Libro cult del mese L’incubo di Hill House

L’incubo di Hill House

Mi ritrovo a dover parlare della Jackson.
Shirley Jackson, per un lungo, lungo periodo di tempo, è stata la mia autrice preferita. Parlo al passato solo perché, adesso come adesso, sto disperatamente cercando di liberarmi della sua ingombrante presenza.

Mi spiego meglio: tra le varie cose che mi piacciono, in ordine di preferenza, la seconda è la scrittura. Quando una persona scrive, inconsciamente o consciamente tenta sempre di uniformarsi al proprio “passato di lettura”, che non è un frullato di pagine di libri ma un “imprinting” determinato dai libri che sono stati amati, coccolati, sfogliati mille e mille volte, e il peso di questa “tensione” si sente in quello che la carta accoglie, come parola scritta.

Ora, la Jackson ha sempre scritto nella maniera in cui io vorrei scrivere: lasciando cadere le parole sul foglio quasi con noncuranza, senza indulgere in effetti sanguinolenti, riuscendo però a instillare nel lettore il germe dell’inquietudine (qualcosa NON sta andando come dovrebbe andare) che a poco a poco diventa angoscia vera e propria (dio mio, ma sta succedendo sul serio?) senza trovare mai una soluzione catartica all’incubo che invade la vita dei protagonisti, ma facendoli precipitare in un vortice d’orrore che, proprio perché non descritto, risulta ancor più pesante da sopportare.

Leggendo la sua prosa lineare, semplice, viene quasi da pensare che scrivere storie dell’orrore sia facile: solo quando si passa alla parte pratica ci si rende conto che la sua è una prosa che ha scremato la propria sovrastruttura di tutti quegli elementi ridondanti solo grazie ad un lavoro di cesello che richiede doti narrative non indifferenti. Chi legge un racconto, un romanzo della Jackson non vi trova forzature, di nessun genere, e nonostante questo riesce a prendervi, quasi in maniera inconscia, allo stomaco. Per farvi un esempio, provate a leggere il libro “La casa d’inferno” di Matheson.

Entrambi i libri parlano di case stregate; entrambi i libri sono scritti da degli autori che hanno fatto la storia della narrativa gotica: eppure, c’è una differenza incomparabile tra i due: tanto più uno è forzato, spudoratamente innaturale nel proprio modulo narrativo e intrusivo nella proprio volontà insita di terrorizzare e di sconvolgere (quello di Matheson) tanto più l’altro è quieto, calmo, controllato in maniera tale che a ogni pagina cresce la tensione del lettore, che si aspetta di veder comparire il fantasma, il mutante, l’Altro Maligno a ogni pagina… e quello che trova è incomparabilmente più angosciante: è la vittoria assoluta del Male, che proprio perché appartenente a una dimensione a noi sconosciuta risulta tanto più letale quanto più imbattibile.

Nel libro di Matheson, alla fine, il male viene sconfitto dalla scienza; in quello della Jackson il male vince perché è dentro di noi, e non esiste scienza capace di batterlo. C’è perché c’è sempre stato, e sempre esisterà, come principio primevo che noi non possiamo comprendere, né tanto meno sperare di affrontare ad armi pari, con la nostra povera umanità.
A me piace scrivere, dicevo: ma non riuscirò mai a scrivere come Shirley Jackson.
Ma, direte voi, e la recensione del libro “L’ incubo di Hill House” dov’è?
L’avete voluto voi. Eccola.

Questa è una storia di solitudini.
Questa è una storia di una casa “dannata”, che conserva gelosamente la propria dannazione nella sua struttura. Tutto è esattamente come non dovrebbe essere.
Questa è la storia di un sogno, o meglio, di un incubo.
Eleanor sogna, mentre con la macchina rubata alla sorella si dirige verso Hill House, per partecipare all’esperimento del dottor Montague, che vuole studiare “scientificamente” una casa maledetta, e il suo sogno, lentamente, prende possesso del reale, trasformandolo in una epifania d’orrore.
La casa infestata, Hill House, funziona quasi unicamente come cassa di risonanza per la musica folle che Eleanor compone nella sua anima, devastata da una solitudine assoluta.
Hill House conosce Eleanor., l’ha sempre conosciuta..
Hill House conosce il suo rimorso (lei, che ha sacrificato la sua giovinezza per stare vicino alla vecchia madre, lei, che quando la madre ha avuto veramente bisogno, non l’ha sentita… non l’ha voluta sentire ), ed è lei, la Casa, con le sue architetture impossibili, “le pareti parevano sempre, in ogni direzione, un po’ più lunghe di quanto l’occhio potesse sopportare, nell’altra direzione un tantino più corte del minimo tollerabile”, con i suoi incubi vaganti nei corridoi e dotati di una sorta di fisicità immateriale, l’unica che la capisce davvero, l’unica che potrebbe sentirne veramente la mancanza, tanto da volerla ricondurre a se quando gli altri la cacciano.
Se Hill House è insana, Eleanor è insana.
Gli altri protagonisti del libro, Luke, Theodora, la figura stereotipata della moglie del dottor Montague sono solo comprimari quasi incolori a fronte della epicità tragica della figura di Eleanor.

Peter Straub dice: “Le migliori storie dell’orrore devono essere ambigue, sommesse e trattenute”.
Shirley Jackson scrive.
Scrive perché sa scrivere, e sa scrivere riuscendo a essere ambigua, sommessa e trattenuta nel suo dipanare una sottile scia d’orrore.
Il libro “L’ incubo di Hill House” è una piccola gemma, incastonata tra le parole giuste. Dice di lei Stephen King, nel saggio “Dance Macabre”, a proposito dello stravolgente inizio del romanzo: “Io credo ci siano pochi, forse non ve ne sono affatto, brani descrittivi cosi eleganti nel linguaggio inglese; parole che trascendono le parole, parole che costituiscono un totale ben superiore alla somma delle parti“.
Leggete “La casa degli invasati”. Leggetela, perché Hill House è ancora là, immonda perché non mondata, e assieme a lei c’è Eleanor.
Sono ancora là, e sono ancora tutte e due orribilmente sole.

L’incubo di Hill House

Autore: Jackson Shirley
Editore: Adelphi (collana Fabula)
Traduttore: Pareschi M.
Anno (riedizione): 2004
pagine: 233

About Giuliano Fiocco
Ha visto nascere Horror.it, e l’ha accudito per lungo tempo assieme ad Andrea. Adesso la vita gli lascia poco tempo per le passioni, ma in un angolo oscuro del cuore rimane in agguato la voglia di scrivere. Ha scritto un romanzo, da cui è stato tratto un film, in fase di produzione.

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