Editoria Intervista a Stefano Pastor, autore de “Il giocattolaio”.

Intervista a Stefano Pastor, autore de “Il giocattolaio”.

Stefano Pastor, classe 1958, ligure di nascita, lombardo di adozione.

E’ autore di svariati romanzi thriller/horror/fantasy, pubblicati spesso presso case editrice indipendenti, fino al suo esordio con la Fazi Editori, che ha pubblicato “Il giocattolaio”, in libreria da pochi mesi, e da noi recensito. Stefano si è reso disponibile per una breve intervista, in cui ci rivela un po’ di sé come scrittore e come uomo.

Ciao Stefano. E grazie per la tua disponibilità. Per rompere il ghiaccio, raccontaci brevemente come sei arrivato alla scrittura horror/thriller/mistery.

Potrei dire che ci sono nato. Tutto ciò che concerne il thriller e il fantastico ha sempre fatto parte delle mie letture, quindi era inevitabile che mettendomi a scrivere vertessi su quei generi che mi stavano più a cuore. Giacché amo molto le sfide non mi sono fermato qui, però, e ho affrontato anche temi più realistici. Spesso pure le mie storie fantastiche hanno elementi di partenza molto comuni e quotidiani.

 I tuoi romanzi si dipanano sapientemente tra atmosfere decisamente inquietanti e grigie realtà urbane molto simili a quelle in cui probabilmente vive la maggioranza dei tuoi lettori. Sono una via di mezzo efficace tra la fiaba e la più cruda delle realtà. Come concepisci le tue metafore? Come strutturi le tue storie e a cosa ti ispiri principalmente?

Le fiabe a mio parere sono il fondamento dell’attuale letteratura fantastica. Sono le antenate del gotico, dell’orrore, della fantascienza. Del thriller più cupo e dello splatter. Inevitabile quindi che tragga ispirazione da loro. Ciò non vuol dire ambientare fiabe classiche nel mondo odierno, tutt’altro. Si tratta di affrontare storie più o meno realistiche usando un’ambientazione fiabesca, nel tentativo di ricreare la magia che ha reso quelle storie indimenticabili. Quindi una forte componente emotiva e soluzioni mai ovvie. E tutto questo sempre ambientato in un mondo in cui chiunque può riconoscersi.

 Colpisce fortemente, nei tuoi romanzi, la presenza di figure giovani/infantili, con un richiamo quasi costante alla violenza esercitata sui più piccoli ma anche a quella esercitata da i più piccoli. Come nasce in te questa esigenza? Quali aspetti dell’infanzia e dell’adolescenza colpiscono di più il tuo immaginario?

A dire il vero non è stata una scelta ma una casualità. In uno dei primissimi libri che ho scritto, una storia fantascientifica mai pubblicata, ho usato come protagonista un bambino di dodici anni. Il risultato è stato a mio avviso ottimo, assai credibile, quindi ho continuato a usare personaggi molto giovani. Inevitabile che questi personaggi si trovino in situazioni di disagio, non necessariamente di violenza, che io devo risolvere. Ritengo che gli adolescenti, col loro entusiasmo e la loro incoscienza, siano più adatti ad affrontare situazioni limite che spaventerebbero un adulto. La stessa impulsività, inoltre, può anche renderli pericolosi.

 Ne “Il giocattolaio” – il romanzo edito da Fazi uscito da pochi mesi in libreria – intessi una trama quasi kinghiana, con mostri veri, presunti, equivoci ed incubi. Cosa hai provato scrivendo questo romanzo? Se dovessi presentarlo in prima persona ai nostri lettori, come lo introdurresti?

A posteriori si finisce inevitabilmente per classificare e inquadrare qualsiasi romanzo, anche i propri. Quindi parlando del Giocattolaio dovrei ricordare l’ispirazione delle fiabe, la critica alla famiglia e alla società, le sue influenze letterarie. Quando si scrive, però, non è così. Non nel mio caso, almeno. Per me scrivere è divertimento puro, quindi vivere istante per istante tutto ciò che sta accadendo ai miei personaggi, avendo solo un’idea molto vaga di come andrà a finire. In quei momenti ogni idea sembra originale e non mi chiedo mai da dove sia arrivata. Questo libro è uno dei primissimi che ho scritto, e l’ho fatto soltanto per piacere personale. A quel tempo non mi sfiorava neppure l’idea di pubblicare, e neanche di essere letto. Quindi come presentarlo ai lettori? Mi auguro che lo stesso piacere che ho provato io a scriverlo lo proviate voi nel leggerlo. 

In Italia il genere letterario horror/mistery/thriller è considerato un po’ di serie B – a meno che non si parli dei soliti nomi. Come scrittore quali pensi siano invece i punti di forza di questi generi?

Per me esistono due soli tipi di scrittura: divulgativa e immaginaria. Ovvero ci sono scrittori che hanno esperienze e conoscenze da condividere con i lettori, e altri che condividono soltanto i loro sogni. Io faccio parte del secondo gruppo, che ovviamente viene considerato secondario. In realtà inventare una storia, immaginare personaggi inesistenti, spesso creare un mondo intero diverso da quello conosciuto, implicano una capacità e un’inventiva superiore a quella necessaria per fare cronaca e divulgazione. Purtroppo non molti hanno questa inventiva e nell’immaginario quasi tutto è già stato scritto, è sempre più difficile creare qualcosa di nuovo. Quindi sono davvero in pochi che riescono a emergere.

Sei anche un appassionato lettore? Quali sono gli artisti o le opere alle quali ti ispiri?

Sono un lettore onnivoro, quindi gli artisti che hanno contribuito a creare il mio immaginario sono parecchi. A partire da Lovecraft, che ho amato profondamente, fino ai più conosciuti esponenti della letteratura fantastica degli anni ottanta, su cui mi sono formato, ovvero Dean Koontz, Dan Simmons, Robert McCammon, Anne Rice e ovviamente anche il re, Stephen King. Io cerco di non ispirarmi a nessuno in particolare, ma è naturale che qualche influenza prevalga.

Un giovane viene a chiederti consiglio: vuole fare lo scrittore di professione. Come lo indirizzi, come lo motivi (o tenti di farlo desistere)?

Non si può scegliere di fare lo scrittore di professione. Perlomeno non siamo noi a sceglierlo. Ci piace scrivere, funziona, si arriva a desiderare di poter fare solo quello. Può andare in porto oppure no. Per scrivere il requisito fondamentale è l’immaginazione. Uno stile acerbo migliora col tempo, ma se non c’è immaginazione, se non si hanno storie da raccontare, allora non potrà mai diventare una professione. Quindi, a un giovane scrittore che ha davvero qualcosa da dire, io posso dare un solo consiglio: non arrendersi mai. I libri sono la materia prima degli editori, gli editori cercano libri, tutti gli editori. Se hai scritto un bel libro verrà pubblicato. Non ascoltare chi dice che è impossibile. Può volerci del tempo, ma verrai pubblicato, e se il tuo libro è veramente bello avrà anche successo.

Il personaggio che hai descritto durante la tua carriera e al quale sei rimasto più affezionato (e perché)?

Tutti i personaggi che ho creato sono immaginari, nessuno è ispirato a persone reali. Ciascuno di loro l’ho amato, perché sono stati i miei compagni d’avventura. Ammetto però di non essere un tipo fedele, perché finito di scrivere un libro faccio in fretta a staccarmi dai suoi personaggi e dimenticarli, perso in nuove avventure con altri amici. Quindi i personaggi a cui sono più affezionato sono sempre quelli del libro che sto scrivendo al momento.

Un enorme in bocca al lupo a Stefano per la sua avventura di scrittore! Ai nostri lettori consigliamo l’ottimo sito di Pastor, www.stefanopastor.it , ove saperne di più sul nostro autore e sulle sue opere letterarie.

About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.

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