Intervista film The River: Intervista a Oren Peli

The River: Intervista a Oren Peli

La regola che ci siamo imposti è stato di non passare attraverso alcuna soluzione gore per spaventare il pubblico“.

Avrà pure consegnato la creatura che gli ha dato fama, ricchezza e successo nelle altrui mani, ma Oren Peli sembra non avere alcuna intenzione di abbandonare l’idea di mockumentary ormai alla base della sua cinematografia. E con la serie TV The River ai nastri di partenza – la première USA è prevista per il prossimo 7 febbraio – non potevano non ascoltare quello che ha da dire.

Cos’è che ti ha maggiormente soppresso nello sviluppo di questa idea per la televisione?

Probabilmente il fatto che sia stato davvero realizzato: quando abbiamo parlato con la Dreamworks ci hanno immediatamente risposto “Ottima idea, facciamolo“, poi alla ABC ci è stato detto “Grande idea, scriviamone la sceneggiatura“. E una volta terminata la sceneggiatura. abbiamo subbio diretto l’episodio pilota. A ogni passo successivo non riuscivamo a credere di quanto tutto stesso funzionando senza alcun intoppo. Ora non ci resta che aspettare il responso del pubblico, ma non avrei potuto augurarmi di meglio per la mia prima esperienza televisiva.

Quanto è vasta l’idea di The River?

Credo che i primi otto episodi siano di assoluto valore: sanno spaventare mentre ci raccontano della ricerca dello scomparso Emmet Cole all’interno di quella natura così selvaggia e ostile. La fine della prima stagione avrà una sorta di conclusione, di risoluzione di una serie di dinamiche. Abbiamo già creato una sorta di cartina da sfruttare nel caso saremo tanto fortunati da poter girare una seconda stagione. Se tutto andrà bene, sapremo già dove andare.

Avete vissuto qualche reale spavento durante le riprese?

Beh, quando ci si ritrova a girare su una barca lungo il corso di un fiume, è inevitabile che qualcuno cada in acqua. Ci sono state un paio di situazioni bizzarre, tipo quella in cui ci siamo ritrovati a girare in una sorta di istituto psichiatrico per minori abbandonato, che i locali ritenevano maledetto, tanto da convincere alcuni membri della crew a non metterci piede. E poi abbiamo un paio di fratture e di misteriose morsicature!

Puoi dirci qualcosa di più sul coinvolgimento di Bruce Greenwood – che vestirà i panni del Dr. Emmet Cole – ? Assisteremo a una crescita del suo minutaggio procedendo nella vicenda? Come avete deciso di il suo personaggio?

Beh, per quanto all’inizio si veda decisamente poco, è lui il vero motore nascosto di tutta la vicenda, è lui l’unico motivo perché tutta quella gente è lì. L’asso nella manica del nostro format è che i nostri protagonisti si ritrovano in quelle terre da parecchi tempo, almeno quindici anni. Ed è comprensibile quindi che esista tutto un archivio di registrazioni video amatoriali relative a tutti quegli anni. Registrazioni dove ovviamente appare spesso e volentieri anche Emmet Cole. Posso anticipare che Bruce/Emmet sarà presente soprattutto nelle battute finali della stagione, quando inizieremo a tirare le fila del discorso.

Hai dichiarato di non voler rendere troppo esplicito il livello di violenza di The River, trattandosi di un prodotto televisivo. Ma qual’è il limite, e fino a dove vi siete spinti?

La regola che ci siamo imposti è stato di non passare attraverso alcuna soluzione gore per spaventare il pubblico. Ovviamente in alcune situazioni è stato inevitabile, ma non è certo stata la nostra linea. Del resto sono profondamente convinto che il peggior momento dal dentista sia quello dell’attesa, non certo quello del dolore vero e proprio; il nostro scopo è quello di ricreare quell’atmosfera di attesa in cui non hai la più pallida idea di quello che potrebbe succedere. Perché c’è qualcosa là fuori, qualcosa nella giungla che è sulle tue tracce. Lo puoi sentire, avvertire, e sentirne l’odore. Ma non hai idea di cosa sia, nè quando colpirà e come ti potrai difendere. In questo senso abbiamo attinto largamente al folklore locale, soprattutto per le storyline dei singoli episodi.

Quanto è difficile concentrare tutta la vicenda in una manciata di episodi?

Da un certo punto di vista è stato un vantaggio, perché ci ha permesso di infarcire ogni singolo episodi di idee, suggestioni, brividi e dinamiche di sviluppo dei singoli personaggi.

Perché secondo te in questo momento l’horror funziona così bene in televisione?

Non lo so, ma probabilmente perché è un genere popolare di cui la televisione si è spesso disinteressata. Appena c’è stata dell’offerta, il pubblico si è precipitato davanti allo schermo.

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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