J-Horror Hansel and Gretel (Henjel gwa Geuretel)

Hansel and Gretel (Henjel gwa Geuretel)

Dalla Corea, una fiaba nera che centra solo in parte gli obbiettivi e non convince del tutto.

Spiazzante. Questo il primo aggettivo che salta alla mente davanti a questa pellicola coreana del 2007, firmata da Pil-Sung Yim, regista con un solo altro lungometraggio al suo attivo (“Namgeuk-ilgi”, del 2005). Spiazzante, non necessariamente nel senso positivo del termine, ma nemmeno totalmente negativo. Un film che cambia registri narrativi molto, troppo rapidamente, affrontandoli tutti con eccessiva fretta e superficialità, senza approfondirli.

La storia non è una trasposizione della celebre e macabra fiaba tedesca di origini medievali riportata dai Fratelli Grimm, essa funge da spunto, in modo anche piuttosto centrale, ma non è narrata in senso stretto. Questa, può essere già una prima delusione, per chi si aspetta una trasposizione gore del racconto di infantil ferocia. Dopo i bei titoli di testa (antiche e inquietanti illustrazioni da una stampa  orientale della fiaba), nel corso del film si schiude un universo fiabesco, Burtoniano nella sua accezione meno dark e più Big Fish, reso affascinante dalla bellissima fotografia a colori totali di Ji-Yong Kim (“A Bittersweet Life”), la quale però ha il difetto di essere troppo “solare” per il tipo di racconto.

La storia narra di un giovane rappresentante (guarda caso) di giocattoli, Eun-Soo (Jeong-myeong Cheon), che per colpa del solito cellulare sbanda e va fuori strada. La conversazione aveva la sua importanza, visto che la fidanzata incinta si stava lamentando della sua assenza e della sua irresponsabilità; un futuro padre distratto e poco responsabile, che per rimediare alla discussione manda un sms e, ovviamente, perde il controllo dell’auto. Si risveglia nel bosco a notte fonda, sviene, e viene ritrovato da una strana ragazzina (dal rosso mantellino, ricorda qualcosa?), Young-Hee (Eun-kyung Shim), che lo conduce fino alla sua casa, immersa tra gli alberi.

L’ambientazione domestica è assurda, surreale, infantile con qualche dettaglio macabro, un immaginario alla Alice In Wonderland un po’ ammuffito e privato del prezioso tocco lisergico che lo contraddistingue. Qui Eun-Soo incontra il resto della “famiglia”: gli altri due bambini (la piccola Jung-soon e Man-bok, il più grande) e gli strani, stranissimi genitori; l’atmosfera è stucchevole e  finta fino all’esasperazione. Il giovane tenta di andarsene ma fa ben presto ritorno alla casa poichè gli è impossibile trovare la strada per uscire dal bosco. Le sue ripetute richiesta, ai genitori e ai bambini, di essere riaccompagnato sulla via principale, non trovano risposta. Il gioco, di per sé già assai prevedibile, è presto svelato: i genitori sono in realtà prigionieri dei tre pargoli e Eun-Soo è destinato ad essere il prossimo.

Piano piano, escono tutti i difetti del film, troppo lungo per essere davvero avvincente, troppo dilatato nei tempi; il regista tocca più registri narrativi semplicemente sfiorandoli, senza scavare in essi, senza approfondirli, lasciandoli in superficie. Si passa dalla fiaba nera, che è quello dominante, a lievi accenni horror, alla tematica dei bambini privi d’amore e di esso spasmodicamente in cerca, nella maniera sbagliata, fino alla denuncia degli abusi su minori (l’unica nota molto forte del film).

Soprattutto nella prima parte, la pellicola manca di mordente, i personaggi non sono sufficientemente malvagi, bambini in primis (avrebbero potuto essere ben più odiosi per essere efficaci) e uno strato di melassa e commozione a buon mercato appanna la narrazione. Il regista non osa, è come se tenesse il freno a mano perennemente tirato; la sceneggiatura è ripetitiva e le numerose pretese moralistiche e intellettualoidi rendono il film assolutamente irritante in parecchi punti.

Alcuni elementi funzionano: il crudele diacono che capita nella casa anch’egli dopo un incidente, insieme alla sua degna compagna, è una figura sufficientemente viscida e ripugnante. Ci sono delle buone scene (la donna trasformata in bambola, la potente sequenza finale in cui presente e flashbacks si alternano a ritmo veloce) e delle buone idee: i bambini realizzano tutto ciò che vogliono, con la loro immaginazione, ciò che disegnano accade, facendo prendere vita al loro bisogno d’amore genitoriale. Il libro di Hansel e Gretel, donato loro da Babbo Natale (!) “esaudisce tutti i nostri desideri”, come dice una dei bambini; ma anche questa componente, tra il magico e il fantasy, non è adeguatamente sviluppata, e finisce per diventare piuttosto ridicola e un po’ fuori luogo.

Vi sono parecchi echi del cinema di Guillermo Del Toro (“Il Labirinto Del Fauno” soprattutto) ma privati della componente cupa che caratterizza il cinema del regista messicano.

La seconda parte del film è complessivamente migliore, nel suo spiegare il passato dei bambini, nei fortissimi flashbacks sull’orfanatrofio. Il personaggio di Man-bok è il meglio caratterizzato, con la sua rabbia data dalla deprivazione d’amore. Rabbia e odio diretti verso quegli adulti che non li hanno amati, ma solo maltrattati. Troppa carne al fuoco, però. Troppi elementi buttati nel calderone che spiazzano, appunto, lo spettatore, confondendolo. Il film non funziona nelle sue molteplici sfaccettature: troppo buonista per essere fiaba nera, troppo piatto per essere un horror (la componente orrorifica è pressoché assente), finisce per diventare pedante e moralista.

Idee più chiare e una minore accozzaglia di elementi lo avrebbero reso un film migliore. Ci si ritrova invece con un prodotto non del tutto da buttare ma fondamentalmente noioso, indeciso sulla strada da prendere, poco coraggioso. Un passo falso proveniente da un paese, la Corea, che ci ha deliziati con narrazioni di feroci vendette e pochi compromessi. Ci sarebbe voluto più coraggio, e meno melassa.

 

 

Hansel and Gretel

(Henjel gwa Geuretel)
Corea Del Sud – 2007
Regia:Pil-Sung Yim
Durata:117′
Interpreti: Jeong-myeong Cheon, Young-nam Jang, Ji-hee Jin
Fotografia: Ji-Yong Kim
Sceneggiatura: Pil-Sung Yim
Soggetto: Min-sook Kim
Musiche: Byung-woo Lee
Montaggio: Sun-min Kim
Visual Effects: Seong-jin Jung

About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.

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