Editoria L’INNOCENZA HA IL COLORE DEL SANGUE – Raffaele Dori

L’INNOCENZA HA IL COLORE DEL SANGUE – Raffaele Dori

Non aprite quella porta, soprattutto se vi trovate in zona Valle del Lanza. Se poi proprio volete aprirla, vi ritroverete tra le mani una discesa agli inferi che  difficilmente vi potrà lasciare indifferenti.

Il romanzo di Raffaele Dori forse non sarà per tutti i palati, visto l’argomento trattato, ma merita quanto meno l’attenzione dei lettori più smaliziati in ambito “forti dosi di adrenalina”, principalmente perchè la sua scrittura è intrisa di quella sensibilità grandguignolesca assai rara sul suolo italico, dettaglio per il quale, purtroppo, nel 2012 siamo ancora costretti a sorprenderci.

Le 190 pagine di questo libro trasudano citazioni, è vero, ma ben masticate e digerite. La fonte principale a cui non possiamo far meno di pensare è ovviamente il filone slash che ha nel film “Non aprite quella porta” il suo indiscusso capostipite: l’area rurale remota, l’atmosfera on the road, la famiglia di freak, lo scatenarsi immotivato della violenza e dell’incubo, la spirale ineluttabile che conduce alla non-salvezza di nessuno.

“L’innocenza ha il colore del sangue” mantiene perfino la genuinità instrinseca del messaggio “contro” che ha caratterizzato i primi slash horror, quell’idea malsana eppure rivoluzionaria che il martirio della carne avesse un connotato sociale e spirituale (non in senso religioso, ovviamente, semmai di assassinio sistematico dell’innocenza e dello slancio vitale di una generazione da parte di un male oscuro ed intrinseco che si palesa metaforicamente nei modi più aberranti), messaggio poi distrutto da generazioni di film e libri tesi solo a rappresentare quante più frattaglie possibili a discapito del senso.

Non che Dori non ci vada giù duro con il sangue, anzi. Se il primo quarto del romanzo gli serve per costruire la tensione, dilungandosi apparentemente su dettagli e situazioni marginali, ci impone poi bruscamente un biglietto di sola andata per l’incubo con consumata perizia, dispiegando tra le sue carte vincenti superstizioni, mutazioni,  malsana vita di paese (con tutti i suoi segreti più torbidi) e violenza, tanta violenza, fisica e psicologica, umida di vari fluidi corporali, reiterata e incollata addosso come in un incubo. Su tutto spiccano i dialoghi, spesso ripetetivi in modo ammorbante, e infarciti di un linguaggio popolaresco ossessivo, blasfemo, che arriva ad adattarsi perfino alle deformità del cavo orale di alcuni dei personaggi, ovviamente con l’intento di accrescere la sensazione di disgusto e di claustrofobia.

Ogni personaggio è una marionetta ben costruita: la ragazza facile, lo sfigato, la vecchia strega, la bambina deforme (la più umana, a modo suo), il capofamiglia prepotente e frustrato, lo scemo del villaggio verso il quale alterniamo sentimenti di pietà ed orrore. Assieme mettono in piedi un balletto macabro apparentemente senza nessun senso “storico”, ma che dispiega invece un’incredibile potenzialità se lo leggiamo come simbolo di quella colpa, di quell’oscurità dell’anima, di quella follia che abitualmente viene tenuta celata.

“L’innocenza ha il colore del sangue” non ha niente di innocente, non ha un finale consolatorio, non ha eroi, ma solo vittime. E’ una metafora parossistica di uno schifo che fermenta in forme tentacolari e si esprime col fascino per ciò che è malato, ma in qualche modo attrae perchè è parte di qualcosa di incredibilmente umano. E’ una normale giornata qualunque che scivola nella follia senza prima dare il dovuto preavviso. E in verità ora voi non avete più nessuna scusa per tener chiusa quella porta.

“La bambina che fugge nel bosco. Lucky, cosa le hai fatto. Perchè sedici sassolini nella tasca, arrotondati, soffici di vita, non ne fanno una signora. Sorpresa dal lampo della tua coscienza corre via, ti scappa. La vedi fuggire dietro i tronchi degli alberi. Nella tunica bianca, al chiarore lunare.” [cit.]

L’innocenza ha il colore del sangue

Raffaele Dori
2009, brossura
Edizioni Giraldi Editore

About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.

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