Posts Tagged ‘pornografia’

EROS & THANATOS #5 – Sade, la vita

Prolifico, debordante, perverso e recidivo. Uno scrittore di best sellers ante litteram che ha vissuto nella realtà le proprie opere di fantasia.

Donatien-Alphonse-François comte de Sade nasce il 2 giugno del 1740, all’hôtel de Condé a Parigi, tra lusso e gusto picturesque. A quattro anni, a causa della carriera diplomatica del padre – che costringe i genitori a numerosi spostamenti – si trasferisce ad Avignone, a casa di una nonna, prima di essere affidato all’abbé de Sade e, a dieci anni, ai gesuiti del collegio parigino di Louis-le-Grand. Qui, per quattro anni, Sade si alza alle cinque e mezzo, prega sino alle sei, poi studia le sacre scritture per un’ora e tre quarti, fa colazione, poi prega ancora e di nuovo legge le sacre scritture per poi pregare ancora e di nuovo leggere le sacre scritture… così sino alle nove di sera, quando finalmente può crollare a letto mormorando (immaginiamo) le peggiori bestemmie.

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EROS & THANATOS #4 – Sade, introduzione

Qualche parola sul “divin Marchese”, narratore dell’estremo limite che la perversione umana può raggiungere.

Nessun altro autore ha definito un immaginario quanto il Marchese de Sade, e non soltanto perché il suo nome – attraverso la tassonomia tardo ottocentesca di Krafft-Ebing – è diventato sinonimo di crudeltà compiaciuta, di sessualità perversa e sete di dolore: il suo lascito riverbera oggi, come riverbererà in futuro, in ogni forma d’arte intenda esplorare le segrete più oscure dell’animo umano.

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EROS & THANATOS #2 – La censura

Il sesso e la morte nel mirino dei depositari della morale pubblica, ovvero la censura come confessione pubblica di un desiderio inconfessabile.

Con l’invenzione della stampa si è posto il problema della diffusione incontrollata delle idee, ed è stato quindi elaborato il concetto di “libro pericoloso” e, conseguentemente, di censura. Questa viene giustificata attraverso la presunta pericolosità sociale, provata attraverso i canoni della censura stessa, in un processo autoreferenziale che – come ogni forma di critica – tende a fare dell’opera una macchia Rorschach dove proiettare paturnie, storture, preconcetti religiosi, fobie e desideri inconfessati dei re-censori.

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