Cinema The Divide: Intervista a Michael Biehn

The Divide: Intervista a Michael Biehn

“Quello che Xavier ha fatto è stato di venire da me con la sceneggiatura e dirmi: – Questo è lo script, se ne senti la necessità puoi prenderlo e gettarlo via – “.

Assediati dai soffocanti carrozzoni mediatici delle next big things della stagione capaci di calamitare su di se il grosso delle attenzioni, si corre il rischio di trascurare chi, oltre a essere stata la rivelazione dell’anno quasi un lustro fa, si trova ora nella ben più scomoda condizione di confermarsi mettendosi in gioco con una pellicola importante, ambiziosa e azzardata. La parola a Michael Biehn (Terminator, Bereavment), uno degli assi nella manica di Xavier Gens e del suo prossimo The Divide.

Una della caratteristiche del tuo personaggio è quella di piazzarsi in quella zona grigia dove non esistono buoni o cattivi, ma persone che definiscono se stesse di volta in volta con le scelte che compiono…

Quello che Xavier ha fatto è stato di venire da me con la sceneggiatura e dirmi: “Questo è lo script, se ne senti la necessità puoi prenderlo e gettarlo via. Quello che davvero desidero in questo momento è occuparmi della sceneggiatura parallelamente alle riprese“. Abbiamo quindi avuto la fortuna di girare in sequenza, cosa che non mi mai capitata in trentacinque anni di carriera. Il mood della mia interpretazione quindi cambiava dinamicamente ai cambiamenti in tempo reale del film – abbiamo improvvisato, creato nuove dinamiche e alleanze tra personaggi che prima non avremmo mai considerato -. Il mio personaggio è un uomo la cui vita è stata letteralmente polverizzata dai fatti dell’11 settembre – abbiamo addirittura girato la sua storia personale, anche se nel montaggio finale del film non apparirà -. E’ qualcuno che sta disperatamente cercando qualcosa che gli possa dare un po’ di pace, e forse riuscirà a trovarla, o quantomeno a risolvere in qualche modo il terribile senso di colpa che lo affligge da quel giorno, quando fu l’unico superstite del suo gruppo, intervenuto all’interno di una delle Torri non appena venne dato l’allarme. E’ stato fantastico ritrovarsi a dover costruire giorno per giorno il proprio personaggio, a seconda di quanto sarebbe successo nella storia e di che sviluppi avrebbero avuto gli altri personaggi.

Che tipo di energia serpeggiava tra il cast, considerata tutta la libertà creativa che vi era concessa?

Un’enorme e ingombrante quantità di energia. Sia  Michael Eklund (Watchmen, House of the Dead) che Milo Ventimiglia (Heroes, Pathology) sono due professionisti religiosamente dediti al loro lavoro, come me del resto, tanto che più volte mi sono rivisto in entrambi. L’evoluzione della controparte di Milo è incredibile. Michael all’inizio avrebbe dovuto avere molto molto meno spazio, ma è talmente a suo agio con le dinamiche dell’improvvisazione che il suo personaggio è letteralmente esploso e ritagliato parecchio spazio. E’ fantastico godere di una certa libertà e assumersene in pieno la responsabilità, e non puoi farlo se non dedicandociti anima e corpo. Basti dire che durante le riprese entrambi hanno perso una dozzina di chili.

Si è trattato quindi di un’esperienza abbastanza estrema…

Decisamente, perché ognuno di noi voleva ferocemente imporre quanto aveva in testa, e non è sempre stato facile far quadrare tutto. La tensione era palpabile. In passato ho lavorato anche con William Friedkin, e con altri soggetti difficili come lui, ma l’aria che si è respirata sul set di The Divide è stata un’esperienza nuova ed estrema. Mai visto così tanta gente contemporaneamente sul punto di cedere e valicare la linea della civile convivenza. E allo stesso tempo, ci siamo divertiti come pazzi, perché queste condizioni sono le due facce della stessa medaglia.

Ci sono state delle situazioni in cui invece vi siete ritrovati a venire a patti con quanto previsto dalla sceneggiatura?

C’è questa scena in cui il mio personaggio parla del proprio passato, di quanto successo l’11 settembre e della propria famiglia. Ad un certo punta crolla e si mette a piangere. Abbiamo girato quella scena tutto il giorno, qualcosa come trenta ciak, e alla fine ero fisicamente ed emotivamente esausto. Peccato che quella scena nel montaggio finale non ci sarà. E’ stata una decisione sofferta che mi ha ferito parecchio: però capisco come non ci sia quasi mai bisogno di esplicitare tutto al pubblico, e che l’intero spettro emotivo del tuo personaggio arriva comunque oltre lo schermo se stai facendo bene il tuo lavoro. Mi era già successa una situazione simile ai tempi di Terminator, un flashback sul passato di Kyle – l’uomo incaricato di salvare Sarah Connor – che venne tagliato in fase di montaggio. In questo senso Gens ha lo stesso tipo di brillante praticità che ebbe ai tempi Cameron.

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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