Premonition

Guardando un film come questo si capisce l’importanza che ha una buona sceneggiatura nella riuscita di un opera cinematografica.

Riuscire a sostenere fino alla fine della pellicola la sospensione dell’incredulità dello spettatore è lo scopo di ogni sceneggiatore degno di questo nome: purtroppo è obiettivo che tanto più è desiderabile tanto più è difficile da raggiungere. In questo caso, con buona pace di Bill Kelly, tale risultato non c’è. “Premoniton” è un ottimo film, per i primi quarantacinque minuti. A noi smaliziati praticanti del genere la cosa, spesso, mette I brividi. Sappiamo bene che creare aspettative è pericoloso: quante volte abbiamo dovuto bere l’amaro calice della delusione nel finale di pellicole che promettevano faville nei loro rutilanti inizi? Anche in questo caso, buchi di sceneggiatura, fili della trama interrotti e privi di significato e un finale quasi da lacrime sono il risultato ultimo ottenuto dalla regista esordiente Mennan Yapo, qui al suo debutto. Siamo lontani mille miglia da film che giocavano sulle medesime idee, come il sottovalutato “The Butterfly Effect”. Peccato, perché i fans attendevano al varco la simpatica Sandra Bullock (che ha dichiarato in un intervista che calarsi nei panni di Linda in questo film è stata una vera e propria sfida recitativa), dopo le ultime prove non eccelse.

E pensare che le premesse erano delle migliori: un brutto giorno Linda Quinn Hanson (Sandra Bullock), una giovane casalinga, riceve la ferale notizia della morte del marito, Jim (interpretato da un monocorde e incolore Julian McMahon, il Dr. Christian Troy della serie Nip/Tuck). Trascorsa una giornata d’incubo, al suo risveglio il giorno dopo Linda vede che il marito è vivo e vegeto, intento a fare colazione. Dopo momenti di comprensibile smarrimento, si rende quindi conto che quella che ha avuto è stato un incubo che potrebbe “contenere” una premonizione. In un affastellarsi continuo di spostamenti della soglia tra reale e incubo, si comincia a capire che non è tutto rose e fiori, nella vita matrimoniale degli Hanson, mentre i familiari di Linda cominciano a dubitare della sua sanità mentale…

Una materia come questa, nelle giuste mani, avrebbe potuto essere trasformata in un film da ricordare: in realtà la confusa esecuzione di una sceneggiatura priva di consistenza e piena di buchi logici non permette agli attori coinvolti di esprimersi in performance memorabili, e lascia con l’amaro in bocca gli spettatori. Inoltre, la coppia Bullock/McMahon non riesce a emozionare, e lascia trasparire una sensazione di un “abulia” sentimentale che mal si addice alla tematica trattata. Alcuni dialoghi sono poi francamente risibili (in special modo quello tra una Linda in piena crisi e un prete), e ci sono personaggi improbabili (ad esempio lo psichiatra Norman Roth, interpretato da Peter Stormare). Una buona occasione sprecata sull’altare del blockbuster hollywoodiano, come troppo spesso accade. Il produttore Ashok Amritraj ha descritto il film come una pellicola che ha il fascino di un vecchio film di Hitchcock: qualche brivido sulla schiena, agli estimatori del regista inglese, non può non venire…

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