Serie TV In the Flesh

In the Flesh

in-the-flesh-stagione-1_coverDall’Inghilterra arriva un’ottima miniserie in tre episodi che affronta temi come l’integrazione e la diversità dal punto di vista degli zombies

Il Regno Unito offre da alcuni anni prodotti televisivi di qualità (Sherlock, Misfits, Being Human, Life on Mars) e in un piccolo schermo in cui i morti viventi sembrano essere la moda del momento (il successo di The Walkind Dead ne è la prova), la BBC se ne esce con una miniserie in tre puntate, nata dalla mente di Dominic Mitchell, in grado di affrontare l’argomento da un punto di vista totalmente diverso.

Al termine di un’epidemia zombie, il governo inglese è riuscito ad approntare un trattamento per gli zombies, chiamati ora “affetti dalla sindrome di morte parziale”, in grado di farli reintegrare nella società e riacquistare parte della loro vita precedente la morte. E’ a questo punto che conosciamo Kieran, un diciottenne morto suicida e resuscitato zombie, pronto a tornare a casa grazie al trattamento e alle cure psichiatriche: a Roarton, la cittadina rurale dove è cresciuto, lo aspettano i genitori, mentre la sorellina Jem ormai cresciuta è contraria alla cosa, avendo fatto parte durante l’epidemia di un gruppo di volontari in lotta contro i non morti per difendere la comunità, ora contrari al reintegro di questi esseri.

in-the-flesh-bbc-600x300L’arrivo di Kieran, tenuto nascosto al resto della cittadina, sarà l’inizio di un incubo per la famiglia, la madre è spaventata ma sollevata per avere di nuovo con sé il figlio prematuramente scomparso, cerca di ricreare l’ambiente familiare anche attraverso piccole cose (pur non potendo ingerire cibo e bevande Kieran accetta di fingere di mangiare durante le cene in casa), mentre in città il gruppo dei volontari dà la caccia agli affetti dalla morte parziale per poi giustiziarli definitivamente (come succede alla moglie dei vicini di Kieran). Senza dilungarci troppo sulle dinamiche della trama, nel corso delle tre puntate conosceremo Amy (personaggio particolarmente riuscito), la stramba amica zombie di Kieran, un messia mascherato del web che raccoglie consensi da parte dei non morti parlando del loro ritorno alla vita come di un dono divino, vedremo serpeggiare il dubbio che possa diffondersi tramite morso il virus dei morti viventi, vedremo una comunità riunita dai violenti sermoni di un parroco che vede segni dell’apocalisse e scopriremo, in seguito al ritorno del giovane Rick dall’Afghanistan, la causa della morte di Kieran fino al tragico epilogo.

Tre puntate, circa due ore e mezzo, per uno dei prodotti più riusciti degli ultimi mesi, un dramma dall’apparente taglio horror intenso e coinvolgente, capace di stimolare riflessioni oltre che di intrattenere e innovare un genere, nonostante il ritmo sia meno concitato rispetto ad altre serie che affrontano lo stesso genere (basti pensare sempre all’inglese Dead Set). Complice un’atmosfera perfetta, quella della plumbea campagna inglese, resa ancora più desolata da quel senso di rinascita post-epidemia, si scava nelle emozioni, si affronta il tema dei morti viventi dal punto di vista dell’integrazione nella società e lo si fa attraverso gli occhi di uno di loro, il tormentato Kieran (interpretato dal bravissimo Luke Newberry), afflitto dai ricordi di quanto commesso durante la sua fase zombie, riemersi grazie al trattamento, e dalla sensazione di essere sempre stato escluso dalla società, anche prima di diventare un famelico morto vivente, a causa del suo rapporto con l’amico Rick.

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Gli zombies sono qui un pretesto per raccontare il disagio dei “diversi”, il non sentirsi accettati per la propria natura, ma anche il problema del reintegro in società di quanti hanno commesso qualcosa di sbagliato, in questo caso involontariamente, e sulle differenze che si creano in uno stato di guerra, in cui anche il vicino di casa può diventare un temibile nemico. Si affronta il senso di colpa, la possibilità di avere una seconda scelta, la redenzione per quanto di male si è fatto (come quando Kieran cercherà di portare conforto ai genitori della sua ultima vittima) o la ricerca di una salvezza nella religione, baluardo a cui si stringe la piccola comunità rurale fatta di persone semplici. Una regia asciutta, capace di sottolineare con semplici pennellate le più forti emozioni, completa, insieme agli attori davvero bravi, un quadro sicuramente positivo. Non si può quindi che consigliare questo prodotto, nella speranza che la BBC rinnovi la storia per una seconda stagione: molti sono gli elementi lasciati in sospeso con l’ultimo episodio in grado di sviluppare nuovi interessanti scenari. Gli appassionati di zombies, in attesa della prossima stagione di The Walking Dead, non possono lasciarsi sfuggire questo gioiellino anche solo per i diversi spunti che il tema dell’apocalisse dei morti viventi può generare. Imperdibile.

About Alessandro Cruciani
Cresciuto nella provincia di Viterbo a pane e film, tra notti horror e combattimenti alla Van Damme, ha coltivato questa passione arrivando a creare gruppi di folli appassionati di cinema su facebook e a collaborare con alcune recensioni su www.bizzarrocinema.it e wwww.horror.it. Al di fuori del lavoro ama leggere, ascoltare musica e divorare serie tv.

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