Cinema The Devil’s Curse (Credo)

The Devil’s Curse (Credo)

Quando l’invisibile la fa da padrone.

Diciamolo subito, The Devil’s Curse è un film discreto ma nulla più. Qualcuno ha parlato di perla dell’Horror indipendente britannico, altri ancora hanno fatto paragoni altisonanti con le derive di genere operate da Polanski ed Hitchcock. Siamo seri, non diciamo eresie. Il buon Alfred, oltre a rivoltarsi nella tomba, perderebbe il suo caratteristico aplomb,  mentre Polanski, al suono di cotante scempiaggini, si potrebbe abbandonare ad uno dei suoi celeberrimi scatti d’ira. Entrambi hanno sfoggiato a più riprese una maestrìa inarrivabile nel  creare  paura giocando sulla sottrazione, pertanto risulta quanto meno enfatico scomodare mostri sacri in paragoni cotanto sgangherati. In tutta onestà va detto  che The Devil’s Curse (uscito nel Regno Unito col titolo Credo) è una pellicola che globalmente riesce nel suo intento,ovvero creare inquietudine nello spettatore più per ciò che esso intuisce e non vede chiaramente che per la fissazione e la conseguente elaborazione dell’immagine orrorifica. Da qui all’ accostamento con La Nona Porta (1999, Roman Polanski) passa l’insieme dei tre oceani.

In un collegio cattolico cinque studenti di Teologia tentano di provare l’esistenza del male attraverso un rito di invocazione di Belial, demone  noto come “ principe dell’inganno”. Uno di loro, Seth, all’ultimo si spaventa e si scosta dal pentacolo umano creato per la liturgia. Quella notte si rifugia in stanza a pregare terrorizzato. La mattina successiva i suoi compagni verranno trovati morti suicidi in circostanze misteriose. Diversi anni più tardi quattro ragazzi passeranno la notte in quelle stesse stanze, ormai abbandonate, scoprendo che qualcosa di terrificante ed inspiegabile è li ad attenderli.
L’Horror inglese è in uno stato di grazia comprovato. Solo nell’ultimo anno la terra d’Albione ha sfornato lungometraggi di gran classe come Little Deaths (2011, Sean Hogan,Simon Rumley e Andrew Parkinson) e Kill List ( 2011,Ben Wheately), oltre ai discussi e raccapriccianti The Human Centipede 2 (2011,Tom Six) e Inbred (2011, Alex Chandon).

The Devil’s Curse si inserisce all’interno della prolifica scena d’oltremanica con dignità, collocandosi nella sfera di quelle opere low budget che, pur senza stupire, non sprofondano nell’amatorialità ma, anzi, denotano buon gusto ed un certo stile. La premiata ditta Toni Harman(regista)-Alex Wakeford(sceneggiatrice) riesce a confermarsi dopo i buoni giudizi per il corto passionale del 2004 Daddy’s Boy. Il loro primo lungometraggio punta molto sull’ambientazione d’interni, davvero ben congegnata nell’intento di trasmettere inquietudine e smarrimento. Le stanze collegiali conquistano la soggettiva, vengono riprodotte come comparti di un bunker antinucleare rivelandosi esse stesse “il mostro”,naturale fonte di terrore. L’aspetto cromatico oscilla sensibilmente tra un pallido grigio ed un verde ospedaliero poggiando su di una fotografia impregnata di luci al neon, pareti scrostate, crocefissi traballanti. L’intero impianto visivo risulta semplice ma efficace e ben si inserisce nel clima ansiogeno fortemente ricercato nella messa in scena. All’interno di questo contesto i giovani protagonisti si muovono complessivamente piuttosto bene, con MyAnna Buring che si conferma scream queen d’eccezione dopo le belle prove in The Descent (2005, Neil Marshall) e Omen (2006, John Moore).

Dialoghi senza eccessivi isterismi teen e tema sonoro sinfonico centellinato rinforzano l’impianto stilistico solido e asciutto, lontano anni luce dai sensazionalismi hollywoodiani. Harman è bravissimo poi, quando attraverso carellate frontali e lente dissolvenze, esalta la creepy atmosphere di spazi fisicamente vuoti ma colmi d’apprensione, ove lo spettatore si trova spiazzato dall’attesa di un’ exploitation mai portata al climax. Ciliegina sulla torta il twist finale, agnostico, senza retorica, capace di ricondurre il film sui binari dello psycho thriller ridimensionando il cotè sovrannaturale. Fin ora The Devil’s Curse parrebbe un’opera sensazionale ma così,come anticipato, non è. L’incipit iniziale è un po’ sterile e non completamente esplicativo delle motivazioni d’indagine metafisica di Seth e compagni. Il riferimento all’editto di Nicea sembra un po’ forzato ed il concetto di suggestione emerge solo nei fotogrammi finali anche se proposto come cuore teoretico dell’intera pellicola. Ancora, il personaggio di Joke (Clayton Watson, visto in Matrix Reloaded e Matrix Revolutions del 2003) è francamente imbarazzante nella sua streotipia così sfacciata, costruita in laboratorio ad uso e consumo del pubblico statunitense. La narrazione è a tratti lenta e la suspance vive momenti di sospensione eterni. Inoltre, il gore è poco e bruttino e, nonostante il budget miserrimo, forse si poteva osare maggiormente. In cauda venenum non convince del tutto  la commistione fra slasher e sovrannaturale nella rappresentazione dei suicidi, parsa approssimativa e poco verosimile.

Resta il fatto che questo film, nonostante i suoi limiti formali, è definitivamente un prodotto più che sufficiente e che, se fosse stato prodotto nel nostro paese, avrebbe probabilmente fatto gridare al miracolo. Purtroppo non è così, quindi non ci resta che stornellare Baglioni… viva viva l’Inghilterra.

About stefano paiuzza
Appassionato d'horror da tempi recenti ma affascinato dalla paura da sempre. Ama in particolar modo il cinema europeo ed extra hollywoodiano in genere. Sogna una carriera come critico cinematografico e nel frattempo si diletta tra letture specifiche e visioni trasversali. Lavora a stretto contatto con la follia o forse è la follia a lavorare su di lui. Se fosse un regista sarebbe Winding Refn, uno scrittore Philip Roth, un animale una tartaruga. Ha pronto uno script per un corto ma non lo ha mai fatto leggere. Citazione preferita: "La dittatura è dentro di te" Manuel Agnelli.

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