Mostri The Frankenstein Syndrome

The Frankenstein Syndrome

In arrivo dagli USA l’ennesima variante del romanzo di Mary Shelley. Molto discutibile.

The end justifies the means”, ossia, ”il fine giustifica i mezzi”. Ecco la frase-tormentone del film, pronunciata più volte, a caso, in modo banale.

The Frankenstein Syndrome, pellicola del 2010 firmata da Sean Tretta (Death of a Ghost Hunter, The Great American Snuff Film) si presenta già dal titolo per quel che è, ossia l’ennesima variazione/trasposizione del romanzo di Mary Shelley (suona un po’ risibile il credit finale, Inspired by Frankenstein written by Mary Shelley). Il film vorrebbe esserne una variante originale, ambientata ai giorni nostri, una riflessione sui limiti etici della scienza e sul delirio di onnipotenza umano nel suo uso e abuso. Il film purtroppo fallisce l’obbiettivo, risultando banale, noioso, risaputo e a tratti involontariamente ridicolo. Il plot narrativo si snoda intorno all’interrogatorio di Elizabeth Barnes (Tiffany Shepis) ridotta in serie a rotelle e con una maschera in volto, al quale si alternano i flashback del suo racconto/confessione; la Barnes deve rispondere all’FBI del suo coinvolgimento nel progetto Prometheus (sic!),ideato da un tal Dr.Walton (Ed Lauter),malato di cancro che raduna un gruppo di medici nel succitato progetto di ricerca incentrato sulla ricrescita delle cellule staminali. Il progetto è illegale, il gruppo è blindato, non c’è possibilità di cambiare idea o andarsene.

La Barnes, dopo qualche difficoltà iniziale, riesce a mettere a punto un siero in grado di ridare vita ai tessuti morti. Tutto ciò, ovviamente, al prezzo di qualche esperimento poco riuscito e conseguenti cadaveri sparsi qua e là. Ma si sa, ”il fine giustifica i mezzi”; il successo arriva con David (Scott Anthony Leet), una delle guardie addette alla tutela delle struttura, ucciso con un colpo di pistola alla testa da un membro dell’equipe, il losco (a dir poco ) Marcus Grone (Louis Mandylor), ricattato da David in quanto responsabile della morte (sempre ad opera del solito colpo di pistola, il dottore ha il grilletto facile) di Kima, la sua ragazza, una delle cavie umane dei loro esperimenti. David col tempo si rivela essere ben più che uno zombie resuscitato: sviluppa in fretta un’acuta intelligenza, riuscendo addirittura a leggere le menti altrui e, miracolo!!!, a trasformare l’acqua in punch alla frutta. Qui è doveroso un minuto di silenzio: viene spontaneo chiedersi da quale pusher si siano riforniti gli sceneggiatori per tirare fuori una cosa del genere. Da zombie decerebrato a dio, nel film il passo è breve. I progressi di questo prodigio della scienza vengono amorevolmente seguiti dall’algida dottoressa Victoria Travelle (Patti Tindall), che instaura con lui una sorta di rapporto madre/figlio. La situazione ovviamente degenera fino al finale, assurdo e prevedibile al tempo stesso.

Qualche spunto da salvare ci sarebbe anche stato: le dinamiche di gruppo dell’equipe, se approfondite con maggiore cura e non lasciate in superficie, sarebbero potute essere interessanti e affascinanti. Il personaggio di Marcus, già trafficante d’organi in Corea, se meglio sviluppato avrebbe potuto essere un villain accettabile, così come il Dr.Walton. L’idea di presentare i personaggi nominandoli, per mezzo di didascalie, come “Subject number…”, dunque come soggetti da esperimento, sarebbe stata un’idea anche buona, ma presa da sola è troppo poco. I crudeli esperimenti condotti su donne incinte, agghiaccianti, avrebbero potuto essere spiegati in modo più completo, per meglio illustrare la totale mancanza di etica del progetto e dare un tocco sottilmente più morboso ad un film troppo piatto. Alcune scene funzionano, come ad esempio la lettura del Giuramento di Ippocrate da parte del rabbioso David, ma restano sempre piccole note isolate in un contesto tedioso e malriuscito. Lo  strano rapporto madre/figlio che ci crea tra la Dottoressa Travelle e David è anch’esso idea interessante, seppur non nuovissima, ma viene inesorabilmente trattata in modo semplicistico e quasi macchiettistico. Ci si trova dunque davanti all’ennesimo film pretenzioso, ultra-patinato, a metà tra lo stile da spot pubblicitario e quello da telefilm ospedaliero alla moda. Il film vorrebbe essere, come fu il celeberrimo romanzo della Shelley, una riflessione sull’immortalità, sul delirio di onnipotenza, sulla scienza come Male, sul pericolo mortale di sfidare le immutabili leggi della natura.Peccato che qui,di mortale, ci sia solo la noia.

 

The Frankenstein Syndrome

(USA, 2010)
Regia: Sean Tretta
Interpreti: Ed Lauter, Tiffany Shepis ,Louis Mandylor
Sceneggiatura: Sean Tretta – ispirato al romanzo Frankenstein di Mary Shelley
Durata: 99 min.
Distribuzione: Accent Film Entertainment

About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.

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