Recensione film Opstandelsen (Resurrezione)

Opstandelsen (Resurrezione)

I risorti  assaltano la casa del Signore. Dalla Danimarca un irriverente zombie gore feast.

È assioma oramai provato che il filone zombie stia attraversando negli ultimi  anni un invidiabile stato di grazia. Dopo la parziale carenza di produzioni interessanti tra la fine degli anni novanta e l’inizio dei duemila, si ha una netta inversione di tendenza capace di riportare questo amatissimo sottogenere agli antichi fasti.

I morti viventi contemporanei invadono attraverso script poliedrici i principali ambiti sociali, passando dal costume (L.A. Zombie,2010,Bruce la Bruce) alla politica (Zombie Strippers, 2008, Jay Lee), dalla denuncia ambientalista (Planet Terror, Robert Rodriguez, 2007) a quella antimilitarista (The Vanguard, Matthew Hope, 2008). Inoltre le pellicole sono sempre più caratterizzate da produzioni transnazionali (Svezia, Australia, Italia, Norvegia). Si rifà a questo trend Opstandelsen “Risurrezione”, opera danese del giovane Casper Haugegaard, nella quale il dogma religioso si presta ad oggetto di critica feroce.

Haugegaard è una giovane promessa dell’horror scandinavo.  L’inizio della sua  carriera lo vede impegnato nella creazione di riuscitissimi video musicali per celeberrime etichette metal, come la Relapse Records e la Mighty music. Il primo passo nel regno della settima arte si ha con il corto Kældermenneske (2008),  devastante concentrato di violenza grandguignolesca. Opstandelsen è il suo esordio nella catena di distribuzione per il grande pubblico ed il cineasta danese, per l’occasione, fa le cose in grande stile. Pellicola  feroce, breve, cattiva, capace di lasciare il segno e di annoverarsi un posto tra i migliori zombi movie degli ultimi anni. Si assiste ad una gradevole miscela di elementi caratteristici del genere e non, un alternarsi di melodramma, psicodramma e puro intrattenimento splatter, il tutto incastonato in una splendida cornice gotica di richiamo espressionista.Siamo all’interno di un’austera chiesa Luterana durante i funerali del giovane sbandato Simon. La madre del defunto, Ruth, è una vedova il cui approccio educativo e comunicativo con i figli è fortemente condizionato da una fede cieca e da una intransigenza glaciale. Nel mentre dell’elogio funebre, le dinamiche conflittuali interfamiliari faranno da sfondo ad un inaspettato e devastante attacco di famelici zombi dell’edificio. E’ l’inizio di una disperata fuga da morte atroce.

Haugegaard omaggia Benjamin Christensen e Carl Dreyer, suoi illustri predecessori connazionali, fin dai titoli di testa attraverso l’utilizzo del caratteristico carattere gotico. Di ottimo gusto la scelta di colori pallidi ed ombrosi, supportati da dialoghi minimali e rumori di fondo acuti e strazianti. La colonna sonora è quasi atonale, capace di alternare stridii taglienti a tetri accordi d’organo,  fungendo a pieno titolo come uno dei pilastri della rappresentazione scenica. Il tocco di classe di questo scorrevole film ai confini col medio metraggio (50 minuti di durata complessiva) sta nella riuscita compresenza della componente gore e della rigida diegesi retrò. Gli effetti speciali sono più che discreti, capaci di delineare una crudezza realistica e vivida. Gli stilemi tipici della zombi story  vengono solo parzialmente rispettati grazie ad un corpus di scelte coraggiose. I “risorti” sono molto rapidi e per nulla claudicanti (somigliano parecchio agli indemoniati balegueriani di REC), possono essere uccisi non necessariamente colpendoli alla testa e non nascono da errati esperimenti di laboratorio ma dalla terra cimiteriale, celebrando in tal modo apertamente la cifra stilistica di George Romero. Opstandelsen è un film solo apparentemente immediato, in verità denso di diverse chiavi interpretative. L’ottimo cast (tra cui spiccano i bravissimi Mads Althoff e Jonas Bjᴓrn-Andersen), mette in scena con efficacia i drammi e i disequilibri della famiglia del defunto Simon.  Il senso di angoscia e di perdizione viene paradossalmente accentuato dall’ingerenza clericale.

I sermoni del laconico e inquisitorio ministro, suonano come presagio alla fine, all’avvento della punizione e rappresentano intrinsecamente il male  nella sua forma più pura. La chiesa non è un luogo sicuro ma anzi è lo scenario del dolore più becero, laddove l’uomo non trova pace ma solo paura. I risorti non sono beati nel regno dei cieli ma portatori di morte nel regno dei vivi. Fuori dalla “casa del Signore” l’uomo rifugge dal dolore, ritrova la pace e vive una libertà dal sapore pagano, laddove luce e natura sono compagne rassicuranti oltre le illusioni della fede.Il film possiede un livore notevole nonostante la realizzazione a basso budget. Haugegaard rischia molto, ma colpisce nel segno, quando osa sincronizzare il tempo cinematografico e quello narrativo attraverso un astuto orpello. Con il passaggio dalla sequenza nella navata alle riprese in sotterranea si vira violentemente verso il mockumentary. L’impatto dell’uso handy-cam è deciso, senza fronzoli.  Il risultato è forse un pò fracassone e confusionario ma nel complesso palpitante, capace di generare i prodromi per il dramma finale in cui l’amoralità diventa sovrana attraverso la vendetta matricida e fratricida.

L’unica vera pecca di questa solida opera scandinava sta forse nell’approssimazione della cura di certi aspetti di scena: il make-up degli zombi è davvero povero e la scena del massacro in chiesa  troppo breve per essere assaporata nella totalità della sua portata. Inoltre riferimenti simbolici un po’ usurati come il versetto 666 della Bibbia, o le armi contundenti a forma di croce, potevano francamente essere evitati. Nel complesso, Opstandelsen è un film con ben più di qualche aspetto interessante, una creazione corposa ma fresca, allo stesso tempo capace di rinvigorire ancor di più la golden age post romeriana del genere. Consigliato.

 

 

 

About stefano paiuzza
Appassionato d'horror da tempi recenti ma affascinato dalla paura da sempre. Ama in particolar modo il cinema europeo ed extra hollywoodiano in genere. Sogna una carriera come critico cinematografico e nel frattempo si diletta tra letture specifiche e visioni trasversali. Lavora a stretto contatto con la follia o forse è la follia a lavorare su di lui. Se fosse un regista sarebbe Winding Refn, uno scrittore Philip Roth, un animale una tartaruga. Ha pronto uno script per un corto ma non lo ha mai fatto leggere. Citazione preferita: "La dittatura è dentro di te" Manuel Agnelli.

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