Focus on American Horror Story: Coven

American Horror Story: Coven

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Trasportare nell’eccessivo, chirurgico e bulimico linguaggio televisivo di Ryan Murphy gran parte del bagaglio orrorifico della cultura americana ha significato dare vita a un qualcosa che ancora mancava al panorama tv.

La terza tappa del maestoso tour degli orrori firmato Ryan Murphy arriva a New Orleans, Louisiana, ribollente calderone multiculturale dove integrare la propria vincente ricetta filmica con gli esclusivi ingredienti locali: stregoneria bianca, voodoo, razzismo e il tempo che scorre, o che forse non scorre mai.

C’è una scuola speciale a New Orleans, la Miss Robichaux’s Academy for Exceptional Young Ladies, dove confuse e spaventate giovani da tutta la nazione vengono condotte non appena iniziano a manifestare un’evoluzione anomala e straordinaria rispetto a quelli che sono i fisiologici cambiamenti della adolescenza e del periodo immediatamente successivo. A unire ognuna delle studentesse di questa particolare scuola, un retaggio oscuro e arcano che affonda le sue radici direttamente nella terra maledetta di Salem: al suo interno le giovani vengono protette da un mondo esterno inevitabilmente ostile ed educate dalla direttrice Cordelia Foxx (Sarah Paulson) all’uso di quelle peculiari arti magiche improvvisamente palesatesi nelle loro vite, tra bambole voodoo umane, chiaroveggenti e donne-mantide.

covenL’anomala quotidianità della scuola viene improvvisamente sconvolta dall’arrivo di Fiona Goode (Jessica Lange), madre di Cordelia e più potente strega della propria generazione – la Suprema -, guida designata dell’intera congrega di streghe che in passato abdicò al proprio ruolo per scopi puramente egoistici e che ora vede la propria leadership messa fatalmente a repentaglio dalla nova stirpe di giovani streghe tra le quali si trova, non ancora conscia del proprio destino, la futura Suprema. Ma più che alla tardiva assunzione delle proprie responsabilità, il ritorno di Fiona risponde ad un altro tipo di finalità: la strega, oltre a difendere la propria posizione di potere, vuole chiudere una volta per tutte i conti con Marie Laveau (Angela Bassett), potentissima sacerdotessa voodoo, gelosa custode del segreto dell’eterna giovinezza e nemica storica della congrega di streghe cui Fiona è tornata a capo. Il ritorno in scena di Madame Delphine LaLaurie (una Kathy Bates che, nelle parole di Ryan Murhpy, “compirà gesti otto volte più efferati di quanto fatto in Misery”), crudele nobildonna ottocentesca che Marie Laveau condannò alla dannazione eterna come punizione per le crudeltà cui era solita sottoporre i membri della comunità nera della città, non sarà che il primo passo di un’escalation di violenza soprannaturale che calerà come una cappa su tutto e tutti…

american-horror-story-coven-releases-creepyPer i suoi creatori Ryan Murphy e Brad Falchuck, oltre a rappresentare l’ennesimo step di una carriera dal successo a tratti imbarazzante, American Horror Story deve avere in qualche modo il delizioso sapore di quel tipo di conquista cui ogni autore tv dovrebbe ambire: incisa nel marmo un’invidiabile credibilità professionale agli occhi dell’industria con i pezzi grossissimi Nip/Tuck prima e Glee poi, le prime due stagioni di American Horror Story hanno dato la netta impressione che con la sua prima creatura di genere la coppia di sceneggiatori abbia finalmente avuto la possibilità di dare libero sfogo a un lato della propria creatività che fino a quel momento era rimasto ancora piuttosto nascosto, quello più anarchico e adolescenziale inevitabilmente formato e cresciuto nel brodo di coltura del grande orrore americano, che fosse fiction o realtà poco importa, e rimasto pazientemente nell’ombra mentre i nostri riscrivevano, un passo dopo l’altro, alcune delle più importanti pagine di un certo tipo di tv serialism. Trasportare nell’eccessivo, chirurgico e narrativamente bulimico linguaggio televisivo di Ryan Murphy gran parte del bagaglio orrorifico della cultura americana ha significato dare vita a un qualcosa che ancora mancava al panorama tv, un enorme scrigno a tempo capace di mescolare a proprio piacimento archetipi cinematografici, pop culture e celeberrima cronaca nera a stelle e strisce e non che il ridotto arco temporale della stagione unica rendeva un elegante, velocissimo viaggio su montagne russe dove pochi dei partenti sarebbero arrivati a destinazione.

AHS COVEN SupremeE’ stato così per Murder house e per Asylum, è lo stesso per Coven. In mano a Ryan Murphy l’inesauribile, magnetico patrimonio di storia, tradizioni e suggestioni che solo New Orleans sa offrire – un’ambientazione fortemente caldeggiata dalla stessa Jessica Lange, in contrapposizione all’iniziale idea di ambientare l’intero set nel Massachussets salemiano – diventa il radioattivo punto d’impatto e convergenza tra la tradizione stregonesca bianca di Salem e l’animismo africano che, dilatato nello spazio e nel tempo come da rigorosa tradizione murphyana, diventa anche un’efficace allegoria pop delle tragedie razziali passate e presenti e una riflessione sui processi d’integrazione delle minoranze. Ripulita della collosa, ansiogena cappa di terrore e paranoia di cui era stato coperto l’intero Asylum, la terza stagione viene introdotta da un incipit che, nel focus sulla neo-strega Zoe (Taissa Farmiga, tornata dopo la pausa della season two), strizza decisamente l’occhio alle dinamiche e all’estetica del teen horror, nell’ennesimo, beffardo gioco di prestigio con cui Murphy ama confondere e mescolare carte, linguaggi ed immagini, disattendendo sistematicamente qualsiasi possibile previsione e facendo poi in modo che la stagione mantenga per l’intera sua durata un certo mood sottotraccia che, al netto delle pesanti evoluzioni in senso horror della vicenda, ribadirà ciclicamente alcune sue sfumature sdrammatizzanti e quasi camp. Una mossa che di fatto ribadisce ancora una volta la  liquida, mutante natura del moderno orrore firmato Murphy, un idra dalle mille teste che mai sazia non punta alla mera sopravvivenza, e anzi raddoppia, triplica le proprie donne alpha: per la prima volta nella serie l’immensa Jessica Lange si ritrova a condividere il palcoscenico con interpreti e caratterizzazioni affini, tanto ingombranti quanto potenti e carismatiche, sia nella ambivalente, karmica Delphine LaLaurie di Kathy Bates che nella lucida, auto-conservativa furia della sacerdotessa Marie Laveau/Angela Bassett, entrambi personaggi realmente esistiti a magistralmente adattati da Murphy alle necessità di sceneggiatura.

american-horror-story-covenDietro alla main quest della serie  – chi sarà la prossima Suprema? – Murphy affastella linee narrative su linee narrative, tragiche e anarchiche figure solitarie – Kile Spencer/Evan Peters, la strega hippie Misty Day/Lily Rabe – uccidendo come mosche i protagonisti della vicenda e richiamando figure archetipiche dell’horror e della stessa mitologia da lui creata, nel gioco squisitamente post-moderno di chi sa bene che la parola chiave dell’horror non è più invenzione ma decostruzione e rielaborazione. Il resto lo fa la scintillante e ormai codificata raffinatezza estetica della serie che, nella frizione con le inevitabilmente marce conseguenze della pratica voodoo, riesce a dare vita a immaginario dove la coesistenza tra altissimo e bassissimo finisce dalle  squisite parti di un kitsch con museruola e guinzaglio che è, neanche a dirlo, ennesima variazione sul tema di un marchio di fabbrica-Murphy che in precedenza non aveva ancora trovato una reale valvola di sfogo, tra murder house per turisti dove la polvere era tutta sotto i tappeti e lerci, cerebrali manicomi posseduti in cui crudeltà e sporcizia erano più umane che sovrannaturali. E mentre negli USA la serie è stata accolta da consensi di pubblico e critica praticamente unanimi, Ryan Murphy guarda già oltre, dichiarando di avere già in testa temi e strutture della quarta stagione – già programmata e che, come da tradizione, è maliziosamente anticipata da indizi disseminati qua e là nella parte finale terza stagione – ventilando addirittura la possibilità di una sorta di non ancora meglio definito spin-off.

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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