Autori BRUNO MATTEI: Un genere di Eroe

BRUNO MATTEI: Un genere di Eroe

Con la scomparsa nel 2007 di Bruno Mattei è morto un eroe, nel senso più evocativo del termine: impugnava la macchina da presa come un cavaliere errante brandiva la spada, pronto a sferrare un attacco.

Filmava sempre, a qualunque costo, nonostante le crisi e i relativi mutamenti che il mercato ha imposto dagli anni ottanta fino ai giorni nostri. Lo ha fatto fino all’ultimo, con impegno e passione, contro tutto e tutti, in nome di un cinema – tramutatosi in home video – che amava alla follia. In questa lunga conversazione la sua storia, la sua vita, il suo cinema…

 

Parliamo del primo Bruno Mattei, all’inizio degli anni settanta cosa succede?

BRUNO MATTEI: In quegli anni io facevo la messa in onda sulla Rai della serie UFO: osservando le copie che arrivavano, tutte a colori quando in televisione si usava ancora in bianco e nero, ho pensato che con 5 o 6 di quegli episodi si poteva costruire un film. Così facemmo sia UFO BASE LUNA che UFO ATTACCO ALLA TERRA, due film che potremmo definire di ri-montaggio, ma che rappresentano i miei esordi da regista.

Tu curavi l’edizione italiana di parecchi film stranieri: in particolare molti film di Jess Franco, sul finire degli anni 60 e 70. Hai conosciuto Jess Franco, come te lo ricordi?

Un po’ fuori di testa, persona molto eccentrica, bizzarra. Comunque era sicuramente un “geniaccio” dal punto di vista cinematografico. Un talento puro.

Jess Franco ti passava il materiale poi stava li a controllare quello che facevi?

No, almeno quando sapeva chi lo aveva tra le mani… (risata). Si fidava di me e del mio lavoro.

Quali furono i tuoi rapporti con Joe D’Amato?

Joe D’Amato

Con Aristide avevo un’amicizia personale, anche al di fuori dal set. I rapporti, dunque, non erano solo professionali. Io lo conoscevo dal ‘76 e anche se abbiamo lavorato poco insieme, perché al di fuori di EMANUELLE E FRANCOISE LE SORELLINE non abbiamo mai fatto altro assieme, ci scambiavamo spesso idee, punti di vista, opinioni sui rispettivi progetti. Ci incontravamo e parlavamo di tutto, soprattutto di cinema ovviamente. Ti posso raccontare un aneddoto divertente che ci capitò anni fa: eravamo a Roma, un uomo si avvicina a me e ad Aristide e comincia ad abbracciare e baciare entrambi, manco fossimo suoi fratelli. Io e Aristide stiamo al gioco, scambiamo due chiacchiere di cortesia e alla fine, quando il tizio se ne va, ci guardiamo in faccia, scoppiamo a ridere e diciamo ”ma chi è quello?”. Noi eravamo così, c’era quella complicità positiva, istintiva. Tendevamo sempre a sdrammatizzare le cose. Insomma, era un grande amico, anche se ognuno, professionalmente, ha continuato per la propria strada.

In ambito lavorativo com’era? Vi trovate d’accordo anche sul set, senza problemi?

Guarda, devo dirti che sul set litigavamo spesso: urlacci, grida, anche qualche “vaffa”, mai e poi mai era però in discussione il rispetto reciproco. Ricordo un altro episodio simpatico, occorso durante le riprese di EMANUELLE E FRANCOISE: stavamo girando la scena in cui Luigi Montefiori viene chiuso nella gabbia; a un tratto Luigi scoppia inaspettatamente in una risata isterica, molto convincente e inquietante, forse a causa della posizione non troppo comoda, al che gli dico “Luigi sapresti rifarmela che la mettiamo dentro?”. Montefiori comincia a prepararla, prova per dieci minuti; quando poi è arrivato Aristide e ha dato il via alle riprese, Luigi ha cominciato a ridere con quella risata isterica che io gli avevo suggerito. Aristide bloccò tutto e sbottò: ”ma che te ridi? Non c’è niente da ridere”. Ecco, alle volte era così, non ci parlavamo per niente, ognuno si faceva gli affari suoi. Comunque ci siamo divertiti molto e pensate che quel film l’abbiamo girato in dieci giorni.

Non per farti i conti in tasca, ma è una curiosità che molti si pongono: quanto guadagnava un regista di genere all’epoca?

Beh ovvio che se ci rapportiamo allo stipendio di un qualsiasi operaio bisogna ammettere che si guadagnava bene, però non erano certo le cifre astronomiche che circolavano negli ambienti americani o europei. Spesso non erano neppure le cifre che snocciolava la stampa dell’epoca: mi ricordo che negli anni 70, un regista di genere guadagnava circa 8 milioni a film, paragonabili a 40 mila euro di oggi. Certo se pensi ai soldi che girano in tasca a uno Spielberg… (ride)

Ti sei sempre cimentato in valide collaborazioni con altri autori del cinema di genere: però una cooperazione un po’ sofferta è stata quella con Fulci per ZOMBI 3

Intanto sfatiamo la leggenda per cui quel film fu fatto da me e Claudio Fracasso e firmato da Fulci. Non è vero, il film è di Lucio, non è nostro, non è stato fatto a quattro mani. Vero è che fu una nostra produzione per cui, quando lui stette male, dopo che feci il montaggio a Roma e vidi che il film era troppo breve e mancava di ritmo, decisi di intervenire. Lucio, al contrario di me che riesco a improvvisare, se non trovava le cose preparate a dovere, prendeva il copione e lo strappava, obbligandoci a riscriverlo, prendendosela soprattutto con Fragasso. Senza perdere né la testa né la calma, io e Claudio ci armammo allora di santa pazienza e siccome nessuno aveva più voglia di ritornare nelle Filippine, abbiamo girato noi la metà restante del film. Ci siamo anche divertiti a prendere in giro Lucio, in senso benevolo ovviamente: nel film c’è infatti una scena dove io e Fragasso mettiamo in un forno crematorio uno zombie grasso con una pancia enorme, dalla somiglianza davvero notevole con l’amico Fulci. Questo fu un omaggio “cattivello” che abbiamo fatto a Lucio.

Che personaggio era Lucio Fulci?

Una persona squisita, un grande professionista. C’è un episodio simpatico che ne identifica i tratti caratteriali: lui aveva una malattia, non ricordo quale, che lo prendeva al fegato. Rammento che un giorno fece chiamare dei guaritori filippini, i quali lo fecero sdraiare sul letto e gli misero una gallina sullo stomaco mentre loro gli massaggiavano la pancia. Una scena parecchio buffa, ma che testimonia anche la spontaneità e l’umiltà della persona.

Alti due registi che hanno collaborato con lei sono Michele Lupo e Sergio Grieco

Con Michele ho un rapporto di vecchia durata, abbiamo cominciato assieme quando eravamo ragazzini alle prime armi; poi ognuno è andato per conto suo, ha fatto le sue scelte. Credo sia un peccato che di Michele nessuno parli mai perché secondo il sottoscritto ha fatto degli ottimi film. Davvero un bravo regista. Oggi solo grazie a Sky passano di nuovo qualche suo film. Pensa che fu il primo a introdurre le sequenze comiche nei film avventurosi dell’epoca, con le ridicole scazzottate alla Bud Spencer e Terence Hill nelle taverne. Lo stesso Grieco ha fatto degli ottimi film, eppure anche per lui mai nessuna ribalta significativa: oggi non si sa neppure se sia mai esistito. La cosa più triste è che al funerale di Sergio c’eravamo solo io e il produttore, non c’era nessun altro. Ma il mondo del cinema è spesso così, crudele e senza riconoscenza. Sono contento che oggi ci sia una riscoperta di tutti questi autori, soprattutto da parte vostra, da parte delle generazioni più giovani. Io non posso che ringraziare chi, come voi e altri, tenta di valorizzare questo cinema. Anche Sergio sicuramente ne sarebbe stato felice.

Bruno Mattei regista di VIRUS, simbolo dello splatter italiano. Cosa ci hai messo di tuo per rendere più originale la pellicola?

Innanzitutto un po’ di “canzonatura”, cosa che poi è stata ripresa dagli americani. Si trattava sostanzialmente di smitizzare questa storia dei morti viventi, presi così maledettamente sul serio dalla trilogia romeriana. VIRUS venne molto ritoccato, rispetto agli intenti originali, nella sceneggiatura, durante le riprese e poi nel montaggio. Ci misi moltissimo di mio.

Soffermiamoci sul montaggio: l’ambientazione esotica è stata fatta apposta per sfruttare il documentario mondo movie NUOVA GUINEA L’ISOLA DEI CANNIBALI?

È’ il contrario. La nostra volontà era proprio quella di girare il film ambientandolo in nuova Guinea. L’idea del mondo movie venne dopo. La centrale chimica del film era agli antipodi del mondo occidentale, per cui poteva essere la nuova Guinea o qualsiasi altra zona tropicale sperduta. Solo che per i consueti problemi di produzione non siamo potuti andare in Guinea, per cui l’abbiamo girato in Spagna. Quella che chiamavano ”selva” non era altro che una pineta molto simile a quella di Castelfusano… (ride). Quindi, proprio per “rafforzare” la credibilità dell’ambientazione esotica abbiamo dovuto utilizzare quel documentario. L’obbiettivo era rendere più verosimile il film. Ovviamente, si vede in maniera inequivocabile che è una aggiunta.

Il documentario quindi è stato comprato a posteriori?

No, faceva già parte della nostra produzione. Alcune scene erano già state usate per altri documentari; abbiamo scelto le sequenze che ci parevano più interessanti e funzionali: ad esempio la scena della tribù che corre all’impazzata non è altro che la ripresa di una cerimonia in onore della regina Elisabetta in visita nella nuova Guinea. Però tutto ciò funzionava, nell’economia del film.

Le musiche furono realizzate per l’occasione dai Goblin?

No, no. Facevano parte del repertorio dei Goblin, ma già esistevano. Ero molto amico del loro editore musicale, Bixio, e gli chiesi, con il loro consenso, di utilizzare alcuni brani già registrati. Da lì poi realizzai l’adattamento per il film.

Hai attraversato molti generi, a quale ti senti maggiormente affezionato? In quale pensi di esserti espresso al meglio?

Domanda di non facile risposta, dipende anche dal budget che hai a disposizione. Comunque mi reputo più portato per il genere d’azione prima ancora che per l’horror. Degli altri generi non è che mi sia mai importato molto, però, quando te li commissionano, li fai, volente o nolente, cercando di dare sempre il massimo. Siamo pur sempre dei professionisti. Anche il poliziesco è un genere che amo molto, purtroppo non mi è mai capitata l’occasione di realizzarne uno… magari in futuro, chissà…

Cosa pensi della critica italiana che ha sempre massacrato il film di genere, compresi i tuoi?

L’Italia è l’unico paese al mondo dove si divide il cinema in serie A, B e C. Nel resto del mondo queste discriminazioni non esistono; c’è il film buono e il film cattivo, non c’è la pregiudiziale legata al genere d’appartenenza. Se una major americana sbaglia un film, e ne sbagliano parecchi, per loro il film è brutto anche se costato molti soldi. In Italia un brutto film, se fatto da un regista politicizzato, con un budget elevato e con attori in voga in quel momento, è comunque un film di serie A. Spesso non si guarda alla sostanza ma si giudica in base ai pregiudizi e alle convenienze del momento. La cosa che mi rinfranca, oggi, è vedere tanto entusiasmo attorno a noi, attorno a quella grande stagione di cinema, da parte di molte persone, soprattutto giovani. Queste sono le nostre soddisfazioni. Vedere ragazzini che conoscono VIRUS meglio di me, questo mi affascina!

Nel 2004 sei ritornato a girare film estremi, addirittura due cannibalici.

Sono due film commissionatimi dalla produzione che voleva il ritorno di certe scene orrorifiche, molto splatter. Uno, LAND OF DEATH è più a base di scene d’azione che non di banchetti cannibali; l’altro invece, MONDO CANNIBALE, è più di stile documentaristico, con parecchio splatter e tante frattaglie.

Perché fare oggi un film sui cannibali?

Perché c’è una certa domanda di questo genere di film, sul mercato internazionale; ce ne siamo resi conto dalle richieste continue che vengono fatte alla nostra ditta che archivia i film e li rimette in circolazione, sia per la televisione che per il mercato home video. I nuovi film che ho girato sono stati fatti in digitale, con ottima risoluzione. Questo da un lato permette un grosso risparmio sul costo della pellicola, dall’altro, se tutto va bene, ci permetterà di ritornare a fare un certo tipo di cinema. Purtroppo questi film non verranno distribuiti in Italia, perché sono stati pensati direttamente per il mercato estero.

Nessuno è profeta in patria?

Ci siamo abituati. Prima non era così, almeno per il pubblico, ma la critica ufficiale ci ha sempre massacrati. Se poi ci metti il fatto che il genere, in Italia, arranca da tempo…

Com’è stato l’approccio digitale per te che sei sempre stato abituato a lavorare su pellicola?

Guarda, è stato lo stesso approccio che ho avuto nel passare dalla macchina da scrivere al computer. All’inizio ero un po’ restio, ma poi ho capito che i programmi sono preparati da gente di cinema, che conosce il cinema e quindi sono studiati apposta per “fare” cinema. Devono essere considerati come uno strumento in più, bisogna solo convincere gli operatori di queste macchine che sono loro a governarle, che dipende dalla loro perizia la buona riuscita di una ripresa. C’è molto di psicologico… (ride). Tuttavia non sono solo rose e fiori: soprattutto in fase di montaggio, mi è capitato, a volte, che quando si trattava di operare qualche taglio interessante, da un momento all’altro tutto andava in tilt. Quindi, anche se a fatica, ho deciso che comincerò anche a lavorare su computer, anche se sostengo con i miei collaboratori che ci metterei meno tempo a montarlo in moviola, che in Avid. Loro non ne sono convinti, ma io si. Comunque mi piace aggiornarmi anche dal punto di vista tecnico.

Parlaci di un altro dei tuoi ultimi film, SNUFF TRAP.

È’ un film girato in maniera diversa, tipo 8mm. Parla di una donna alla ricerca della figlia caduta nel mondo della pornografia e del sadomaso. Un soggetto molto crudo e forte. Un pugno nello stomaco. Forse è per questo che pochi ne parlano: temi come questo, almeno in Italia, sono ancora tabù. Il mercato estero è più emancipato.

Simile a HARDCORE di Paul Schrader e 8MM di Joel Schumacher?

Si la falsariga è quella, ma ti garantisco che io non ho fatto sconti in merito a immagini “forti”.

Passiamo a quello che unanimemente viene considerato il tuo miglior film degli ultimi 5 anni, LA TOMBA: un film divertente dove si respira a pieni polmoni l’aria del cinema di genere horror italiano però ci sono anche alcuni elementi innovativi, curiosi, interessanti…

Ti dico subito che le citazioni sono tutte volute, in particolare mi sono divertito nel rifare la sequenza del locale di DAL TRAMONTO ALL’ALBA. D’altronde avendo saputo che Tarantino è un appassionato di VIRUS ho deciso di contraccambiare citando una sua interpretazione nel mio film (ride). Ci sono alcune gag di altri film, mi pare anche ARMY OF DARKNESS di Raimi, che mi hanno particolarmente divertito e che ho voluto riproporre in LA TOMBA. Per divertirmi e divertire.

La ricostruzione scenografica è particolarmente curata e accattivante.

Hai ragione, alla base ovviamente c’è stato un notevole lavoro di ricerca e documentazione. Ci siamo dedicati per parecchio tempo allo studio delle tradizioni religiose, gli usi e i costumi degli antichi Maya. Claudio Cosentino, lo scenografo, ha lavorato sodo al computer, in fase di disegno delle scenografie. Poi quando siamo andati nelle Filippine abbiamo cominciato la costruzione dei set scenografici. Subito ci siamo accorti che lo spazio dei capannoni che avevamo a disposizione era più piccolo rispetto a quanto avevamo immaginato a Roma. Ci siamo dovuti arrangiare in loco, apportare le dovute correzioni, però sono ugualmente soddisfatto del risultato finale. Credo che la ricostruzione dell’ambiente del tempio sia davvero ben fatta.

Nel film utilizzi alcune riprese particolari, soprattutto per i dettagli e i movimenti di alcuni insetti. Come le hai realizzate?

Beh intanto ti dico che per quelle sequenze non ho usato il digitale, ho ripreso gli insetti con la telecamera dal vivo. Il digitale l’ho usato solo nella sequenza dell’esorcismo della giovane messicana, quando mostro il demone che fuoriesce dal suo corpo. Il film l’ho girato in DV GAMMA e poi riportato su pellicola. Mi trovo bene a lavorare in questo modo. Certo l’HD sarebbe la perfezione ma per me il DV GAMMA rappresenta un po’ l’8mm della pellicola, più difficoltoso da riportare in pellicola ma non impossibile. Il formato delle telecamera nostra era 16:9 e siamo riusciti a trasformarlo in Cinemascope. Il risultato finale del film credo conforti questa nostra impostazione.

Come hai impostato il lavoro sugli attori?

Gli attori erano tutti alla prima esperienza o quasi. E’ stata una battaglia (ride)! Anche perché tenere quasi sempre sette, otto attori in scena non è impresa facile: a causa dell’inesperienza non sapevano bene dove posizionarsi, si nascondevano uno dietro l’altro. Ho strillato parecchio, dovresti sentire gli originali di ripresa (ride)! L’attrice che impersona la strega all’inizio si propose al casting per una parte da studentessa: la guardai negli occhi e mi colpì il suo sguardo da fuori di testa. Le chiesi se volesse la parte e lei, dapprima titubante, poi accettò. Credo saggiamente perché per me il suo personaggio è quello meglio riuscito. Anche se mi ha fatto ammattire con il caldo, le protesi facciali (a volte le doveva portare per intere giornate!), la fatica. Lei è stata in scena sempre, a differenza degli altri attori che hanno avuto anche intere settimane di pausa. Sono stato un po’ burbero con lei ma penso che alla fine ne sia valsa la pena.

Il film è un omaggio all’horror italiano anni 70-80. Come mai, a differenza di quanto accadeva all’ora, non hai voluto inserire elementi erotici in alcune sequenze che magari avrebbero potuto ospitarli?

Mah, a dire il vero non ci ho proprio pensato. Primo perché non ce ne vedevo il motivo, avrei potuto metterci qualche scena di nudo ma sarebbero apparse troppo gratuite, sganciate dal contesto del film. Secondo perché volevo differenziarmi un po’, rispetto a quanto fatto nel passato, da me e dagli altri colleghi.

Hai improvvisato qualche cosa oppure ti sei attenuto fedelmente alla sceneggiatura.

Guarda questo è il primo film in cui non ho sgarrato rispetto alla sceneggiatura. Ci sono tutte e 97 le scene previste dallo script. Non ci sono tagli.

Parlaci del grande finale pirotecnico, la sequenza che chiude il film è da sballo: ti sei divertito a girarla?

In realtà mi sono soffocato a girarla (ride)! Tu immagina: Maggio, le Filippine, 40° all’ombra, uno studio col soffitto in lamiera, una umidità asfissiante, ogni volta che crollava un pezzo di tempio erano sacchi di polvere di mattoni e cemento che liberavamo nell’ambiente e che ci rimanevano appiccicati addosso, addirittura sull’obiettivo! E’ stata divertente ma anche dura, poi io non sono più un giovanotto (ride)!

Con questo film Mattei ribadisce che è ancora possibile fare del buon cinema di genere italiano… basta avere un pizzico di coraggio.

Quando vidi LA MUMMIA di Sommers dissi: ma perché non lo facciamo pure noi? Il rischio era quello di essere fuori tempo massimo, perché c’erano delle scene girate in costume? Ma non è vero! Tant’è che i due film di Sommers hanno sbancato i botteghini! Noi siamo stati attenti nella corretta ricostruzione storica, degli ambienti, dei costumi, dei personaggi, delle leggende. A me hanno sempre interessato questi aspetti, le peculiarità socio-culturali dei posti che ho visitato. Credo che questa mia passione si veda proprio nell’accuratezza con cui è stato realizzato il film. E questo alla fine paga sempre.

Veniamo alle tue ultimissime produzioni, che sono parecchie e tramite le quali hai riscoperto il piacere di lavorare con un tuo vecchi amico, Antonio Tentori.

Vero, con Antonio ci conosciamo da parecchio e in questi ultimi due anni abbiamo condiviso tutto.

Il primo film di questa collaborazione è ORIENT ESCAPE…

La vicenda narra di una coppia occidentale, con parecchi problemi relazionali, che approda nella Filippine dove incontra un’altra coppia di occidentale che vive li da tempo. Gli “indigeni”, disinibiti e viziosi, trascinano gli ignari turisti in un vortice di morbosità e perversione che assomiglia molto a un viaggio all’inferno.

Ti sei ispirato chiaramente al filone erotico-esotico degli anni 60-70. Penso a BORA BORA di Liberatore.

Hai visto giusto. D’altronde la possibilità di sfruttare le splendide location delle Filippine, oltre alle bellezze locali era un’occasione troppo ghiotta.

Poi hai girato BRIVIDO SULLA PELLE, ancora un erotico…

Si ed è anche quello che più mi ha soddisfatto. Anche qui assistiamo all’arrivo dall’occidente di un personaggio abbastanza stereotipato, in questo caso un medico, il quale, grazie ad un singolare incontro fortuito (conosce una strana ragazza che conduce un taxi) viene trascinato in una spirale di incontri strani, esperienze particolari e viziosità varie. È una vicenda che fondamentalmente narra di una iniziazione, l’iniziazione all’amore all’orientale.

La protagonista, un attrice locale, ha molte della Lolita…

In effetti era molto giovane, ma vi assicuro che era maggiorenne (ride n.d.r). Comunque il flm mi piace perché mi ha consentito di addentrarmi nel tessuto sub-urbano della Manila del nuovo millennio, mostrandone splendori naturali e miserie sociali.

Gli interni li hai girati a Roma?

No, no, le riprese interne le abbiamo girate in un paio di night-clubs del luogo. Volevo riprodurre il massimo del realismo possibile.

Passiamo a un dittico particolare: SEGRETI DI DONNA 1 e SEGRETI DI DONNA 2.

Sono due film minori. Nel primo episodio una sessuologa e la sua assistente raccolgono le rivelazione di un gruppo di donne sulle loro esperienze sessuali: emerge un mondo di depravazione e perversione decisamente disturbante.

Fa molto RIVELAZIONI DI UNO PSICHIATRA SUL PERVERSO MONDO DEL SESSO di Polselli…

Si ma io non ho travalicato la linea di confine del soft-core mentre il film di Polselli era un proto-porno.

Perché questa parentesi erotica?

Beh intanto non li definirei dei semplici film erotici. È vero, sono film molto semplici e lineari ma che racchiudono anche elementi curiosi: ci sono delle sequenze oniriche che introducono un elemento a me caro, quello della visionarietà. Sono film molto colorati, cromaticamente solari anche se indagano spesso e volentieri i lati più oscuri e nascosti della sessualità umana. Li ho girati anche perché c’era una precisa richiesta di mercato, soprattutto all’estero. BRIVIDO SULLA PELLE è andato molto bene in Germania e Francia ed io avevo bisogno di fare un po’ cassa dopo i risultati commerciali non brillantissimi degli ultimi horror.

Il tuo recente, ultimo viaggio nelle Filippine è invece foriero di un gradito ritorno alle atmosfere a te più care, l’horror e lo splatter…

Si ma prima di quelli vorrei parlarti di THE JAIL, una pellicola appartenente al genere women in prison che ho girato come primo dei quattro film in produzione.

Non mi dire!? Hai rifatto una esperienza nel w.i.p. dopo quel gran bel duetto rappresentato da VIOLENZA IN UN CARCERE FEMMINILE e BLADE VIOLENT?

Si anche se in questo caso ho voluto mischiare la claustrofobia tipica di un w.i.p. con l’action che poteva derivare da una vicenda del genere ambientata in una landa estrema come la giungla delle Filippine. Ne esce un film estremo, molto duro nelle sue sequenze più crudeli che poi sono quelle delle vessazioni alle carcerate.

La tua ultima produzione in ordine di tempo è un ritorno all’origine nel senso che riprendi in mano la figura cinematografica che più ti ha esaltato, lo zombi. Parlaci di L’ISOLA DEI MORTI VIVENTI.

Avevo voglia di divertirmi e quando ci sono di mezzo gli zombi io mi diverto un sacco! L’idea de L’ISOLA DEI MORTI VIVENTI è tutta di Antonio Tentori. Il soggetto racconta delle disavventure di un equipaggio di una nave che approda su un’isola misteriosa, landa che non appare segnata su nessuna mappa. Sembra deserta, ma e’ invece invasa da schiere di morti viventi. Una cupa maledizione, che si perde nel tempo, grava su quel luogo. Il resto è tanto ritmo e sangue.

E’ vero che hai già pronto il sequel?

Si, abbiamo già pronta la sceneggiatura. Si intitolerà ZOMBI: LA CREAZIONE e sarà proprio un sequel nel senso che la vicenda parte narrando la vicenda dell’unica sopravvissuta al massacro de L’ISOLA DEI MORTI VIVENTI.

Abbiamo visto un trailer su YouTube e pare davvero spettacolare: militari vs zombies!

Si ho voluto ricreare quell’atmosfera particolarmente spettacolare, molto dinamica, alla RESIDENT EVIL. C’è anche il classico coinvolgimento della solita multinazionale scientifica senza scrupoli ma l’aspetto migliore del film sarà sicuramente la sua resa eminentemente spettacolare. Non resterete delusi.

Con la morte dei generi, in Italia, perché non ti sei trasformato in un regista televisivo come molti altri tuoi colleghi?

Guarda, io fortunatamente sono stato sempre appassionato di cinema, ho cominciato come aiuto regista poi come montatore, direttore del doppiaggio e infine regista. Ho fatto la gavetta e ho appreso tutti i trucchi. Amo troppo questo mondo per “tradirlo” con la TV. Comunque posso permettermi di campare anche senza aver bisogno di fare le soap operas. A me certe cose non piacciono: incantesimi, poliziotti, carabinieri…
Diciamo anche che questi registi di fiction si sono chiusi in una cerchia ristretta, una sorta di elitè corporativa in cui si fanno solo questi lavori, tutti uguali, seriali, che ben poco hanno a che vedere con una vera regia. Io quando faccio ancora certi film, mi diverto. Possiamo dire la stessa cosa di chi fa per parecchi anni la stessa serie? È’ faticoso certo e io non sono più un ragazzino, ma non ho perso il gusto di fare cinema. L’ultimo film sui cannibali che ho girato nelle Filippine è stato per me un’avventura, una sfacchinata, ma mi sono divertito molto. Certe cose stucchevoli, standardizzate (i serial) non mi interessano, anzi mi annoiano; parlo a ragion veduta perchè pure io ci ho provato ma proprio questo fu il problema durante la lavorazione di un telefilm per la rai, APPUNTAMENTO A TRIESTE, l’unico mio lavoro per la televisione. Oltre ad essere di una noia mortale, era continuamente ostacolato dalla produzione che mi imponeva perfino le inquadrature da fare. Per cui dopo una settimana ho lasciato perdere il tutto. Preferisco guadagnare un po’ di meno, ma fare ciò che mi piace fare nel modo che più gradisco. Non sono fatto per essere imbrigliato nella logica piatta della televisione.

Secondo te c’è ancora spazio per dei prodotti del genere nell’Italia di oggi? C’è ancora qualcuno che ha voglia di realizzare questi film?

Gente che ha ancora voglia di fare ce n’è. Però i film non si fanno. Perché? La colpa è soprattutto dei distributori: una volta si stampavano al massimo 30 copie di un film, copie che giravano per tutta l’Italia. Oggi se ne stampano minimo 100 o 200 e l’esposizione economica aumenta. Se il film non va bene sono soldi buttati via, ogni stampa infatti costava circa 3 milioni e mezzo di lire, per cui c’è questo meccanismo perverso, tutto commerciale, per cui il film deve uscire in prima visione, contemporaneamente in più sale, cercando di razzolare più soldi possibile in un breve lasso di tempo. AI miei tempi, invece i film giravano magari anche per più di un anno, la gente aveva il tempo di metabolizzarli. Oggi è tutto una frenesia. Inoltre, sempre se il film riesce, in poco tempo spunta il contratto televisivo, per cui i film rimangono al cinema pochissimo.

Per concludere, nel sottolineare che a settant’anni suonati è strabiliante la passione che metti ancora nel tuo lavoro, vorrei chiederti che ne pensi dell’affetto che tanti giovani ti dimostrano alle varie kermesse a cui partecipi e dell’attenzione che tante riviste/siti ti dedicano.

Non posso che esserne felice. Grazie a quelli come voi che dedicate tanto impegno nell’analisi rigorosa di quella splendida stagione di cinema oggi anche io recupero un po’ della soddisfazione che mi fu negata all’epoca. Fino a qualche anno fa ripensavo ai miei film sempre con un occhio critico. “Li rifarei tutti in modo differente” mi dicevo. Ma quando incontro tanti giovani che mi citano a memoria le sequenze di VIRUS, RATS o L’ALTRO INFERNO, beh allora capisco che il mio lavoro non era proprio da buttare via.

 

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