e dove la pietà non fa più parte di noi. Disintegrata come un’ultima scintilla di un’incendio ormai estinto. La disperazione può spingere un essere umano a compiere azioni mostruose e la mostruosità di una piaga inarrestabile può far riaffiorare quell’umanità ormai sparita. La brutalità dei fatti raccontati è quasi sconvolgente per un videogioco: non provateci nemmeno a cercare una morale, né illudetevi di venire in qualche modo accontentati con qualche happy-time. Qualsiasi situazione, anche la più abietta, non conduce mai a una totale rassegnazione. Quando la tensione sembra farsi insostenibile, ecco che questa si stempera in un intermezzo più leggero, o in momenti di estrema quanto inaspettata delicatezza, che in un contesto di tale disumanità appaiono quasi paradossali. Il tutto racchiuso nel costante oscillare tra l’amara e triste accettazione di Joel e lo stupore di Ellie nel suo viaggio nell’immenso inferno in cui si è trasformato il nostro mondo e che non ha mai conosciuto quando ancora poteva considerarsi normale.

The-last-of-us-1The Last of Us non è un gioco facile (sia concettualmente che di gameplay). E’ fondamentalmente uno stealth. I protagonisti infatti hanno un set di armi molto limitato, con ancora meno munizioni sparse per i vari ambienti. Inutile dire che un approccio ragionato a ogni singola ambientazione è quello più vantaggioso, anche per godere al massimo l’atmosfera di oppressione e paura che circonda Joel ed Ellie. Scegliendo questo approccio non pregiudica affatto e in alcun modo il ritmo del gioco, che alterna con buon equilibrio fasi stealth a momenti di puro shooting vecchia scuola. Inoltre la possibilità di aumentare l’efficacia delle armi e di crearne alcune, reperendo materiale a sufficienza, aggiunge ulteriore spessore strategico ai combattimenti. Il sistema di controllo fa il suo dovere, sia negli scontri a fuoco, sia in quelli corpo a corpo, e solo l’intelligenza artificiale rappresenta l’elemento meno rifinito della produzione. Per esempio, Joel lo muoviamo in maniera assolutamente silenziosa per non essere scoperti mentre alcuni nostri comprimari incontrati lungo la nostra strada emettono suoni, corrono da una copertura all’altra o entrano nella linea visiva dei nemici… che li ignorano e si scagliano contro di noi. Molto più soddisfacenti sono invece le ronde degli avversari che coprono davvero tutta la mappa, e il loro muoversi di continuo quando c’è uno scontro a fuoco. Magari potevano essere più svegli in presenza di un cadavere, ma non ci si fa troppo caso. In fondo i cadaveri in questo mondo sono più numerosi di corpi in vita.

Tecnicamente The Last of Us rappresenta per Playstation 3 il titolo che più abusa della potenza della console Sony. Sfrutta letteralmente il sistema per portarlo al massimo ottenibile, spremendolo fino all’ultima goccia di sangue e, come le azioni dei suoi protagonisti, lo fa senza pietà. La direzione artistica è estremamente ispirata, i modelli tridimensionali dettagliatissimi, le animazioni fluide e l’illuminazione realistica e curatissima. I filmati d’intermezzo, mai invadenti e mai più lunghi di qualche minuto, sono montati con un gusto registico di altissimo livello, e in certi frangenti spaccano letteralmente il cuore in due. Capitolo sonoro e doppiaggio eccellenti. L’adattamento originale è semplicemente straordinario, e quello italiano fa assolutamente la sua parte senza piegare la testa al trattamento in lingua originale.

UNICA NOTA DOLENTISSIMA: Gustavo Santaololla, due volte premio Oscar per la migliore colonna sonora (nel 2006 per I segreti di Brokeback Mountain e nel 2007 per Babel) qui fallisce miseramente. Il suo accompagnamento si fissa troppo spesso nella ripetitività e noiosa osservazione di note lente e drammatiche. Quello che manca realmente a The Last Of Us è infatti uno score più epico, realmente drammatico che sottolinei qualsiasi aspetto di gioco nel miglior modo possibile e non due-tre tracce riuscite volte a sottolineare il grado di sentimento espresso in immagini in due sole cut-scenes.

Arrivati alla conclusione permettetemi una cosa che non faccio mai: voglio dare un voto a questo lavoro. Dieci su dieci. Ed è anche poco.

About Giovanni Lorecchio
Famiglia modesta, lui un po’ meno. Un folle, dilaniato da miliardi di idee ma con pochi mezzi per realizzarle. Grande appassionato di cortometraggi in computer grafica e di colonne sonore, ama particolarmente l’accostamento horror/sci-fi. Odia il brutto cinema e si dedica alla composizioni di colonne sonore di genere.

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