Apocalittico Chernobyl diaries

Chernobyl diaries

Un discreto horror penalizzato da uno sviluppo inconcludente. Un gruppo di giovani turisti amanti del pericolo  decide di regalarsi una vacanza a Pripjat la città ucraina divenuta fantasma dopo l’esplosione del reattore della centrale atomica di Chernobyl che nel 1986 terrorizzò il mondo. Accompagnati su un vecchio autobus da un agente del posto, Uri, iniziano ad esplorare gli edifici abbandonati constatando la presenza di animali pericolosi. Quando però il mezzo non sarà più in grado di ripartire altre presenze si manifesteranno in modo minaccioso.

Da wikipedia alla voce Pripjat:

La città è quasi completamente disabitata. Le strade pur essendo ancora praticabili (anche se alcune piante sporgono dall’asfalto) sono praticamente inutilizzate dal 1986. Alcune vie e corsi sono stati chiusi da blocchi di cemento per impedirvi l’accesso. Nonostante i controlli di polizia, vi sono ancora circa quattrocento persone, che in un modo o in un altro, sono tornate nelle loro case e vivono nell’area circostante alla centrale. Si cibano dei prodotti della terra, mangiando alimenti come verdura e funghi e bevendo l’acqua dei torrenti, altamente contaminati. 

Per accedere all’area sono richiesti dei permessi speciali e per uscirne bisogna superare un “controllo” che, se non viene superato, costringe a sottoporsi ad una doccia contro le radiazioni. Anche i veicoli vengono controllati e, anche questi, nel caso di presenza di radiazioni vengono sottoposti ad una doccia chimica. Veicoli militari dell’Unione Sovietica giacciono in un’enorme discarica a cielo aperto, nella vicina frazione di Rossokha. Accantonati nel 1986 a causa dell’elevato quantitativo di radiazioni assorbite, formano tuttora una delle parti più contaminate di Pripjat’. Questo inferno umano è diventato una specie di paradiso per gli animali. Non dovendo più interagire con gli uomini possono circolare liberamente. Hanno occupato abitazioni e strutture abbandonate e non è raro incontrare un lupo, un orso o una volpe che attraversano la strada. Attualmente i livelli di radiazione si aggirano tra i 15 – 300 micro-roentgen per ora, quindi non letale (per una dose letale ci vogliono tra i 300 – 500 micro-roentgen per ora).

Oren Peli è quel geniaccio che è riuscito a incantare Steven Spielberg con un’idea risicata chiamata Paranormal activity, primo di tre film (per ora) incentrati su un concetto di ripetitività e noia scambiate dalle platee, chissà per quali misteri della fede, con suspense. Ma il giochetto gli ha detto male, per esempio, con il suo telefilm The river, bagno di sangue di pubblico e critica: il mockumentary con il suo cinema (?) finto amatoriale e gli spaventi “vedo non vedo” sembrava avere stancato. Eppure Peli non si è scoraggiato: nel 2012 sono usciti, o annunciati, almeno tre sue produzioni, sempre girate alla Blair witch, tra le quali questo Chernobyl diaries. Lasciamo stare il facile moralismo che vieta di speculare su un’umana tragedia per un horror, non è il nostro campo l’etica né vogliamo addentrarci, a noi alla fine interessa se il film appassiona, se è girato o interpretato bene e se riesce ad essere originale. Si può dire che Chernobyl diaries per tre quarti è un buonissimo prodotto, ma, a differenza di quasi tutti i mockumentary, fallisce dove dovrebbe essere più incisivo, il finale.

Pensiamo alle ultime uscite del genere come Esp – fenomeni paranormali o L’ultimo esorcismo: tutto alla fine è preparato per gli ultimi venti minuti dove la calma piatta, le apparizioni, il diavolo ti prendono alla gola in un accumulo di sensazioni emotive che esplodono con la potenza di un’atomica. Ma era già un’idea alla base del capostipite, quel Blair witch project, che veniva salvato da un finale al cardiopalma da applauso, cupo e terrorizzante come il film non era stato prima. Purtroppo non succede così in Chernobyl Diaries dove le premesse vengono ammazzate in un epilogo sciatto, senza interesse e abbastanza stupido come idea. Peccato perchè il film, forte anche di un direttore della fotografia strepitoso come Morten Søborg, uno che viene dai Pusher di Nicolas Winding Refn, ha una grandissima atmosfera e diverse idee semplici ma efficaci come l’attacco di un gruppo di cani feroci o l’apparizione, surreale, di un orso bruno in un appartamento vuoto. Gli scenari, tra i quali un bus abbandonato dilaniato da fori di proiettile (“Li hanno fatti dall’interno” dice ad un certo punto un protagonista), ma anche la stessa città di Pripjat, ricostruita in Serbia, con le sue strade vuote e l’aria di apocalisse e desolazione, arricchiscono il valore di un horror che occhieggia il mockumentary nello stile da filmino per le vacanze, ma abbraccia un cinema vero nell’uso del montaggio e nella regia attenta ai dettagli avvicinando Chernobyl diaries più a Redacted di Brian De Palma che alla moda degli horror teen da salotto.

Peccato poi arrivino i mutanti, scopiazzati sia da Alexander Aja e il suo Le colline hanno gli occhi sia dal sempre troppo poco spesso lodato Non entrate in quel metro, pellicola diretta nel 1972 da Gary Sherman (Morti e sepolti) ed apripista per un sottogenere che vedrà come nome più importante Wes Craven. Se l’apparizione di una bambina di spalle in un edificio illuminato solo dalla luce lunare è di un certo effetto, il restante con questi mostroni degni di un Wrong turn 4 che inseguono giovani incauti è da mauale della sciatteria narrativa, oltretutto senza avere la minima suspense. Dispiace perchè ‘atmosfera c’era, gli attori erano efficaci, ma alla fine tutto risulta troppo indigesto per piacere, un po’ come un pranzo all’apparenza buonissimo, ma cucinato con ingredienti scadenti.

Chernobyl diaries - VOTO: 2,5/5

Anno: 2012 - Nazione: USA - Durata: 90 min.
Regia di: Brad Parker
Scritto da: Oren Peli, Carey Van Dyke, Shane Van Dyke
Cast: Devin Kelley - Jonathan Sadowski - Olivia Dudley - Jesse McCartney - Nathan Phillips
Uscita in Italia: mercoledì 20 giugno 2012 - Disponibile in DVD:

About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.

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